Discussione generale
Data: 
Lunedì, 28 Febbraio, 2022
Nome: 
Michele Nitti

Grazie, Presidente. Per una particolare e, se vogliamo, infelice coincidenza, ci troviamo oggi a discutere di questo provvedimento, sia lato giustizia sia lato cultura - che è l'aspetto su cui io interverrò particolarmente - in giorni così oscuri e drammatici per tutto il mondo, giorni di grande apprensione in cui tutte le attenzioni, legittimamente, sono concentrate sulla spirale di violenza e di guerra che si sta abbattendo sull'Ucraina. Se ordinariamente si fa fatica a parlare di cultura e a farla rientrare fra le priorità, perché nell'immaginario comune si è portati a credere che la cultura sia sostanzialmente un aspetto secondario, se non proprio marginale, adesso, in un contesto sociale economico-politico internazionale così difficile e complesso, si corre seriamente il rischio che parlare di cultura, seppure in un contesto legato alla dimensione giuridica, possa sembrare addirittura un inutile orpello, quel superfluo di cui complessivamente si può fare a meno,perché, in fondo, tutto sembra essere prioritario rispetto alla cultura. Al di là della retorica, può essere utile parlarne, ma a patto che prima si sia parlato di tutto il resto e questo, forse, anche a causa di quel sottile discrimine, che separa ma non distingue l'idea di cultura da quella di intrattenimento.

Oggi il calendario dei lavori, certamente per pura casualità, ci porta a parlare di cultura e patrimonio proprio nel bel mezzo di una guerra, come dicevo, in un contesto ancora fortemente compromesso dalla pandemia e con preoccupazioni di ogni tipo. Sappiamo bene che potrebbe sembrare quasi uno scollamento dal mondo reale, una miopia rispetto alle problematiche cogenti e attuali di questi giorni ma, in realtà, ci sono fortissimi punti di contatto fra la dimensione culturale e quanto sta accadendo nel mondo, non foss'altro che per il carattere fortemente pervasivo della cultura. Oggi siamo tutti più consapevoli di quanto l'inaccessibilità ai luoghi della cultura, vuoi a causa della pandemia, vuoi a causa di eventi bellici, possa determinare forti ripercussioni sul fronte della povertà educativa e su quello del disagio sociale.

Parliamo spesso di contesti di degrado, ma il degrado sociale e il degrado ambientale hanno un'intima correlazione con il degrado culturale. Spesso, erroneamente, ci si concentra troppo sugli effetti e troppo poco, invece, sulle cause di queste problematiche, che sono quasi sempre cause culturali. La cultura ci mostra perfino un profondo legame con la salute, la cultura come cura, laddove per salute, chiaramente, si intenda non soltanto l'assenza di malattia, ma una complessiva condizione di benessere psicofisico e culturale. Allora, si pensi pure che sia superfluo affrontare questi temi, parlare di cultura, di patrimonio, di beni culturali, ma io dico che si tratta di un superfluo indispensabile, come ricordava anche Gaetano Salvemini. C'è anche un volume molto interessante di Nuccio Ordine, molto illuminante, su questo tema, che si chiama “L'utilità dell'inutile”.

Io credo che l'esperienza pandemica e le nuove dinamiche sociali che questa pandemia ci sta consegnando, ma anche i drammatici eventi di questi giorni, rendano indifferibile un dibattito articolato e non solo legato al piano normativo, sullo stato complessivo e sulle prospettive future del nostro patrimonio, sul ruolo centrale in termini di ricadute sociali, occupazionali, di crescita economica e cognitiva dei nostri territori, di valorizzazione del capitale umano e di sviluppo delle nostre comunità. I prolungati periodi di chiusura dei luoghi della cultura e della socialità hanno sollecitato nuove modalità di valorizzazione e di fruizione del nostro patrimonio, suggerendo anche prospettive inedite e introducendo interrogativi cogenti sul tema dell'accessibilità e della condivisione delle esperienze artistiche e culturali. Se la pandemia ha inferto al mondo della cultura numerose fratture, consegnandoci una realtà molto complessa e talvolta parcellizzata - l'abbiamo constatato anche durante l'indagine conoscitiva in Commissione sul lavoro e la previdenza nel mondo dello spettacolo -, diventa imprescindibile oggi ripartire proprio dalla tutela del nostro patrimonio, da nuove e virtuose forme di coinvolgimento dei privati, dalla valorizzazione delle risorse e del capitale umano, dai professionisti della cultura, dalla sostenibilità e dalla riqualificazione dei luoghi, una sorta di transizione culturale, integrata alle due grandi transizioni di cui spesso si parla anche a proposito del PNRR, quella digitale e quella ambientale, una transizione che trasversalmente investa tutti i segmenti della cultura. In questo processo di rilancio e di ridefinizione dei paradigmi culturali, diventa imprescindibile, quindi, anche un'integrazione potenziata fra scuola, università e luoghi della cultura.

Nell'esame di questa proposta di legge, partirei proprio da questa dinamica educativa e formativa che investe le istituzioni scolastiche e universitarie, che appare quasi sfumata rispetto al dibattito sulle norme, sui codici e sulle pene, ma che invece non può assolutamente essere derubricata a un semplice corollario, anzi deve assurgere ad elemento fondativo di questa proposta.

Durante il lungo iter di discussione su questa proposta di legge io ho insistito, sia in Commissione, sia attraverso numerosi atti di sindacato ispettivo, proprio perché, oltre all'aspetto coercitivo delle pene, oltre all'inasprimento delle pene pecuniarie - sulla cui ratio comunque vorrei anche poter dire qualcosa dopo - si potesse prevedere durante la fase di recupero del patrimonio danneggiato anche una sorta di coinvolgimento attivo di chi commette questi reati, per lavorare sul processo di consapevolizzazione del patrimonio, della sua funzione di collante, di elemento di cementazione sociale, di coesione sociale. Occuparsi solo del risarcimento del danno oppure dell'obbligo di provvedere al ripristino dell'area danneggiata è un'operazione parziale, che certamente può fungere da deterrente, ma che non eradica il problema, non lo affronta partendo dalle sue cause più profonde.

Devo dire che le nostre comunità stanno acquisendo sempre maggiore coscienza di quanto siano fondamentali e vitali gli aspetti, i contesti e le dinamiche legate alla dimensione culturale, e questo è accaduto proprio nel momento in cui abbiamo dovuto rinunciare ai luoghi e agli spazi della cultura, alla frequentazione delle attività performative, ai riti della socialità. È per questo che ritengo fondamentale insistere molto sul civismo della dimensione culturale, sulla coscienza del patrimonio comune; un patrimonio che appartiene alle comunità e di cui le comunità devono poter fruire e godere pienamente, con piena accessibilità; penso anche, semplicemente, ad alcuni dei principi richiamati nella Convenzione di Faro. Non ci deve nemmeno rassicurare l'aumento del cosiddetto consumo culturale, che stiamo riscontrando dopo il graduale allentamento delle restrizioni; non è un indicatore affidabile dello stato di salute culturale di una società, né tanto meno del grado di consapevolezza del patrimonio.

Un indicatore affidabile, invece, è la partecipazione culturale. L'aumento del consumo culturale, infatti, non significa necessariamente aumento della partecipazione o ampliamento della diffusione culturale; non significa che sia aumentato il nostro senso di responsabilità e di attenzione verso il nostro patrimonio o che sia cresciuta la fascia sociale dei cittadini consapevoli del valore della cultura, anzi, quasi sempre si tratta della stessa fascia, quella medio-alta, quella dei fruitori abituali, quella più qualificata.

Noi dovremmo impegnarci invece perché la cultura diventi uno strumento di condivisione del patrimonio cognitivo e creativo di una comunità, e perché ciò accada è necessario anzitutto essere pienamente consci del valore di questo patrimonio. La consapevolezza è una sorta di precondizione del rispetto: è l'alleato più prezioso della tutela.

In questo provvedimento abbiamo parlato - lo diceva la collega poc'anzi - di sanzioni contro chi attenta al patrimonio, di sanzioni che già esistevano, ovviamente, ma che erano sparse tra il codice dei beni culturali e il codice penale. Era necessario, quindi, superare la logica della frammentazione, uniformando la disciplina e conferendo al quadro sanzionatorio un profilo coerente e unitario anche terminologicamente. Sono state introdotte nuove figure di reato, di circostanze aggravanti, nuove fattispecie penali improntate generalmente ad una maggiore severità rispetto a chi ferisce il patrimonio. Credere, però, che l'obiettivo finale possa essere un generale inasprimento sanzionatorio, è fortemente limitante e rischia di diventare, paradossalmente, anche inconferente. È molto più rilevante, invece, evidenziare ciò che sottende o che dovrebbe sottendere questa logica di maggiore severità, ossia la necessità di ribadire in modo chiaro ed inequivocabile l'assoluta rilevanza del nostro patrimonio culturale e artistico, e la necessità di condannare severamente chiunque attenti all'integrità e al valore comune di questo patrimonio, scongiurando in ogni modo di derubricare la gravità di questi reati.

Se, quindi, si può pensare di fare un'eccezione rispetto alla condivisibile necessità di ridurre i reati, di evitare una moltiplicazione delle fattispecie, di semplificare le procedure, questa può essere l'eccezione più appropriata, perché il valore del patrimonio che stiamo tutelando rinviene dal fatto che sia comune, rinviene dalla responsabilità collettiva che abbiamo anche verso le future generazioni. Pertanto, il tentativo di rendere più omogenee queste pene rispetto al quadro generale, che qualcuno ha legittimamente invocato, non può annacquare i connotati di assoluta specificità del valore di questo patrimonio; un valore non solo intrinseco, ma anche e soprattutto relazionato alla sua dimensione comunitaria e identitaria. Quindi, prevedere un corpo nuovo di reati serve in qualche modo a perimetrare l'unicità del patrimonio che si intende tutelare. Il riordino normativo e l'inasprimento delle pene, quindi, hanno due differenti ragioni d'essere. Leggo dalla relazione di accompagnamento alla proposta di legge: l'esigenza di un intervento normativo organico e sistematico nella materia è resa indefettibile non solo dalle rilevanti criticità emerse nella prassi applicativa in riferimento alle disposizioni legislative vigenti (e per questo si è proceduto ad un riordino), ma anche e soprattutto dalla circostanza che le previsioni normative in materia di repressione dei reati contro il patrimonio risultano attualmente inadeguate rispetto al sistema di valori delineato dalla Carta fondamentale (quindi dalla Costituzione). La Costituzione, infatti, in base al chiaro disposto degli articoli 9 e 42, chiede che alla tutela penale del patrimonio culturale sia assegnato un rilievo preminente e differenziato nell'ambito dell'ordinamento giuridico e colloca con tutta evidenza la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico a un livello superiore rispetto alla mera difesa del diritto all'integrità del patrimonio individuale.

Quindi, la dimensione comunitaria e condivisa del patrimonio si colloca costituzionalmente su un livello superiore rispetto al patrimonio individuale. Pertanto, l'innalzamento delle pene edittali vigenti ha un preciso significato, ossia attuare pienamente il disposto costituzionale in forza del quale il patrimonio culturale e paesaggistico necessita di una tutela differenziata e preminente rispetto a quella offerta alla tutela della semplice proprietà privata. Faccio anch'io un passaggio rapido in merito alla cornice più ampia, internazionale, entro cui si colloca questa proposta di legge, cioè la Convenzione di Nicosia. Viene chiesto al nostro Paese di proteggere in modo più pregnante il patrimonio culturale, di collaborare con gli altri Stati, di creare nuovi strumenti per difendere e per proteggere il patrimonio culturale della comunità. Queste necessità, peraltro, sono diventate oggi ancora più impellenti perché i reati contro i beni culturali, analizzando non solo la situazione italiana ma quella generale e globale, sono in crescita per diversi motivi.

Per l'esistenza di gruppi terroristici impegnati nella deliberata distruzione del patrimonio e nel commercio illecito come fonte di finanziamento delle proprie attività: penso anche ai gravi impatti del turismo di massa e di consumo sulle grandi città d'arte; penso alla disaffezione verso il nostro patrimonio nei contesti di maggiore degrado sociale e culturale; penso ormai anche ai conflitti bellici, che speravamo fossero soltanto un lontano ricordo.

Sempre la Convenzione di Nicosia, però, sollecita anche il bisogno di prevenire queste tipologie di reati, e io vorrei che fosse questa la più grande operazione di accompagnamento a questa legge, anche in prospettiva futura. In un'intervista di qualche tempo fa il professor Vittorino Andreoli ha descritto la cornice di civiltà disastrosa all'interno della quale l'Italia e l'Occidente sembra si stiano inesorabilmente collocando. La cultura - dice Andreoli - dovrebbe essere quella condizione in cui rispettiamo gli altri, ma c'è come ostacolo un'ignoranza spaventosa. Bisogna poter parlare, spiegare, capirsi. Ecco, quindi, che torna il ruolo educativo, il patto fra culture e istituzioni non solo scolastiche. Perfino durante la pandemia, come testimoniato anche da numerosi organi di stampa, diversi monumenti e luoghi di culto della nostra penisola sono stati oggetto di episodi di vandalismo, di deturpazione, in tutta Italia.

Nel solo mese di agosto 2020 sono stati segnalati, fra gli altri, il caso del monumento a Pellegrino Rossi, a Carrara, la chiesetta rupestre di Santo Stefano vicino Alessano, a Macurano, la statua in omaggio di Andrea Camilleri, ad Agrigento, le sette sculture della Biennale internazionale di arte sacra contemporanea, a Porto Rotondo. Per questo motivo decisi di depositare proprio un'interrogazione per segnalare l'urgenza di portare a termine questo provvedimento ed invitai, ancora una volta, a valutare l'opportunità di adottare tutte le iniziative che potessero in qualche modo contribuire ad accrescere questi atteggiamenti di responsabilizzazione verso il nostro patrimonio e aiutassero ad acquisire maggiore coscienza del suo valore per l'intera società, anche attraverso un coinvolgimento rieducativo nelle operazioni di recupero e restauro delle opere danneggiate.

Dico che si deve seriamente prendere in considerazione il tema della partecipazione rieducativa agli eventi culturali e, di questo, lo stesso Ministero ha piena contezza perché, rispondendo ad una mia interrogazione lo scorso anno, si è detto ben consapevole degli interventi da effettuare per la tutela del patrimonio culturale italiano, sottolineando - e cito testualmente - che “La previsione di una modifica sanzionatoria più severa rispetto all'attuale e l'introduzione di nuovi reati, pur avendo nel complesso un effetto deterrente, non costituiscono l'unica soluzione”.

Quindi, è chiaro che il tema della tutela e della valorizzazione del patrimonio sia indissolubilmente legato a quello dell'educazione all'arte e al rispetto consapevole del patrimonio, perché solo acquisendo piena consapevolezza del valore comune di questo patrimonio si potrà scongiurare il ripetersi di gravi atti di deturpazione ai danni dello stesso.