A.C. 2420
La ringrazio, la ringrazio signor Presidente, saluto la Sottosegretaria Frassinetti e il Ministro Valditara e, dopo questa mirabolante dichiarazione del collega Sasso, vorrei riportare un po' di realtà in quest'Aula a partire da un numero: 5.660. Non è un prefisso telefonico in questo caso, è il numero delle cattedre tagliate dal Governo Meloni nell'ultima legge di bilancio. Un numero scritto nero su bianco all'interno di quella legge, non un calcolo fatto per approssimazione, a cui, nell'anno scolastico 2026-2027, si aggiungeranno 2.174 posti in meno nel personale ATA. Quelle cifre, quei tagli, quei numeri - in queste settimane avrete ricevuto anche voi, colleghi della maggioranza, tante sollecitazioni preoccupate da parte di tante regioni d'Italia, da parte dei vostri collegi di elezione - stanno diventando concretamente cattedre e docenti in meno.
Un taglio che, tra l'altro verrà, suddiviso a livello regionale in base al calo percentuale degli alunni registrati in ogni regione, i cui risparmi - mi piace citare la circolare della Ragioneria dello Stato - dovevano essere versati, per quattro dodicesimi, al bilancio generale dello Stato, in un silenzio tra l'imbarazzato e l'indifferente da parte del Governo. Eppure, in legge di bilancio, in quelle nottate passate in Commissione bilancio, noi ve l'avevamo detto e avevamo ricordato che l'effetto sarebbe stato questo. Vorrei spiegare bene cosa avviene: si eliminano cattedre e le si vanno a tagliare in base al calo demografico di ciascuna regione. Quindi, di fatto, in quelle aree dove c'è un maggior calo demografico e dove c'è minore popolazione, che è costretta magari a spostarsi perché i servizi e le opportunità sono minori, si andranno a tagliare cattedre. Una parte di quelle risorse che si risparmiano, anziché lasciarle al Ministero dell'Istruzione, magari per fare meritorie attività di contrasto alla dispersione scolastica, di sperimentazione didattica e di sostegno all'autonomia didattica, che a parole sembra stare tanto a cuore al collega Sasso, si vanno a togliere e, magari, le si danno al bilancio generale dello Stato, magari a quello stesso Ponte sullo Stretto a cui erano state destinate le risorse che, originariamente, dovevano essere assegnate alle province. Questo è quello che si fa, al di là dei proclami e delle fantomatiche teorie che vengono ricordate o citate in quest'Aula. E non solo.
Vengo al provvedimento che oggi esaminiamo in quest'Aula. Con un emendamento, che è stato approvato in Senato, si fa anche di più. Che cosa si fa? Lo recito testualmente per evitare qualunque fraintendimento: “a decorrere dall'anno scolastico 2026-2027, il numero complessivo delle classi di scuola secondaria di secondo grado non potrà essere superiore a quello delle classi presenti nell'anno scolastico 2023-2024”. Che cosa vuol dire questo? Questo vuol dire che, a prescindere da quello che sarà l'effettivo numero di studenti presenti in ogni anno scolastico, le classi non potranno essere di più, con buona pace del tema del sovraffollamento che ci può essere nelle classi e della qualità dell'offerta didattica. C'è una sola parola per definire tutto questo: macelleria sociale ai danni della scuola.
Un taglio ragionieristico, colleghi, su cui sarebbe veramente interessante confrontarsi - e mi piacerebbe sentire anche il parere del Ministro - perché si fa un gran bel parlare di merito, di valorizzazione dei talenti e di autorità dei docenti, quando, in due anni, si abbatte una scure, in realtà, sul settore dell'istruzione. Mi si dirà che è il calo demografico, ovviamente, che però si può affrontare anche in modo diverso rispetto al modello del dimensionamento scolastico su cui, ogni anno, a inizio dell'anno solare, siete costretti ad intervenire proprio per aggiustare una norma che non regge. E forse, magari, ci vorrebbe il buon senso di intervenire definitivamente per modificare e cambiare - come abbiamo chiesto più volte - quella norma. Per costruire. Si potrebbe intervenire sull'emergenza sociale rappresentata dal calo demografico, facendone un grande tema nazionale, prevedendo che quelle risorse che oggi voi tagliate non tornino al bilancio dello Stato, ma restino a quel Ministero così importante per questo Paese. E invece la strada più facile - quella che praticate - è quella dei tagli. È facile, del resto, ed è senza sforzo, ma produrrà danni profondi e di lungo periodo sul nostro sistema di istruzione.
Ed è anche per questo motivo che questo provvedimento, che arriva oggi al voto finale, non ci può trovare d'accordo. Ci sono aspetti anche positivi in questo decreto, come quelli che sono stati introdotti nel passaggio al Senato rispetto allo scorrimento di specifiche graduatorie, le risorse che sono state incrementate rispetto al welfare studentesco, il tema delle norme di regolamentazione più stringenti dei cosiddetti diplomifici.
Ve ne diamo atto. E do atto anche alla Sottosegretaria Frassinetti e la ringrazio di aver accolto favorevolmente l'ordine del giorno che riguarda il tema del titolo del servizio civile, che è stato riconosciuto. Però ci sono tante criticità, è stato ricordato anche dal collega Caso: il tema del ritardo dei processi dei percorsi di abilitazione, il tema del caos dei concorsi e dei ritardi. E poi, venendo agli istituti tecnici, c'è un tema che non si può trascurare, anche in questo caso un taglio: riducete da 1.320 a 1.221 le ore destinate agli insegnamenti di istruzione generale nel primo biennio degli istituti tecnici. Questa è una norma, in realtà, che rischia di penalizzare concretamente - e ve l'hanno detto tutti i soggetti che sono stati auditi in Senato, tutte le forze sindacali -, in quella che è la vostra ossessione professionalizzante, la qualità del percorso iniziale di formazione degli studenti del primo biennio. E anche questo, ancora una volta, avviene senza alcuna risorsa aggiuntiva per i laboratori, per la formazione dei docenti, per l'innovazione. Si spreca una grande occasione, qual era quella rappresentata dalla riforma del PNRR relativa proprio all'istruzione tecnica.
E poi, non possiamo trascurarla, c'è la parte relativa alle università - di cui hanno parlato anche il collega Orfini, in dichiarazione di voto, questa mattina, e la collega Ferrari - che compare grazie a un emendamento approvato, nottetempo, in Commissione al Senato, in un decreto che si occupava inizialmente soltanto di scuola. E avviene con una grave forzatura compiuta dalla maggioranza. Mi sembra che, anche in questo caso, si applichi, in realtà, il modello del decreto “insicurezza”: si parte da un disegno di legge, quale era appunto il disegno di legge Bernini, che era all'esame del Senato, e poi, siccome si ha troppa fretta, nel caso del disegno di legge - è stato ricordato il perché questa mattina - si va avanti o a colpi di decreti-legge, oppure a colpi di emendamenti che vengono inseriti all'interno di un decreto-legge, facendolo, anche in questo caso, come? Andando a precarizzare la ricerca e intervenendo - mi spiace, ma devo ricordarlo - su un provvedimento, una figura, quella del contratto di ricerca, che era stata approvata nel 2022 dal Governo Draghi, di cui faceva parte anche l'allora Sottosegretario all'Istruzione, il collega Rossano Sasso.
Quel provvedimento era stato approvato a larghissima maggioranza e rappresentava un passo in avanti importante e significativo. Anche al Senato ci eravamo detti disponibili - ne parlano i nostri emendamenti, in questo caso, presentati dai colleghi senatori e ripresentati qui alla Camera - a intervenire per correggere quelle rigidità che potevano esserci, per tutelare i vincitori delle borse Marie Curie. Di fronte a tutto questo abbiamo trovato un muro di fronte a noi, e lo hanno trovato anche quei ricercatori che, in questo momento, stanno manifestando qui fuori, in piazza Montecitorio, per chiedere una cosa: dignità. Dignità del proprio lavoro. Abbiamo assistito alla banalizzazione del dibattito intorno a questo tema, come se soltanto alcuni avessero a cuore la qualità della ricerca e l'efficacia degli strumenti normativi a sua tutela. E invece così non è stato. Era più facile, ovviamente, come sempre, banalizzare il tema.
La valorizzazione della ricerca, insieme al pesante definanziamento del Fondo di finanziamento ordinario e al blocco del turnover per le università, con l'obbligo tra l'altro di riversare una quota dei risparmi al bilancio generale dello Stato, è uno schema che abbiamo già visto, sia per la scuola, che, ora, per la ricerca. E invece servirebbero, per tutti i settori dell'istruzione della ricerca, risorse all'altezza della media OCSE, retribuzioni dignitose e con piene tutele, perché queste, colleghi, cambiano realmente e concretamente la vita di una persona.
In questo momento, il mondo della ricerca è in fermento, lo citavo poco fa. E io voglio dare voce, in quest'Aula, a un estratto di quell'appello - sottoscritto da più di 2.000 docenti universitari - che recita: “Noi riteniamo che la ricerca sia un lavoro e quindi che qualunque rapporto di lavoro per ricercatrici e ricercatori a termine (…) non può che essere inquadrato in un normale rapporto di lavoro a tempo determinato, con tutte le relative tutele (maternità, malattia, ferie, contributi previdenziali adeguati, eccetera) (…). Una ricerca di qualità ha bisogno (…) di garanzie e indipendenza delle ricercatrici e dei ricercatori”. È proprio questo che voi state tradendo, approvando questo decreto in quest'Aula a suon di tagli come sempre. Vi chiedo un'operazione di coraggio, almeno di uscire dall'ipocrita retorica che spesso ammanta la discussione su questo tema. Non abbiamo la forza dei numeri per impedirvi di approvare quest'atto, ma abbiamo la forza per opporci, in quest'Aula e fuori da quest'Aula, come continueremo a fare nel Paese, nelle piazze, nelle Aule parlamentari, nel confronto quotidiano per continuare a dire che tutto questo non è e non sarà mai a nostro nome.
Proprio per questo esprimo il voto contrario del Partito Democratico.