Grazie, Presidente. Giunge in Aula oggi, dopo una lunga gestazione istruttoria nelle due Commissioni congiunte, la proposta di legge sulla morte volontaria medicalmente assistita. È una legge che tocca un tema delicatissimo e rilevante, che riguarda la vita e la morte, che tocca inevitabilmente le coscienze di ciascuno di noi, senza distinzioni, che lambisce sensibilità spesso diverse, variegate, a volte anche contrapposte, e che, a mio avviso, però sarebbe riduttivo, banale e anche fuorviante ridurre a una contrapposizione tra laici e cattolici, tra destra e sinistra: sono temi questi che attraversano la coscienza di ciascuno di noi. Avvertiamo perciò e abbiamo avvertito in tutto questo percorso, come relatori, prima con Giorgio Trizzino, poi con Nicola Provenza, tutta la responsabilità di cui ci siamo caricati nell'affrontare un argomento così delicato e così difficile, con cui peraltro si cimentano con difficoltà tutti i legislatori dei Paesi avanzati democratici. Siamo nel campo della bioetica, siamo nel campo in cui la legislazione fatica a trovare soluzioni ai problemi che la scienza e la tecnica ci pongono di fronte grazie alla loro straordinaria evoluzione.
Io credo che sia però necessario partire da un dato di fatto, che troppo spesso anche nella discussione è stato tenuto un po' in sottofondo. Non è la prima volta che il Parlamento si cimenta e affronta il tema del fine vita. Lo ha già fatto il Parlamento nella scorsa legislatura, con l'approvazione della legge n. 219, che introdusse nel nostro ordinamento alcuni principi innovativi e anche chiarificatori dell'articolo 32 della nostra Costituzione, tra cui ricordo il diritto al rifiuto delle cure e dell'accanimento terapeutico e la possibilità di accompagnamento alla morte, anche attraverso la sedazione palliativa profonda, cioè attraverso il totale annullamento della coscienza e un sonno senza dolore fino al momento del decesso. Una legge - io ricordo, perché ero qui anche nella scorsa legislatura, e ricordo l'iter di approvazione di quella legge - che venne anch'essa osteggiata fortemente da alcuni ambienti della nostra società e che, invece, oggi è pressoché unanimemente considerata un'ottima legge, che già consente, dunque, ai malati terminali di essere accompagnati alla morte naturale senza accanimenti e senza sofferenza. Quindi, il Parlamento già si è occupato di una legge sul fine vita e, tuttavia, quella soluzione, che diede il Parlamento con la legge n. 219 del 2017, è stata riconosciuta o considerata insufficiente dalla Corte costituzionale, che ricordiamo - ormai è arcinoto - intervenne con un'ordinanza e poi una sentenza, nel 2018 e nel 2019, sulla vicenda del povero Fabiano Antoniani, dj Fabo, che venne accompagnato per essere sottoposto al suicidio assistito, all'aiuto al suicidio.
Venne accompagnato in Svizzera da Marco Cappato, il quale poi, al rientro in Italia, si autodenunciò per il reato di aiuto al suicidio. Partì un procedimento penale, nell'ambito del quale venne sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'aiuto al suicidio, che portò alle ordinanze e poi alla sentenza della Corte costituzionale, che ha stabilito, sostanzialmente, che la sedazione palliativa profonda, cioè quella soluzione che trova il Parlamento nel 2017, per accompagnare al decesso un malato terminale, in taluni determinati casi non è idonea a garantire una morte dignitosa e rispettosa del diritto all'autodeterminazione e, dunque, in quei casi, non possa ritenersi punibile il reato contemplato dall'articolo 580, cioè il reato di aiuto al suicidio della persona che lo abbia chiesto. Nel dichiarare incostituzionale il reato di aiuto al suicidio in quei determinati casi, la Corte ha concluso con queste parole, che voglio leggere, perché siano chiare a tutti: “Questa Corte non può fare a meno, peraltro, di ribadire con vigore l'auspicio che la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore, conformemente ai princìpi precedentemente enunciati”. Questo ha detto la Corte ed è esattamente questo l'obiettivo che ci siamo dati con questa legge.
Noi siamo partiti dai testi normativi presentati all'inizio della legislatura da diverse forze politiche, uno anche di iniziativa popolare, sui temi del fine vita. Abbiamo, però, ritenuto necessario concentrarci sul perimetro segnato dai principi sanciti dalla Corte costituzionale, ritenendo che quello fosse il percorso più idoneo ed efficace per cercare di raggiungere il traguardo. Un sentiero stretto, non facile - sappiamo benissimo che è molto complicato -, che fin da subito, però, abbiamo dichiarato, come relatori, aperto al confronto, all'arricchimento e alla mediazione tra i gruppi parlamentari e tra le diverse sensibilità. Una scelta, quella di stare dentro questo perimetro, che ha un carattere indubbiamente politico. Intanto, perché ovviamente è più facile muoversi su un terreno di necessità, come quello individuato dalla Corte che ha invitato il Parlamento a intervenire; ma anche perché siamo fortemente persuasi che, su temi come questi, sia opportuno cercare la condivisione più larga possibile, sia opportuno cercarla su temi così delicati. E pensiamo che questa ricerca di condivisione, questo tentativo di trovare ciò che ci unisce, anziché ciò che ci divide anche su questi temi, sia opportuna anche in tempi di forte polarizzazione, in cui la ricerca della mediazione è quasi un esercizio spericolato. Noi pensiamo che questo sia il terreno sul quale dovremmo tutti cercare di muoverci, tutti, nell'interesse anzitutto dei destinatari di queste norme.
Allora, cercando questo terreno di condivisione, io penso che si possa provare a partire da alcuni principi, che la Corte richiama e che io credo possano trovarci d'accordo in larga misura, principi sui quali penso ci sia una larga condivisione, al di là delle spesso artificiose distinzioni e contrapposizioni. Principi che, secondo noi, muovono da una lettura corretta dei principi della nostra Costituzione, che è ispirata al personalismo, alla dignità delle persone, dunque, non al radicale individualismo e non al paternalismo di stampo statalista.
Il primo e più importante di questi principi, che la Corte ha riconosciuto e che discendono da questa idea della nostra Costituzione, è che la nostra democrazia, la nostra società, la nostra comunità civile, si fonda anzitutto sul diritto alla vita, come primo dei diritti inviolabili dell'uomo, un diritto da tutelare sempre, senza distinzione tra persone, senza classifiche sulla qualità della vita, anche e soprattutto quando le persone sono in difficoltà, quando soffrono, quando la condizione è difficile, più difficile e più fragile.
Dalla tutela rigorosa di questo diritto alla vita discende, dunque, la necessità di aiutare, di curare chi soffre, di alleviare la sofferenza, di stare accanto a chi è in difficoltà; sempre ogni cura possibile, sempre, soprattutto dove c'è una condizione di sofferenza. Ma, accanto a ciò, accanto a questo principio - credo che la condivisione di questo principio ci accomuni tutti - quando la cura è stata prestata, quando ogni possibile sforzo è stato fatto, quando qualunque dovere di solidarietà è stato adempiuto allora, vi è il dovere di non voltarsi dall'altra parte di fronte a una sofferenza intollerabile, davanti a una libera, ancorché sofferta, richiesta di essere aiutati a concludere dignitosamente la propria vita, sapendo - come dice la Corte - che la scienza medica e la tecnica ci mettono di fronte sempre di più la possibilità di tenere in vita persone in condizioni disperate, inimmaginabili solo fino a pochi anni fa. Non è un caso che tutti i Parlamenti europei si stiano cimentando con questi temi e che, laddove non ci arrivino i Parlamenti, sono le Corti costituzionali ad intervenire, come è capitato in Italia, ma come è capitato anche in Germania pochi mesi fa e in Austria poche settimane fa, con sentenze che hanno detto esattamente le stesse cose che ha detto la nostra. Allora, abbiamo cercato di muoverci dentro questo perimetro, cercando un corretto equilibrio tra questi principi che ho richiamato, che io credo appunto trovino, non solo nella società italiana, penso anche qui dentro, larga condivisione e che, secondo noi, la sentenza della Corte costituzionale ha provato a bilanciare in un modo che probabilmente non convincerà tutti, ma che noi riteniamo apprezzabile e, dunque, per quanto possibile da seguire in modo rigoroso anche nel delineare una soluzione normativa.
Condizioni rigorose quelle poste dalla Corte, che delimitano un perimetro di accesso alla richiesta di suicidio assistito da accertare in modo pieno, in modo esaustivo, nel modo più rigoroso possibile, perché, in forza di quei principi che ho richiamato, non sarebbe tollerabile che il suicidio finisse per essere in qualche modo normalizzato, per diventare cioè la forma normale per cessare la propria esistenza, rischiando, così, di esercitare una forma di pressione sociale su persone anziane, sole e malate. Non possiamo permetterci che, in un Paese che fatica a garantire a tutti le cure palliative e le terapie del dolore, il suicidio finisca per diventare l'unica possibilità, l'unica forma obbligata per evitare di soffrire o, addirittura, che il suicidio assistito rappresenti un alibi per non mettere a disposizione e approntare tutte le cure, in primis quelle palliative e le terapie del dolore e, allo stesso tempo, non possiamo permetterci che la richiesta di aiuto al suicidio provenga da una persona in qualche modo condizionata da interessi confliggenti di terzi e non per effetto di una libera scelta. Dunque, condizioni da accertare con rigore quelle poste dalla Corte per richiedere l'aiuto al suicidio: la patologia, le sofferenze, i trattamenti di sostegno vitale e alcuni prerequisiti, ovvero la piena capacità di assumere decisioni libere e consapevoli e il pieno coinvolgimento nel percorso di cure palliative di terapia del dolore. Conosciamo le obiezioni, sappiamo le insoddisfazioni, siamo consapevoli dei limiti, delle inadeguatezze anche nostre di relatori, che si riflettono nel testo, ma io credo che un fallimento di questo tentativo per quanto difficile, per quanto complicato segnerebbe forse un successo di chi preferisce che una legge non ci sia per motivi che sono spesso, e non è un caso, speculari e opposti, ma prima e soprattutto segnerebbe una sconfitta della politica e delle istituzioni vittime di una incapacità di risposta a drammatici temi che toccano le vite e le coscienze di ciascuno di noi. Abbiamo una sentenza della Corte costituzionale che ha già innovato profondamente il nostro ordinamento, che ci ha invitato a intervenire nell'interesse anzitutto delle persone più fragili, deboli, in difficoltà che non possono essere lasciate in balia dell'incertezza normativa. Mi auguro allora - e concludo - che prevalga su ogni spirito di parte la voglia di essere all'altezza delle nostre responsabilità e del nostro ruolo e che, attraverso lo stesso spirito costruttivo che, infine, ha animato il confronto in Commissione, si possa arrivare all'approvazione della legge (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Liberi e Uguali).