Grazie, Presidente. Signori del Governo, onorevoli colleghi, le confesso che sono un po' emozionato nel parlare a pochi minuti dalla mezzanotte perché viene davvero da chiedersi cosa succeda a Montecitorio a mezzanotte. Se fossimo sulla radio di Stato dovremo fermarci e ascoltare l'inno d'Italia: per un paio di notti, sì, lo potremmo anche fare, per un paio di notti lo faremo anche sulla radio. Da mercoledì da quanto ho capito non lo so se ascolteremo l'inno d'Italia o quello delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: staremo a vedere, capiremo. Però sono tante le cose che possono capitare a mezzanotte in quest'Aula: ci si aspetta che magari il tonno che dovrebbe essere stato levato dalla scatola si alzi e si metta a ballare o che il cocchiere che sta alle mie spalle, il segretario d'Aula, con la frusta si trasformi in un topolino.
Quindi cercate di capire una certa emozione per essere qui a chiudere gli interventi dopo dodici ore di lavoro tutti insieme e anche una voglia di sdrammatizzare, se me lo consentite, rispetto a un decreto che, tutti lo avete sottolineato, parte male già con il nome - ripeto: parte male già con il nome - il decreto di…non si può sentire quella parola abbinata a questa banalità, non si può sentire: dignità, onestà, verità. Ve la dico alla Nanni Moretti: le parole sono importanti, basta sequestrare le parole per farsi belli, basta violentarne il significato. In questo caso è davvero anche imbarazzante per voi che lo avete fatto. Se andiamo a vedere i contenuti la cosa non regge: post su post, fake news su fake news si toglie il significato a tutto. Ora che governate, fatti su fatti, anzi fatti su misfatti, ma entriamo un po' nel merito: un conto era montare false notizie, un conto era cercare di diffonderle nell'etere ma siamo arrivati al punto di creare un decreto-legge per poter parlare di qualcosa. Ecco io credo che questo tentativo di suscitare indignazione anche attraverso i nomi dei decreti, non certo sui contenuti, vada fermato, vada arginato. La parola “indignazione” si fa sentire oggi in quest'Aula e presto si ritorcerà contro di voi. Chiamiamolo con un nome: è il decreto Di Maio, tutto qua. È un decreto che serve a lui - possiamo capirlo - non serve assolutamente al Paese, non serve ai lavoratori perché è un decreto-proclama con l'unica differenza che questo spot questa volta costa ai cittadini, questo spot pasticcia il mercato del lavoro. Questa volta non viene via gratis: questa volta lascerà delle conseguenze negative sul campo. Sono altre le parole che dovrebbero descrivere il decreto. Sono tre parole: superficialità, annuncio, rinvio. Sono parole più appropriate, guardate, sono parole leggere, che galleggiano, che cercano di non affogare nel mare dei vostri annunci: si aggrappano alla durezza della realtà, emergono infine dalle nebbie del decreto-legge che, gratta gratta, non lascia nulla: superficialità, annuncio e rinvio.
Cosa producono allora queste parole che ben descrivono il decreto? Sono parole che non si gonfiano nell'aria - colleghi, sono contento di tenere desta la vostra attenzione a mezzanotte - non si gonfiano nell'aria come le solite bolle di sapone virali che potete facilmente soffiare ogni giorno comodamente seduti nella tastiera: no, producono un abbrutimento della realtà; producono un avvitamento dei problemi; producono un consumo improduttivo del tempo, anche del nostro; producono soprattutto l'allontanamento dei cittadini dalla fiducia nelle istituzioni che queste possano risolvere i loro problemi e forse proprio su questo voi fate affidamento.
Entriamo nel merito: ci sono delle modifiche - lo abbiamo ascoltato da altri interventi, non dal mio - che a volte sono semplicemente irrisorie come diceva anche il collega Fassina questo pomeriggio; a volte risultano contraddittorie e mi riserverò di indicarne qualcuna, spesso sono dannose e questo è un po' il carattere generalizzato del provvedimento. Il decreto sostiene di voler affrontare i temi importanti ma per citarne uno si limita, ad esempio, a parlare del problema delocalizzazione andando a finire per porlo in contrapposizione con il tema dell'internazionalizzazione: superficialità. Sulla semplificazione fiscale il decreto si accoda a provvedimenti già presi nella scorsa legislatura o crea ingiustificate differenze tra i contribuenti: superficialità.
Sulla ludopatia infine - ecco qui raggiungiamo il culmine - non affronta minimamente il tema. Si limita, con un divieto generalizzato incapace di differenziare, pigro nell'indagare la complessità del fenomeno, a vietare la pubblicità, senza avere il coraggio di parlare realmente della ludopatia. Se non fosse stato per un paio di decreti proposti dal Partito Democratico e dalle opposizioni non sarebbe minimamente affrontato il tema nemmeno nella forma che esce dalla nostra Commissione. Superficialità!
Veniamo al cuore del decreto (si fa per dire il cuore): il lavoro o il tema della precarietà. Il testo base che è arrivato in Commissione davvero lasciava sconcertati e lascia e hanno lasciato ancora più sconcertati i lavori della Commissione che hanno mostrato un approccio ideologico, con delle giravolte finali che non hanno prodotto nulla di convincente. È su questo punto che il decreto trova la sua vera identità e si definisce con la parola che meglio lo caratterizza: il “decreto d.”. È il “decreto disoccupazione”, perché è stato chiaro, fin dal primo giorno dei lavori in Commissione, che l'unico risultato certo di questo decreto sarebbe stato l'aumento della disoccupazione, ve lo ha detto il presidente dell'INPS, Boeri. Avete voluto ricorrere a quella cosa patetica della manina (manina, ciao ciao!). Peccato che in audizione abbiamo potuto ascoltare la verità dei fatti di quella manina. Non c'è stata nessuna manina e quei numeri erano a conoscenza del Ministero e del Governo una settimana prima che venissero depositati gli atti. Ve lo hanno detto le parti sociali, praticamente tutte, in audizione: il decreto crea pericolosamente disoccupazione. La vostra Commissione bilancio lo ha certificato nero su bianco, lo ha votato e ha spiegato che avremmo avuto maggiori costi per le indennità di disoccupazione prima e minori costi dopo per la diminuzione delle tutele, la diminuzione della NASPI, l'abbassamento del periodo lavorativo. È stato chiaro ed è l'unico aspetto chiaro del decreto. Alla fine ve l'hanno detto gli imprenditori. Allora, forse lì un pochino avete aperto le orecchie e ascoltato quello che l'opposizione vi diceva dal primo giorno. Si è riusciti a portare un emendamento, un piccolo emendamento nel totale disastro del decreto che rende meno costoso il lavoro a tempo indeterminato per i giovani (sorvoliamo sul come lo avete fatto).
Veniamo anche ad un altro tema: le slot machine. No, non la parte sui giochi: le slot machine delle causali, signori. Non voglio nemmeno affrontare il tema delle causali in sé. È e sono le motivazioni con cui sono stati sostenute le causali in Commissione che lasciano esterrefatti. Si è arrivati a teorizzare che lo spauracchio di un contenzioso, dagli esiti chiaramente imprevedibili, sia un'arma in mano ai lavoratori. Questa è un'idea sconfitta dalla storia, rifiutata dagli stessi sindacati. La casualità della causalità. Ecco, siamo arrivati a questo assurdo: il gioco d'azzardo che introducete voi è un gioco d'azzardo sulla pelle dei lavoratori e delle imprese e l'unico al tavolo che ci guadagna, ve lo hanno detto, sono gli avvocati giuslavoristi, con processi dall'esito incerto che naturalmente scoraggeranno il lavoro al suo inizio, nelle assunzioni.
Non si può, allora, che dare un giudizio estremamente negativo. Questo decreto crea confusione, perturba la coerenza di un percorso di innovazione del mercato del lavoro iniziato da anni ed è incoerente al proprio interno. C'è una cosa su cui il Ministro Di Maio ha avuto ragione e ha la mia condivisione: il lavoro non si crea per decreto. Su questo ha ragione: il lavoro non si crea per decreto. Ma è anche riuscito a dimostrare che il lavoro si può distruggere per decreto. Questo è un caso concreto, è un caso che verrà studiato. Sì, si potrà passare alla storia e si finirà sui libri di storia: il lavoro si può distruggere per decreto. Ed è soprattutto un decreto che disincentiva gli investimenti ed aumenta questo fattore di distruzione dei posti di lavoro.
Se poi ci aggiungiamo quello che in questi giorni state raccontando su Ilva, TAV e TAP, allora il tema degli investimenti rischia di essere davvero la Caporetto di questo Governo dei proclami che, però, alla prima prova dei fatti dà scarsa prova di sé.
Volete colpire e avete dichiarato di voler colpire il lavoro dei precedenti Governi Renzi e Gentiloni. Volete colpire il lavoro dei precedenti Governi, non ne siete capaci e arrivate a colpire il lavoro. Tutto qui; non siete capaci di colpire il lavoro dei precedenti Governi e vi limitate a colpire il lavoro. E non vi preoccupa nemmeno dare messaggi contraddittori sui voucher cosiddetti PrestO. Li avete sdoganati rispetto alla pregiudiziale ideologica che voi - che voi! - avete mostrato in precedenza, senza sapere operare in profondità, tant'è che lei relatore, che scuote il capo in questo momento, ne ha minimizzato effettivamente l'intervento. È proprio il chiaro esempio di incoerenza interna del vostro provvedimento, perché l'intervento sui voucher PrestO serve solo agli equilibri interni alla maggioranza. L'hanno capito tutti e lo sapevano tutti ben prima che l'emendamento fosse presentato. Questo è un altro esempio di come questo decreto non si occupa del lavoro e dei lavoratori ma si preoccupa dei vostri fatti interni.
Concludo, Presidente, e la ringrazio per la pazienza. Ho ascoltato attentamente il Ministro, prima in Commissione e oggi nella sua replica in Aula. Dalle sue parole, prima ancora che dal decreto, ne è emerso un atteggiamento ideologico e negazionista, aggiungo, per giustificare il proprio punto di vista. Si nega che esista il lavoro nero, si nega che esista la disoccupazione, si nega che esista la delocalizzazione o ci si illude magari di averla curata con questa aspirina scaduta. Ed ecco che allora, negando tutto quanto, finalmente c'è la pulizia interna del proprio pensiero. Io dico che quando si è consapevoli e si certifica che si creeranno dei disoccupati e lo si fa solo per poter parlare e riempirsi la bocca di precarietà, arrivando addirittura a fare un discorso totalmente ideologico, allora io non ho più avuto dubbi, proprio ascoltando il Ministro: pensavo fosse ideologia, ma mi sono convinto che in realtà si tratta, purtroppo, di ipocrisia.
Concludo, Presidente. Senza il minimo scrupolo ancora una volta si sceglie un problema solo per parlarne, si mostra un cambiamento che non esiste, si peggiorerà una realtà che si ignora deliberatamente. Ricordatevi, però, che la realtà è ostinata: riemerge sempre. Ne sarete sommersi voi e, purtroppo, ne faranno e ne fanno già le spese i cittadini italiani.