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Grazie, signor Presidente. Colleghe e colleghi, Governo, se l'uguaglianza fra uomo e donna fosse perfetta, avremmo un maggior apporto di PIL di 28 mila miliardi di dollari, l'equivalente, praticamente, del PIL americano e cinese messi insieme. Per quanto riguarda il nostro Paese, secondo la Banca d'Italia, se l'occupazione femminile raggiungesse il 60 per cento - oggi siamo sotto il 50, nel Mezzogiorno d'Italia poco sopra il 30 -, il PIL vedrebbe una crescita di ben 7 punti percentuali in maniera strutturale; pensiamo che il rimbalzo post-pandemia ci ha portato a una crescita del 6 per cento.
Non è un caso che la finanza orientata al genere stia diventando una delle aree di investimento sostenibile e con i maggiori margini di crescita e, infatti, l'indice di parità di genere è compreso fra gli elementi considerati da investitori e azionisti. Sapere di relazionarsi e collaborare con aziende che attuano strategie di pari opportunità e pay equity, aumenta la reputazione sociale, perché evidenzia la capacità delle stesse di dare valore e di mettere a reddito tutti i talenti. La parità incide positivamente sui conti economici: le aziende, i cui vertici sono formati da almeno il 25 per cento di donne, presentano risultati operativi decisamente migliori. E non è, allora, un caso che le grandi aziende, così come le quotate, abbiano avviato, negli ultimi anni, importanti progetti di abbattimento della discriminazione salariale, tant'è che, in questi contesti, il gender pay gap si è ridotto, dal 10 per cento nel 2018 al 5,3 nel 2020.
Uno studio della società di consulenza McKinsey propone tutta una serie di dati, ne citerò alcuni, ma vi invito ad approfondirli, perché sono di grande interesse al fine di dimostrare il valore economico della parità e il suo contrario, ossia il disvalore e il costo delle disuguaglianze di genere per l'economia, al pari della corruzione e al pari dell'insicurezza nei luoghi di lavoro. I dati dello studio. Date le attuali condizioni di disparità nei 95 Paesi analizzati nel report, le donne, attraverso il proprio lavoro - si intende retribuito - generano il 37 per cento del PIL, pur essendo oltre il 50 per cento della popolazione attiva. In Europa questa percentuale sale al 40 per cento. Se, invece, il termine di riferimento non è più il lavoro retribuito, bensì il lavoro di cura, quello gratuito - e quello è ostaggio di un concetto di informalità per cui, naturalmente, il lavoro di cura deve essere sulle spalle delle donne - i dati cambiano: il 75 per cento è svolto dalle donne e non viene calcolato nel PIL, perché, se fosse calcolato come elemento di ricchezza, il suo valore sarebbe pari a circa 10 miliardi, e questo non è fatto. E il tema del lavoro di cura - non lo cito a caso - gratuito, contenuto e inteso all'interno di un concetto di informalità è una delle cause che spesso porta le donne a scegliere di non lavorare, a scegliere il part-time involontario, a scegliere di rinunciare al proprio percorso professionale.
Nel fare la mia dichiarazione di voto per conto del mio gruppo, il Partito Democratico, in relazione a questo testo unificato, che tutte le colleghe hanno rappresentato come un momento di svolta del nostro percorso di lavoro e di battaglia per la parità di genere, ho scelto di partire da questi dati proprio perché l'uguaglianza di genere è giusta - questo ce lo diciamo tutti -, è una misura di giustizia sociale ed equità sociale - e questo non è poco -, ma conviene economicamente, è una condizione sine qua non per intraprendere quel percorso di crescita sostenibile che, sola, può ridare competitività al nostro sistema economico.
Si tratta di attualizzare un potenziale inespresso, si tratta di valorizzare il nostro capitale umano e di trasformarlo in fattore produttivo. Ricordo di nuovo, come fece bene anche in discussione generale Laura Boldrini, che le donne rappresentano il 51 per cento della società, non sono nemmeno una minoranza, nonostante la loro marginalità rispetto a tutta una serie di processi. Quindi noi siamo intervenuti con questo intervento legislativo, un intervento, devo dire, fortemente voluto dal Partito Democratico, perché, è vero, c'è stato un lavoro corale, ci sono stati i lavori precedenti, importanti, ma questo è un salto di qualità. Questa legge, che noi, auspico in maniera trasversale e corale, andremo ad approvare, è addirittura più avanti, più innovativa rispetto alla proposta di parità di genere che si sta discutendo a livello europeo, e di questo siamo molto fieri e molto orgogliosi.
Il testo unificato affronta, in particolare, il tema della parità retributiva. Come sappiamo bene, noi abbiamo un articolo della Costituzione, l'articolo 37, che in tema di parità retributiva dice tutto, lo diceva prima qualche collega che è intervenuto prima di me. Si tratta di attualizzare una serie di disposizioni legislative che, a livello teorico, già esistevano, ma che non sono mai state applicate: quella di cui all'articolo 37, così come diversi trattati europei. E si tratta, in particolare, di affermare l'eguaglianza retributiva per uno stesso lavoro o per un lavoro di eguale valore, dove la relazione lavoro-retribuzione va costruita sulla base di elementi oggettivi e neutri e non può essere che l'essere donna, che il genere diventi la motivazione, il criterio non oggettivo, ma soggettivo, per una retribuzione inferiore.
Con il nostro testo base, di sintesi di diversi testi presentati da tutti i gruppi, intendiamo porre l'attenzione in particolare - vado velocissima, perché il tempo sta scorrendo - su due temi. Il principio della trasparenza salariale: qualche giorno fa, Anna Zilli, su Il Sole 24 Ore, scriveva: “Sapere è potere” e mai principio è più vero rispetto a questo, se si guarda alla retribuzione, perché la trasparenza salariale è condizione necessaria per combattere le disuguaglianze di genere. In questo senso, la modifica dell'articolo 46 del Codice delle pari opportunità va a porre un obbligo - quindi, la presentazione biennale - di un rapporto, prima previsto solo per le aziende con più di 100 dipendenti, abbassando la soglia a 50. Vi ricordo che, secondo dati INPS, sono 3,89 milioni le lavoratrici che lavorano in contesti aziendali con più di 50 dipendenti e il loro imponibile medio annuo è di 17 mila euro, a fronte dei 25.100 dei colleghi maschi, con un gender pay gap, calcolato sull'imponibile previdenziale, del 37 per cento. Questi sono numeri che dobbiamo tenere presente.
Per cui, l'intervento sull'articolo 46 del Codice delle pari opportunità va ad abbassare la soglia, a stabilire l'obbligo di presentazione del rapporto, ad ampliare la platea dei soggetti destinatari che lo devono ricevere e a stabilire un sistema sanzionatorio che sia effettivo, proporzionato e dissuasivo, così come richiedono anche le direttive europee.
C'è un altro aspetto molto importante delle modifiche, che è quello che prova a fare leva sulla premialità per le aziende virtuose, introducendo la certificazione della parità di genere e lo sgravio contributivo alle aziende in possesso della certificazione. Ricordo al riguardo che il Partito Democratico, già nella legge di bilancio 2021, introdusse il Fondo per il sostegno della parità salariale di genere, quindi, una misura che già anticipava quello che noi prevediamo in questa proposta di legge.
Copertura finanziaria del provvedimento. Oggi abbiamo appena approvato un emendamento della Commissione bilancio, che stabilisce che la copertura si riferisca all'anno 2022. Noi l'avevamo pensata come una copertura strutturale, perché queste sono misure che possono avere una valenza e un effetto se sono misure strutturali, ma la Commissione bilancio, pur riconoscendo che abbiamo imboccato la strada giusta, ci ha detto “ora facciamo questo, rinviamo, per il resto delle risorse, ad altri provvedimenti”. Noi ci aspettiamo che il provvedimento sia la legge di bilancio e su questo lavoreremo, anche ricordandoci che il Presidente Draghi ha sempre detto, giustificando il debito buono, che gli investimenti sociali, gli investimenti in equità sono gli investimenti che convengono, quelli che, poi, moltiplicano gli effetti economici.
Quindi, per concludere, io ritengo che la giornata di oggi sia una giornata importante, perché noi, di fatto, formalizziamo, attraverso l'approvazione di questo atto, l'apertura di un percorso; lo facciamo in modo ampio e trasversale, così come trasversale, ampio e di grande qualità è stato il lavoro fatto dalla Commissione lavoro, in tutte le sue componenti politiche, guidato dalla relatrice Chiara Gribaudo che ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), così come ringrazio gli uffici della Commissione, i Ministeri del Lavoro e delle Pari opportunità e i Ministri che si sono spesi in prima persona, Andrea Orlando ed Elena Bonetti.
Voglio sperare ed auspicare una cosa: mi pare che, anche oggi, il tavolo dei nove fosse tutto al femminile e le dichiarazioni di voto le abbiamo fatte noi donne, ma io immagino sia una casualità, non voglio pensare che sia un disinteresse da parte dei colleghi, però è una cosa che si vede, si nota, l'abbiamo notato tutti, così come abbiamo notato parecchio, durante i lavori del comitato ristretto, che l'unico uomo presente, lo voglio ricordare, era sempre il nostro collega Guglielmo Epifani che ha partecipato a tutti i lavori di redazione della legge. Allora, nell'esprimere il voto favorevole del Partito Democratico a questa proposta di legge, voglio ricordare un grido di battaglia, richiamando una mia conterranea che nacque 150 anni fa, una scrittrice premio Nobel per la letteratura, Grazia Deledda - ho finito - che scrisse in quei tempi e noi lo ribadiamo, oggi, nel senso che non ci sentiamo sole e se anche lo fossimo andremmo avanti: “Sono piccina, piccina, sa, sono piccola, anche in confronto delle donne sarde che sono piccolissime, ma sono ardita e coraggiosa come un gigante e non temo le sfide intellettuali.