Dichiarazione di voto sulla fiducia
Data: 
Mercoledì, 14 Maggio, 2025
Nome: 
Rachele Scarpa

A.C. 2329-A

Grazie, Presidente. Colleghe, colleghi, mentre discutiamo oggi, è in corso il quarto tentativo, dopo settimane, mesi, mesi e mesi di rinvii e ritardi, di far funzionare i centri per persone migranti in Albania. Se stiano funzionando e che cosa voglia dire davvero funzionare non è, però, dato saperlo. Questo è il primo punto su cui voglio sollecitarvi oggi, visto che siamo chiamati a dare al Governo l'ennesima fiducia sul tema.

 C'è un solo dato certo in tutta questa vicenda ed è che esercitare un vero controllo democratico sul funzionamento reale di questi centri è praticamente impossibile. Ora che quella funzione dei centri cambia e viene estesa anche a CPR, lo è ancora di più. È stato in questi mesi un vero e proprio percorso a ostacoli, fatto di accessi agli atti tardivi o negati, informazioni chieste e non date, tentativi di violazione arbitraria delle prerogative parlamentari, mentre i numeri, gli eventi e le storie reali delle persone venivano ricostruite solo ed esclusivamente grazie all'impegno di quei parlamentari che hanno voluto, nelle ultime settimane, recarsi in visita ispettiva nel centro a verificare e a comunicare ciò che voi avete cercato di tenere lontano dagli occhi di tutti.

“Bisogna aver visto”: così Piero Calamandrei titolava un numero monografico della rivista Il ponte sul tema del carcere, all'indomani della caduta del fascismo. Oggi, invece, il Governo Meloni inverte e riscrive: bisogna non aver visto. Sembra, infatti, che l'unico modo per far funzionare davvero questo esperimento che state facendo sia farlo andare avanti nell'opacità, sperando che tutti se ne dimentichino e che nessuno vada in fondo, anzi togliendo il più possibile, di volta in volta, gli strumenti affinché qualcuno possa andare a fondo. È una strategia di sottrazione allo sguardo pubblico e al controllo democratico, da un lato, e di ipervisibilità di alcuni dettagli, dall'altro, ovviamente solo quelli che sono funzionali a un certo tipo di narrazione.

Se non ci sono i numeri, se non ci sono i fatti e le storie delle persone a disposizione della valutazione pubblica e democratica che tutti dovremmo poter fare su questi centri, infatti, rimangono solo le dichiarazioni trionfalistiche, gli spauracchi sui giudici comunisti, gli elenchi di precedenti penali inseriti strumentalmente in una discussione in cui c'entrano poco o nulla, le foto delle persone ammanettate, a ostentare un clima forte e securitario, e le percentuali, raffazzonate, comunicate al futuro addirittura dalla Presidente del Consiglio, che i dati ce li dà solo rispetto a quelli che saranno, non a quelli che sono realmente.

Rimane il dito puntato dalla maggioranza su quel centro, al di là dell'Adriatico, che dice: avete visto, funziona così, no? Poco importa che, ad esempio, anche nella più rosea delle ipotesi per voi, cioè che il 100 per cento delle persone che sono state portate in Albania vengano effettivamente rimpatriate, tutte quante dovranno inevitabilmente passare di nuovo per l'Italia; poco importa che il dislocamento di persone in un altro Paese, con tutte le complicazioni giuridiche e logistiche che comporta e che ha comportato, può paradossalmente rendere meno immediata l'operazione e l'esecuzione dei rimpatri; poco importa l'impatto reale, che è inesistente, sulla gestione dei flussi migratori.

Ed è anche ridicolo sentire dei colleghi che oggi riportano qui quel dato, come se la deportazione di persone, che sono già presenti in Italia, fino in Albania, per poi essere riportate in Italia, avesse un qualsiasi impatto sul numero delle persone che sbarcano. Ma a me, in generale, questa operazione di numeri e di conti, vi confesso, non appassiona per niente, colleghi. Sono una di quelle persone che crede che l'immigrazione irregolare si combatta creando maggiori strumenti e modi per le persone per regolarizzarsi, per entrare in maniera regolare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), e che dovremo aumentare i modi e gli strumenti per fare entrare molte più persone di così nel nostro Paese, per permettere loro di lavorare, di istruirsi, di pagare le tasse, di integrarsi, di stabilirsi e di partecipare alla vita democratica, che è fatta di diritti ed è fatta di doveri.

A me di fare la conta degli sbarchi e dei rimpatri insieme a voi, colleghi, importa poco o niente. Però, un conto oggi lo voglio fare, e voglio riportarlo a tutte e tutti voi, perché penso che sia importante che si debba avere rispetto di come si spendono le risorse pubbliche. Calcolatrice alla mano, come la Presidente del Consiglio quando cerca di comunicarci i suoi numeri strampalati sulla sanità pubblica, vi dico che dall'inizio della mastodontica operazione Albania, quindi da ottobre 2024 circa, dalla fase di piena operatività, sono state portate in Albania, nell'ordine: 16 persone a ottobre, 8 persone a novembre, 49 persone a gennaio. E nell'ultima tranche, quella iniziata l'11 aprile 2024 e in corso ancora adesso, sono transitate per il centro 84 persone. Centocinquantasette persone in tutto, 7 mesi di operatività del centro e 1,5 miliardi di soldi dei contribuenti italiani buttati in questa operazione in 5 anni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Questo io non lo chiamo “modello”, colleghi. Io questo lo chiamo “accanimento”. Accanimento su 150 disgraziati per esigenze di propaganda. Ma andiamo con ordine. In una fase iniziale, ad essere inviati in Albania erano i richiedenti asilo soccorsi in mare e provenienti da Paesi d'origine considerati sicuri. Soccorsi e subito selezionati - con modalità più che discutibili in acque internazionali - e poi portati in Albania. Erano trattenuti per un tempo limitato, in un quadro giuridico estremamente fragile, tanto che il trattenimento non è mai stato convalidato dalle autorità giudiziarie competenti, per quanto si sia provato maldestramente, con una serie di provvedimenti, addirittura a cambiare la competenza in questo senso. Erano collocati nella prima sezione del CPR di Gjader, quella destinata alle procedure accelerate di frontiera: container con dei lettini a castello, una pavimentazione di resina verde, barriere metalliche alte cinque metri tutt'attorno, le desolate colline della campagna albanese a rendere tutto un po' distopico e vagamente alienante e un'atmosfera pregna della paura e dell'incertezza sul proprio futuro, di quelle poche decine di persone che hanno avuto la sfortuna di essere le vittime di questo esperimento - per tre volte fallito - che vi ostinate a chiamare modello.

Ora si cerca di fare il salto di qualità. La struttura diventa un CPR, stessa ambientazione lunare ma stavolta le persone sono chiuse in delle grandi scatole di cemento armato, dove le gabbie sono accanto, sopra, davanti, dietro, coprono persino il cielo. Si allungano esponenzialmente i tempi di trattenimento, peggiorano le condizioni materiali e l'operatività del centro, assume caratteristiche molto simili a quelle dei CPR italiani, con tutto il portato di violenza strutturale che da anni si denuncia in quei luoghi. A ciò si aggiunge la distanza, non solo geografica, dall'Italia e dalle reti sociali, sanitarie, associative e legali che esaspera ulteriormente l'isolamento di queste persone e che mette concretamente a rischio la loro incolumità. È la ricetta perfetta di un disastro uguale, se non peggiore, a quello dei CPR italiani, sulla cui compatibilità con la Costituzione si esprimerà anche la Corte costituzionale a giugno, perché sono dei veri e propri abissi del diritto, dove qualche giorno fa è morto per un malore - tra molte virgolette - un ragazzo di 37 anni, dove ad agosto scorso è morto un ragazzo di 19 anni e non è un caso comunque che anche nel CPR di Gjader registriamo un trend simile e inquietante.

Nei primi 13 giorni di operatività del centro abbiamo contato, dal registro eventi critici, 35 eventi critici, di cui almeno la metà erano gesti di autolesionismo o tentativi di suicidio, una media di 2,7 eventi critici al giorno che fa a gara con le peggiori carceri d'Italia. Questi non sono numeri, questa è sofferenza vera e io vi invito ancora una volta, colleghi, a venire a toccarla e a vederla, prima di votarla, se ne avete il coraggio umano e politico.

C'era così tanta fretta di farli funzionare, questi centri, che sono state portate in Albania anche delle persone che non ci dovevano assolutamente finire. Sono stati fatti degli errori, sono state portate in Albania delle persone che erano già gravemente psichiatriche, delle persone che erano già ammalate, delle persone conclamatamente vulnerabili. Le altre sono diventate e sono rese ogni giorno vulnerabili dall'ambiente patogeno in cui si trovano, lontani dal mondo, dopo aver subito dei viaggi di deportazione umilianti, molto problematici da un punto di vista del rispetto dei diritti umani - penso alle persone ammanettate o agli inviti a farsi la pipì addosso perché non era possibile fare una sosta per andare in bagno - capendo di trovarsi in Albania solo nel momento in cui arrivavano effettivamente in Albania, il tutto in assenza di un provvedimento scritto e motivato di trasferimento, in piena violazione degli articoli 13 e 24 della Costituzione. E poi la vita nel CPR, no? Chiusi tutto il giorno in gabbia, senza un senso del proprio tempo, senza nulla da fare, senza prospettive, in una struttura pensata, costruita e collaudata in modo così perversamente raffazzonato da risultare essa stessa un invito a compiere gesti autolesivi. E faccio riferimento, ad esempio qui, al caso …

…che vi abbiamo anche citato, degli allarmi antincendio che sono stati posizionati sopra i tavoli delle celle del centro e che vengono utilizzati come gancio per appendere delle corde di fortuna a cui le persone tentano di impiccarsi. Tutto questo lo avete costruito ex novo voi, ve ne abbiamo parlato in Commissione presentando tutti gli emendamenti che avete scelto di bocciare, perché bisogna voler vedere, ma evidentemente questo non è il caso. Ciò che vi preme è spostare, sempre un po' più in là, la linea di confine in tutte le sue sfaccettature, il confine geografico e politico, ma anche il confine invisibile che separa ciò che è ritenuto legittimo e legale da ciò che è un abominio politico e giuridico. Scrivere, a suon di correzioni, decreti, emendamenti a tentoni, un futuro distopico che è già presente e scimmiotta il modello di politica migratoria di oltreoceano. La forma di potere che ostentate è sicura, ma la sua implementazione è estremamente fragile e questo prova il fatto che siete qui a chiederci la fiducia per l'ennesima modifica correttiva … 

 

. …di un modello che non funziona. Gli obiettivi sono la delocalizzazione delle frontiere, l'esternalizzazione del controllo, le radicali sperimentazioni giuridiche sul piano europeo. Ma l'esecuzione è una prova maldestra, una farsa tragica, un mischione ridicolo di inutilità e di spreco.

Noi a questo non ci stiamo e non daremo la fiducia al Governo.