Data: 
Mercoledì, 12 Giugno, 2019
Nome: 
Mario Morgoni

A.C. 1898

Grazie, signora Presidente. Siamo in questi giorni al primo compleanno del Governo del cambiamento ma nell'interesse del Paese c'è da augurarsi vivamente che sia anche l'ultimo, perché dal punto di vista dei risultati l'anno che abbiamo alle spalle è un anno da dimenticare e non si intravede certo alcuna novità positiva all'orizzonte e, anzi, proprio con questo provvedimento si ripropone e si fornisce un'ulteriore conferma di un metodo ormai consolidato da parte delle forze politiche di maggioranza, quello della ricerca sistematica di scorciatoie utili al consenso piuttosto che alla ricerca di soluzioni utili al Paese, un metodo su cui Lega e 5 Stelle hanno mostrato e mostrano una sintonia tanto piena quanto singolare in un percorso, per il resto, costantemente caratterizzato da polemiche e conflitti.

Nel corso di quest'anno il Paese ha dovuto constatare a proprie spese che le scorciatoie non portano a soluzioni durature bensì a fallimenti che si concretizzano con i numeri negativi della crescita economica ma anche con l'incertezza diffusa all'interno e con una credibilità compromessa all'esterno.

Non sono state certo le leggi a bloccare le opere, ma l'assenza di una volontà politica chiara e univoca. Quindi, la maggioranza dovrebbe piuttosto concentrarsi sullo sblocco della politica.

Nel caso del provvedimento in esame la scorciatoia non si rivela solo illusoria, ma pericolosa. Il pericolo evidente è quello di accentuare mali storici di questo Paese, dall'illegalità diffusa alla corruzione radicata e all'ampia propensione ad aggirare le regole. Ad oggi, oltre 2 mila sono le imprese raggiunte da interdittiva antimafia - lo diceva, questa mattina, il presidente Cantone - e questo elemento è un segnale eloquente della portata del tema legalità nel nostro Paese. Con lo “sblocca cantieri” che state per approvare non si va verso un sistema di norme consolidato e certo, ma si mettono toppe tanto vistose quanto inefficaci, destinate, tra l'altro, a creare ulteriore disorientamento tra operatori economici e funzionari amministrativi in un settore delicato come quello degli appalti pubblici. In effetti, con il decreto in esame si realizza un puro e semplice allargamento delle maglie, un indebolimento delle regole senza alcun intervento sui problemi strutturali del settore. Pensiamo, ad esempio, alla realtà esorbitante delle oltre 30 mila stazioni appaltanti, troppo vasta per consentire controlli adeguati, di diffusa inefficienza e scarsa professionalità, terreno indubbiamente congeniale per l'attecchimento della corruzione. Dunque, la sospensione dell'obbligo di utilizzo della stazione unica appaltante per comuni non capoluogo va in direzione esattamente opposta a quelle che sono le esigenze.

Tra l'altro, va sottolineato che con questo decreto il Governo mette sul banco degli imputati l'appalto pubblico, additandolo come unico responsabile della ingiustificata lentezza del percorso che porta alla realizzazione di opere e servizi pubblici. Stando, però, a uno studio recente dell'ANAS sulle procedure che si affrontano per realizzare un'opera pubblica, si evidenziano trentasei passaggi prima dell'inizio dei lavori, ventiquattro dei quali sono necessari per arrivare all'approvazione del progetto prima di approdare alla gara. Quindi, in realtà, si interviene su un terzo del percorso, quello a valle, quando il collo dell'imbuto è collocato a monte. Ma anche ponendosi a valle ed esaminando la dinamica degli appalti, si riscontra che il 65 per cento, all'incirca, degli appalti banditi ogni anno in Italia viene assegnato senza passare da una gara, ma attraverso incarichi a ditte di fiducia, scelte direttamente o sulla base di inviti non preceduti da un avviso pubblico (e cito dati ANAC).

Quindi, state intervenendo sulla base di presupposti infondati e in modo maldestro, con un provvedimento che sembra basarsi sull'assunto che smantellare le regole in un sistema e in un contesto dove forte è la propensione ad aggirarle equivalga a recuperare efficacia ed efficienza. Ben presto ci troveremo, purtroppo, a prendere atto dell'inefficacia di questo approccio, che non garantirà più risultati, ma certamente più problemi e le reazioni non certo entusiastiche delle imprese e degli operatori, che in teoria dovrebbero essere tra i beneficiari del provvedimento, sono un segnale chiaro che non siamo affatto sulla strada giusta.

Non mi dilungo su altri aspetti, ma mi limito a un'osservazione breve sulla norma introdotta con il provvedimento in esame che prevede una proliferazione di commissari da nominare per l'esecuzione di singole opere. Al di là di altre criticità, questa scelta segnala, con ogni evidenza, la volontà di rinunciare a ogni serio tentativo di riformare organicamente il sistema, superandone le criticità. In sostanza, un'altra scorciatoia, in questo caso direi più propriamente un atto di resa che fa ripiegare verso soluzioni eccezionali, quasi teorizzate come la via ordinaria e sostitutive di norme ritenute impraticabili e inutilizzabili.

Il filo conduttore del provvedimento, che produce un oggettivo indebolimento del sistema delle regole, è il considerevole aumento del livello di discrezionalità nell'attività di politici e amministratori di enti pubblici. E posso solo immaginare la reazione dei rappresentanti in Parlamento del MoVimento 5 Stelle se il Partito Democratico, nella scorsa legislatura, si fosse fatto promotore di provvedimenti di questa natura: come minimo saremmo stati accusati di promuovere il malaffare e l'illegalità. Credo sia inutile appellarsi alla coerenza, ma vorrei, in ogni caso, citare le parole del senatore Morra, esponente 5 Stelle e presidente della Commissione antimafia. Le sue parole sono queste: “Il subappalto è il grimaldello preferito dalle mafie per entrare nei lavori pubblici”. Se così è, cari colleghi 5 Stelle, voi contribuirete, con il vostro voto positivo a questo provvedimento che amplia lo spazio del subappalto, a rendere più robusto questo grimaldello e ad aiutare le mafie a radicarsi ancor più nel settore dei lavori pubblici.

Alcune considerazioni intendo farle sulle norme dedicate al processo di ricostruzione connesso agli eventi sismici che hanno colpito il Centro Italia nel 2016 e nel 2017. Su questo tema, il decreto avrebbe dovuto stupirci con effetti speciali, quelli a lungo annunciati, ma ben presto svaniti, in un testo che riserva poche novità, ancor meno impegni e pressoché zero risorse. Il sottosegretario Crimi ha tentato un'imbarazzata difesa d'ufficio del Governo, insistendo sul fatto che è difficile correggere scelte sbagliate, ovviamente quelle degli altri, ma in campagna elettorale Lega e 5 Stelle non affermavano questo, proclamavano, bensì, che le soluzioni fossero a portata di mano.

La situazione, in particolare nell'entroterra, resta ancora oggi oggettivamente drammatica. La ricostruzione procede con estrema lentezza, l'economia nelle aree interne è ridotta a pura lotta per la sopravvivenza e continuano, inesorabili, a far sentire i loro effetti negativi fenomeni come lo spopolamento e la perdita dei servizi, che già caratterizzavano questi territori prima del terremoto; a ciò si aggiunga, ed è forse la nota preoccupante, che si diffonde ogni giorno di più, nella popolazione, ma anche tra gli amministratori locali, uno stato d'animo di sfiducia e di rassegnazione. Il commissario straordinario Farabollini, nell'audizione dello scorso gennaio, in Commissione ambiente di questa Camera, comunicava che le istanze di contributo attese ammontano a oltre 90 mila, quelle presentate a 13 mila, quelle completate a circa un migliaio e già la crudezza di questi dati è in sé drammatica. Tutto questo segnala la necessità di una svolta, richiamerebbe un impegno straordinario e imporrebbe scelte chiare e coraggiose, ma di tutto questo non c'è alcuna traccia nel provvedimento in esame.

Anzi, il pasticcio della busta paga pesante, ed è un pasticcio che è di questo Governo, è tutto di questo Governo, segnala, da un lato, pressapochismo, dall'altro, disinteresse. Dal 1° giugno era prevista la restituzione in 120 rate dei benefici di cui alla busta paga pesante e dopo pressanti richieste il Governo decide di prorogare la restituzione, ma, prima, al 31 ottobre, poi, al 15 dello stesso mese, senza intervenire sulla riduzione della misura della restituzione, di cui pur ancora oggi il sottosegretario ha parlato e che potrebbe essere una misura adottata in occasione dell'approvazione della legge di bilancio, ma, in questo caso, non riesco a comprendere come mai la proroga della restituzione sia finalizzata al 15 ottobre e non al 31 dicembre di questo anno. Ma questo provvedimento tardivo del Governo ha generato caos tra lavoratori, pensionati e imprese, perché il Governo ha garantito la proroga, forse ignaro che un emendamento approvato in una Commissione di un ramo del Parlamento non ha alcuna forza di legge. Alla fine di tutto ciò arriva la beffa, la proroga è prevista dalla norma, ma, di fatto, è come se non ci fosse e gli interessati dovranno comunque provvedere a restituire le cinque rate riferite al periodo giugno-ottobre e, poi, rateizzare, del caso, il resto.

Tutto questo segnala che le politiche legate alla ricostruzione del Centro Italia sono del tutto marginali nelle scelte del Governo. Eppure, stiamo parlando di una delle calamità più disastrose che abbiano colpito il nostro Paese negli ultimi decenni, con quattro regioni, dieci province, più di centotrenta comuni coinvolti, oltre trecento vittime, quasi quattrocento feriti e 40 mila sfollati.

I potenti riflettori della propaganda, che le forze politiche che oggi governano avevano acceso su quegli eventi per lucrare il massimo vantaggio elettorale, oggi si sono spenti e le soluzioni radicali e tempestive garantite in campagna elettorale oggi hanno lasciato il posto a provvedimenti emanati col contagocce, tra l'altro non sempre lineari né convincenti.

Le misure degne di nota potremmo circoscriverle, in questo provvedimento, per quello che riguarda la ricostruzione, alla possibilità per i comuni di gestire le istruttorie per i danni B e C e per una parte E (anche se per la parte E c'è una complessità che dovrebbe fare riferimento ad adeguate professionalità) e la possibilità per il soggetto privato di selezionare l'impresa dall'elenco dei soggetti iscritti all'anagrafe antimafia senza ricorrere alla procedura negoziata.

All'ultimo momento il Governo deve essersi reso conto che, per comuni che operano già in condizioni di emergenza, la facoltà attribuita di gestire ulteriori istruttorie sarebbe stata un affronto, se non accompagnata dalla possibilità di utilizzare del personale dedicato. Così ha provveduto in extremis a correre ai ripari, con la previsione di 200 assunzioni di nuove unità di personale per uffici speciali della ricostruzione e comuni.

Oltre a queste due misure non vi è nulla che sia degno di particolare menzione, nonostante la grande mole di suggerimenti e proposte venute dalle opposizioni, in particolare dal Partito Democratico; proposte nate, comunque, da esigenze reali e aspettative motivate. Di tutte le invettive e le accuse di manifesta incapacità rivolte ai precedenti Governi e commissari per la gestione della ricostruzione non è rimasta alcuna traccia nell'azione di questo Governo.

In realtà, non c'è stata alcuna discontinuità e gli elementi di continuità sono gestiti in modo sciatto e inconcludente; ne è un esempio l'attività del commissario straordinario, con pochissime ordinanze, per lo più di proroga e di ordinarissima amministrazione, a dispetto della svolta tanto indispensabile quanto annunciata dal Governo del cambiamento e, in realtà, anche dallo stesso commissario.

Voglio sottolineare, comunque, per andare velocemente a concludere, almeno un tema, cioè quello delle misure economiche. In realtà, dove il sistema produttivo diffuso, come nei territori colpiti, è un elemento identitario e una struttura portante del tessuto sociale, diventa decisivo il tema di un nuovo sviluppo economico, se si ha a cuore la rinascita di tante comunità e si vuole contribuire a dare loro un futuro. Purtroppo, ciò che sta avvenendo è la difficoltà e la lentezza nel rendere operative le misure già adottate dai precedenti Governi, con il progressivo esaurirsi delle risorse previste da quelle misure e la totale assenza di nuovi strumenti. Il Governo non può ignorare che ricostruzione e sviluppo economico non sono due temi distinti, ma due elementi dello stesso problema, in particolare per le aree interne.

Da questo punto di vista, per quanto riguarda le misure previste ma che non hanno visto ancora oggi alcuna attuazione, voglio citare i finanziamenti agevolati senza interessi, quelli previsti dall'articolo 24 del decreto-legge n. 189 del 2016, che ad oggi sono fermi, ad oltre un anno e mezzo dall'ordinanza che indicava come soggetto gestore della materia Invitalia, che avrebbe dovuto avviare l'attività; vi è poi il credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi, per i quali ancora attendiamo istruzioni e modulistica dall'Agenzia delle entrate, nonché il danno indiretto e via dicendo. Ricordo, ancora, la zona franca urbana, per concludere, che prevede - sì - un ampliamento, ma non prevede alcuna risorsa messa a disposizione per supportare questo ampliamento dei soggetti e della tempistica che viene estesa.

Da ultimo, per concludere, direi che la critica radicale che rivolgiamo a questo provvedimento riguarda certamente, con fondate motivazioni, i temi degli appalti pubblici, della proliferazione dei commissari, ma anche, con altrettanto fondate motivazioni, il tema della ricostruzione dei territori dell'Italia centrale, sul quale questo decreto si mostra ampiamente inadeguato a corrispondere alle esigenze pressanti e drammatiche che vengono dalle comunità colpite.

Da qui la nostra valutazione negativa, il nostro pieno dissenso e il nostro impegno a correggere scelte dannose e sbagliate che un Governo privo di credibilità e coerenza vuole imporre al Paese.