Discussione generale
Data: 
Martedì, 2 Maggio, 2023
Nome: 
Paolo Ciani

A.C. 1112

Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, apriamo oggi la discussione sul DL n. 20 del 2023, il cosiddetto decreto Cutro, che non condivido e non condividiamo assolutamente nei suoi fondamenti ideali e in quelli giuridico-amministrativi.

La prima considerazione è proprio di tipo etico-culturale ed è legata anche alla comunicazione che il Governo e la maggioranza hanno dato di questo decreto. Lo hanno, infatti, chiamato decreto Cutro - ed è stato rivendicato pochi minuti fa -, con il nome di una località ai più sconosciuta, divenuta famosa purtroppo, questa località in Calabria, per un'immane tragedia: oltre 100 persone morte, molti bambini, donne e uomini, a pochi metri dalle coste del nostro Paese. Tutte persone che provenivano da Paesi in guerra o con limitazione dei diritti umani. Cito solo alcuni di questi Paesi: la Siria, l'Afghanistan e il Pakistan. Tutte persone, cioè, meritevoli per le norme di protezione internazionale. Il Governo ha deciso di utilizzare il nome del luogo di questa tragedia per un decreto che peggiora la vita dei migranti e che va a togliere misure di protezione per persone che fuggono da questi Paesi. Mi domando con quale logica e con quale faccia dinanzi a questa immane tragedia.

La seconda considerazione riguarda di più la comunicazione. Si tratta del tema, molto presente in questi giorni, di vantarsi di togliere la protezione, così come hanno fatto diversi esponenti del Governo in questi giorni. Come ci si può vantare di togliere la protezione? È assurdo e lo è umanamente e giuridicamente. Da sempre tutti, Presidente, a partire dai bambini e dai più piccoli, cercano la protezione, quella dei genitori e degli adulti, ma tutte le persone hanno sempre cercato protezione nelle difficoltà, nelle guerre e nelle carestie. Sempre l'essere umano ha cercato protezione in chi li governava, nei potenti, nello Stato, nelle leggi. Sempre l'essere umano ha cercato la protezione di Dio.

Sa, Presidente, si ragiona spesso sulle origini cristiane del nostro Paese e della nostra cultura. Il nostro Paese e il nostro continente sono disseminati di immagini e opere d'arte che ritraggono persone coperte dal mantello di Maria, in segno di richiesta e offerta di protezione dinanzi ai pericoli della vita. L'Europa stessa, come entità giuridica, è fondata sul diritto e sulla tutela dei diritti umani, esattamente sulla protezione, sulla protezione della persona. Per questo trovo assurdo aver passato settimane a vantarsi di voler eliminare la protezione. È una vergogna!

Non entro, poi, sul tema delle parole pronunciate in questi giorni da un importante Ministro sulla sostituzione etnica. Sono parole gravi - parole gravi! -, se non altro per le immani tragedie che alcune ideologie hanno prodotto ispirandosi a questi concetti nel nostro continente e poi in tutto il mondo (ma non è il tema di oggi).

D'altra parte, purtroppo, l'atteggiamento etico-culturale di questo Governo e di questa maggioranza rispetto al tema delle persone migranti è apparso subito chiaro e lo abbiamo sentito nuovamente dalle parole di un importante collega della maggioranza lo scorso giorno in Aula, peraltro parole totalmente fuori contesto in un intervento in cui doveva giustificare l'assenza dei suoi colleghi in Aula per il voto sul DEF. Ha ripetuto per tre volte che lui e loro i migranti se li vogliono scegliere (nemmeno fossimo al mercato delle vacche o, a quello visto in altre epoche, degli schiavi).

Sa, Presidente, questo discorso, questo refrain, mi ha fatto ricordare alcuni passaggi delle vicende dei nostri migranti italiani in giro per il mondo, in particolare le vicende che negli anni Sessanta hanno vissuto i nostri connazionali in Svizzera, ben raccontate dalle parole, spesso ricordate, di un giornalista e intellettuale di quel Paese, quelle di Max Frisch, nell'introduzione del libro, non scritto da lui, Siamo italiani - Colloqui con lavoratori immigrati italiani, pubblicato nel 1965. Frisch scrisse quelle parole divenute note: “Cercavamo braccia, sono arrivati uomini”. Sono parole importanti per spiegare l'umanità che si cela sempre dietro a ogni persona migrante.

Ma è molto interessante - e l'ho fatto in questi giorni - andarsi a rileggere tutto quello scritto, perché c'entra molto anche con la nostra vicenda attuale. Infatti, in un passaggio meno noto, l'intellettuale elvetico diceva - e cito - in maniera paradossale: “Ne abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di loro, di questi stranieri. Ma se il piccolo popolo svizzero non si facesse un vanto della propria umanità e tolleranza, il rapporto con la manodopera straniera, con i lavoratori stranieri, sarebbe più semplice. Li si potrebbe sistemare in veri e propri campi di raccolta, dove potrebbero perfino cantare. In questo modo, non si riempirebbero di stranieri le nostre strade”. Spesso ascoltando questa maggioranza e questo Governo ho la stessa impressione. C'è come un senso di fastidio di far parte di un sistema democratico e di un sistema di regole che tutela i diritti umani. Altrimenti, si potrebbero trattare i migranti come veramente meritano, come persone di serie C, e magari raccoglierli anche in campi, in veri campi di raccolta, dove potrebbero perfino cantare.

D'altra parte, basta vedere la realtà delle cose che riguardano i migranti nel nostro Paese e ne cito una che mi colpisce molto, ma colpisce soprattutto la vita di tanti. Due anni e mezzo fa in questo Paese c'è stata una regolarizzazione di lavoratori migranti, in gran parte lavoratori dei servizi alla persona e in parte lavoratori agricoli. Nella maggioranza, si trattava di lavoratrici che si prendono cura dei nostri cari, di persone che sono nelle nostre case. A due anni e mezzo di distanza, migliaia di quelle persone ancora attendono un permesso di soggiorno. Hanno pagato 500 euro per presentare la domanda due anni e mezzo fa. Lavorano, pagano i contributi, come i loro datori di lavoro italiani, ma le autorità ancora non hanno rilasciato un permesso di soggiorno, con tutta la mancanza di diritti che deriva da ciò. È una vergogna, una vergogna che dà la misura, tra le altre cose, di come ci si interfaccia con i lavoratori e le persone migranti, una vergogna per il nostro Paese.

Veniamo, ora, agli aspetti giuridici di questo decreto. In primo luogo, mi corre l'obbligo di sottolineare come il Governo, che tanto criticava questa pratica in passato, abusi della decretazione d'urgenza.

L'immigrazione e i migranti non sono un'emergenza, ma sono un fenomeno - direi un fenomeno epocale - che come tale va gestito, soprattutto in un Paese, come il nostro, che invecchia e nel quale le pensioni sono sorrette anche e soprattutto dai lavoratori e, tra loro, dai lavoratori migranti. Nel testo non c'è assolutamente nulla che possa, peraltro, incidere in termini positivi sulle cause della tragedia di cui abbiamo parlato o di tragedie analoghe, nulla per prevenirle, contrariamente a quello che è stato detto. Né, tantomeno, il testo interviene per creare nuovi canali legali, o regolari flussi o regolari canali di ingresso in Italia e in Europa. Le norme che incidono effettivamente sul contesto che ha portato a quel naufragio di Cutro non sono infatti affatto toccate, anzi - e lo abbiamo visto in questi mesi - le modifiche normative riconducibili al Governo in carica, che incidono in maniera negativa su quel contesto, sono le norme contenute nel decreto-legge ONG. Tale decreto rende più complicato più difficili e più ostacolabili le operazioni di soccorso in mare e, oltre ad essere stato il primo decreto-legge di questo Governo, interviene aggravando di fatto la situazione e aumentando la possibilità di morti in mare, come vediamo in questi giorni e in queste ore con alcune navi mandate a Civitavecchia o a Livorno, con prolungamento del percorso di soccorso.

Particolarmente grave, sul piano costituzionale, è l'abrogazione di molte norme relative ai permessi di soggiorno per protezione speciale, che, come ormai noto, è una protezione che spetta ai richiedenti asilo che non possono usufruire delle altre forme di asilo, ovvero lo status di rifugiato, che viene concessa a chi rischia la persecuzione per motivi sessuali, religiosi o etnici nel proprio Paese di origine, ovvero la protezione sussidiaria per i cittadini dei Paesi in guerra. Questa forma di protezione, di fatto, nasce dall'abrogazione della tutela umanitaria la cosiddetta protezione umanitaria, intervenuta nel 2018 per effetto del cosiddetto DL Salvini, il decreto-legge n. 113 del 2018. Prima di questo decreto l'articolo 5, comma 6, del testo unico per l'immigrazione prevedeva che, nel caso in cui l'autorità amministrativa si fosse trovata nella condizione di rifiutare o di revocare un titolo di soggiorno al cittadino straniero, la scelta doveva essere valutata anche alla luce di quelli che potevano essere i seri motivi, in particolare di natura umanitaria, che dovevano e potevano giustificare il mantenimento del permesso di soggiorno. Sulla base di questo inciso, si strutturava quella che era conosciuta come protezione umanitaria. Nell'abrogare ciò il decreto-legge Salvini introduceva, però, una sorta di protezione speciale attraverso il riferimento all'articolo 19, comma 1 e comma 1.1, del testo unico per l'immigrazione, che disciplinava i divieti di espulsione cioè quelle condizioni che impongono di non espellere il cittadino straniero dallo Stato italiano. I due commi prevedevano nella realtà una applicazione limitata a pochi casi, già peraltro garantiti dalla protezione internazionale. Fortunatamente, sull'articolo 19, è poi intervenuto il decreto-legge Lamorgese, che ha specificato che il divieto di espulsione viola il diritto alla vita familiare e privata del cittadino straniero, un diritto sancito dall'articolo 8 della CEDU, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, un diritto di spessore importante, perché in realtà è un diritto che tutela la vita che il soggetto ha costruito nel corso della sua esistenza e, nel caso specifico, del migrante (cosiddetta integrazione). Si dà peso e importanza al processo di radicamento del cittadino straniero nel territorio nazionale. Vanno - o meglio andavano - quindi valutati i legami sociali e affettivi costruiti nel corso degli anni e le esperienze lavorative, anche comparate con la situazione del richiedente in caso di rimpatrio nel Paese di origine. Ebbene, tanto è stato, che questo Governo è riuscito nell'intento di far venir meno il divieto di espulsione, sancito in rapporto al radicamento del cittadino straniero e anche a tutti gli indicatori di radicamento sociale appena citati, e va ben oltre, precludendone la possibilità di trasformazione in permesso di soggiorno di lavoro, con pesanti conseguenze sia sulle persone che godono di questa protezione e che avevano consolidato virtuosi percorsi di integrazione in Italia sia sui contesti di riferimento, perché spinge verso l'irregolarità chi sta regolarmente lavorando, proprio in un momento in cui tutte le forze produttive del Paese chiedono una consistente immissione nel mercato di forza lavoro, anche di forza lavoro di cittadini stranieri. Si tagliano le tutele sanitarie perché, abrogando la formula “gravi condizioni psicofisiche”, rimangono solo le patologie di particolare gravità, ma solo se non adeguatamente curabili nel Paese di origine. Si vanno a restringere le maglie che garantivano tutela mediante il permesso per calamità, per cui si parlerà di gravi calamità contingenti ed eccezionali, il cui rinnovo sarà consentito per soli 6 mesi dal primo rilascio. Insomma, un capolavoro di compressione di diritti e libertà fondamentali, perché questi diritti e queste libertà sono sanciti nella nostra stessa Costituzione, all'articolo 10, che recita che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”, nonché nelle convenzioni cui l'Italia ha aderito, come la Convenzione di Ginevra del 1951, che protegge lo straniero in caso di fondato timore di persecuzione internazionali, nella stessa CEDU prima citata e nella Carta di Nizza ovvero la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, cui l'Italia ha convintamente aderito sin dalla sua origine, proprio perché aveva l'obiettivo di creare un'Unione sempre più stretta tra i suoi popoli, fondata sul principio di solidarietà e collaborazione. L'effetto della scelta improvvida e del tutto ingiustificabile operata da questo provvedimento, sia alla luce del diritto internazionale sia del nostro sistema delle fonti, sarà sicuramente anche quello di incrementare il numero delle persone irregolari - non clandestine, ma irregolari! - che non potranno essere allontanate in mancanza di accordi per il rimpatrio con la maggioranza dei Paesi dai quali provengono, dando luogo così ad una situazione che, lungi dall'essere di prevenzione e contrasto dell'immigrazione irregolare, come recita il titolo del decreto-legge, finirà inevitabilmente per alimentare lo sfruttamento e il lavoro nero e per accrescere il rischio, per coloro che si troveranno i margini della società, di diventare una potenziale facile preda della criminalità. È inoltre probabile che l'abnorme e irragionevole compressione della protezione speciale determini l'attivazione di moltissime azioni giudiziarie, volte a far accertare la sussistenza di diritti fondamentali non adeguatamente tutelati.

Occorre poi fugare alcune inesattezze, come quella sostenuta più volte pubblicamente dal Governo e da membri della maggioranza, per cui l'Italia sarebbe l'unico Paese in cui è prevista la protezione speciale. Infatti, forme simili sono presenti in 18 Paesi europei su 27. La Francia e la Germania, ad esempio, hanno normative che sono molto simili alla nostra protezione speciale, mirano a stabilizzare le persone che possono dimostrare un radicamento sociale e fanno riferimento anche loro all'articolo 8 della CEDU. Secondo Eurostat, nel 2022, sono stati complessivamente 11.000 i cittadini stranieri che hanno ottenuto la protezione speciale in Italia. Nello stesso periodo in Spagna sono stati circa 21.000 e in Germania oltre 30.000, tanto per dare un'idea di come questa protezione speciale rappresenti un reale strumento di politica delle migrazioni. Alla prova dei dati la soppressione della protezione speciale porterà ad un incremento notevole delle persone senza titolo di soggiorno.

Un'altra piccola specifica merita il dichiarato fine di questo provvedimento di porre rimedio a una presunta inadeguatezza delle sanzioni previste per le diverse ipotesi di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare, dal momento che già secondo la legislazione previgente, in caso di vicende come quella di Cutro. i responsabili del naufragio potevano essere puniti con sanzioni che raggiungevano il limite massimo di 30 anni di reclusione. Il vero risultato che si ottiene è dunque quello di impedire l'applicazione di pene proporzionate nei casi di minore gravità, avendo fissato il limite di pena minimo di 20 anni, quando dal favoreggiamento derivi, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone. Insomma, si tratta di un proclamo, come testimoniato dall'impegno del Governo di cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo, più che una reale e concreta soluzione al problema.

Siamo sicuri che, nel caso di morte non voluta di una persona o più di quelle trasportate possa essere di dieci, quindici, venti o trent'anni di reclusione, può davvero rappresentare un ostacolo a un fenomeno di questa portata?

Appare ovvio che l'intero provvedimento, che si fonda sull'evidente insensatezza di fermare con gli strumenti repressivi il fenomeno dell'immigrazione, sia improntato a una logica punitiva nei confronti dei migranti, assolutamente poco lungimirante e niente affatto risolutiva dei problemi legati al fenomeno delle migrazioni. Basti guardare, ad esempio, agli emendamenti della maggioranza, approvati al Senato, che hanno eliminato i corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio per i migranti ospiti dei centri di accoglienza, servizi utili per la loro futura integrazione. Solo una riforma profonda delle normative sugli ingressi, un solido sistema di accoglienza e di supporto all'integrazione sociale e la creazione di una cornice di diritti e di doveri per ogni cittadino migrante possono essere la risposta al fenomeno della migrazione e non certo l'ingannevole e mendace promessa di allontanare dal territorio nazionale persone che richiedono protezione.

Vorrei concludere, Presidente, con le parole che Papa Francesco ha pronunciato pochi giorni fa nella sua visita a Budapest, proprio nel cuore di quel blocco di Visegrád. Diceva: «È urgente, come Europa, lavorare a vie sicure e legali, a meccanismi condivisi di fronte a una sfida epocale che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme, non sarà». È inutile che continuiamo a parlare della denatalità nel nostro Paese e contemporaneamente si continua a denigrare l'accoglienza; lo sappiamo tutti, la nascita di un bambino è una grande scelta di accoglienza e se continuiamo a bombardare i nostri cittadini che accogliere è da stupidi difficilmente si invertirà il fenomeno della denatalità, teniamone conto. Occorre urgentemente aprire un dialogo serio, direi deideologizzato, sul tema delle migrazioni e dell'accoglienza per far sì che le persone che attraversano i confini e ancor più i muri di indifferenza su cui spesso si infrange la loro speranza di una vita migliore, trovi invece ponti, corridoi, canali legali per bambini, donne e uomini che, come ogni essere umano, come ognuno di noi, cercano solo una vita migliore da vivere.