Data: 
Lunedì, 22 Luglio, 2019
Nome: 
Fausto Raciti

A.C. 1913-A

Presidente, voglio dire in premessa che mi fa molto piacere intervenire in presenza del vero Ministro dell'interno, il sottosegretario presente qui con noi a questa discussione, perché mi risulta, a differenza del Ministro, impegnato nell'attività amministrativa: probabilmente perché il vero titolare di quel Dicastero, almeno, il titolare formale di quel Dicastero è troppo impegnato ad evitare la discussione in queste Aule parlamentari su altri argomenti, che evidentemente considera ben più spinosi di quelli in questo momento all'ordine del giorno.

Io credo che il primo emendamento che dovrebbe riguardare questo decreto-legge dovrebbe occuparsi del titolo del decreto-legge. Questo non è un decreto-legge “sicurezza”, tantomeno un decreto-legge “sicurezza bis”: questo è un decreto-legge “angheria”. Angheria è una parola che viene dal greco, angaros: angaros era un messo degli imperatori persiani, il quale su ordine dell'imperatore poteva imporre tributi e prestazioni a coloro i quali gli si trovavano a tiro. L'angheria non sarebbe tale se non avesse questa origine: un'origine che non è collegata a un interesse dell'impero, dello Stato, ma ad un interesse diretto dell'imperatore.

Prima di me l'onorevole Fiano ha illustrato bene qual è lo spirito vero di questo decreto-legge. Io ho qualche domanda rispetto alla norma in questo momento in discussione. Ipotizziamo per un attimo che a trovare in mezzo al Mar Mediterraneo un gruppo di naufraghi, non clandestini, naufraghi, che è una condizione giuridica specifica, non sia la nave di una ONG, ma sia, come è già successo in passato, un peschereccio, una nave commerciale, una nave cargo, con probabilmente un carico deperibile. Io mi chiedo per quale ragione mettere il capitano della nave e l'armatore di fronte alla scelta di rispettare le leggi internazionali o il diritto italiano; per quale ragione chiedere a un armatore o ad un capitano di doversi documentare sulla recente attività amministrativa ministeriale del nostro Paese, per capire quante possibilità ci siano, nel caso in cui lui decida di salvare i naufraghi come il diritto internazionale gli impone, di ritrovarsi in un Paese che non solo gli infligge una multa, ma gli confisca pure la nave.

Io mi chiedo per quale ragione impiegare tempo ed energie in una cosa così: attività, ore di discussione parlamentare. Perché il punto debole di questa vicenda, di questa discussione è che è vero quello che hanno detto molti miei colleghi prima di me, e vista la proporzione degli interventi rispetto agli altri gruppi parlamentari immagino sia ormai chiaro agli atti della discussione, e cioè che è ampiamente prevedibile, come d'altronde è già avvenuto nel caso della Sea-Watch, che questo decreto-legge venga disapplicato in conformità alle normative internazionali; ma è altrettanto vero che non è questo, o non solo questo, che impedisce a questo decreto-legge di dispiegare i propri effetti. Li dispiega in una forma inutilmente cattiva, pretestuosa, umiliante, non solo nei confronti delle organizzazioni non governative, i cui capitani, consentitemi, meriterebbero una medaglia, non una sanzione amministrativa; ma anche nei confronti di coloro i quali potrebbero, com'è già successo, ripeto, trovarsi nella condizione di dovere - perché questo imporrebbe loro il diritto internazionale - salvare delle persone dal mare. Questo è il punto!

Per quale ragione queste persone dovrebbero interrogarsi su qual è l'opinione del Ministro dell'interno, e non su qual è invece la legge italiana, o l'opinione di un magistrato. Questo elemento di discrezionalità guardate che ha un prezzo: perché anche qui è vero che nel corso degli ultimi anni gli sbarchi sono diminuiti, ma la proporzione dei morti in mare rispetto al numero di persone sbarcate è aumentata. Siamo 1 a 4, una persona su quattro muore nella traversata; e se crediamo a quello che facciamo, e se sappiamo e abbiamo la consapevolezza che quello che facciamo ha delle conseguenze, io non credo che l'attività recente di questo Governo lo scagioni e lo liberi dalle responsabilità rispetto a quella che sembra una statistica, ma che poi si traduce e impatta sulla possibilità di sopravvivenza di donne, uomini e bambini.

È molto facile commuoversi di fronte alle foto che hanno così fortemente impattato sull'opinione pubblica europea, a volte addirittura sull'opinione pubblica mondiale, di uomini, donne e bambini affogati, alcuni nelle traversate dal Messico agli Stati Uniti, altri nel nostro Mar Mediterraneo. Il caso del piccolo Alan Kurdi è diventato un caso che ha interessato e scosso buona parte dell'opinione pubblica europea. Ma questi provvedimenti hanno una conseguenza, hanno una ricaduta sulla possibilità di questi disperati, di questi naufraghi di avere un futuro.

Come se non bastasse, nel corso della discussione parlamentare questo provvedimento è stato addirittura peggiorato. Intanto perché nella discussione parlamentare è stato segnato un precedente, unico: sono state inibite alcune audizioni, tradendo il principio per cui questo luogo dovrebbe essere non dico una casa di vetro, ma un luogo in cui tutto il Paese possa sentirsi rappresentato anche al di là delle parti politiche. E in secondo luogo perché l'inseguimento dentro la maggioranza ha determinato un farsesco aggravamento delle sanzioni: dalla confisca immediata della nave, che non era prevista nel testo originale del decreto-legge, nel quale si prevedeva la possibilità di confisca solo in caso di reiterazione di questo presunto reato; fino ad una crescita esponenziale e parossistica delle sanzioni, che non solo è assolutamente disproporzionale, ma che rende la lettura di questo provvedimento grottesco, lo rende nei termini di una provocazione, non di un intervento legislativo.

Questo è un decreto-legge che in realtà ha come sottotesto una campagna politica, ferocemente condotta nel corso di questi ultimi anni dal MoVimento 5 Stelle e dalla Lega, che ha come momentaneo bersaglio le ONG in ossequio ad un teorema che si è rivelato falso, e cioè quello della complicità tra le organizzazioni non governative che effettuano i salvataggi in mare e i trafficanti; che arriva a questa discussione parlamentare drammaticamente peggiorato, e che costringerà a ricredersi anche quei settori della magistratura che hanno sostenuto, anche in sede di dibattito pubblico oltre che nella loro attività giudiziaria, che servisse un giro di vite perché era stato concesso eccessivo spazio alle organizzazioni non governative nel Mar Mediterraneo, in particolare nel Mar Mediterraneo centrale.

Oggi quei segmenti della magistratura si trovano un decreto-legge attraverso il quale il Ministero scavalca le loro competenze, segnando non solo un'ennesima rottura istituzionale, ma anche un potenziale conflitto: perché noi siamo sicuri che, come già successo, ogni volta che questo decreto verrà disapplicato in ossequio alle norme internazionali, ci troveremo di fronte alla dichiarazione del Ministro, in questo caso del Ministro Salvini - come, ripeto, è già successo – volta a indicare nell'atteggiamento della magistratura non l'atteggiamento di chi fa rispettare delle leggi interpretandole, ma di chi le forza in favore di un presunto principio umanitario. L'altra grande falsificazione su cui questo provvedimento si regge è che possa esistere una zona di salvataggio, di search and rescue libica. Stiamo parlando di un Paese in conflitto; il Ministro degli Esteri di questo Governo ha espresso parole inequivocabili su questo argomento ed io credo che questo Parlamento, nella discussione di questo decreto, sia costretto dal Governo a perdere l'ennesima opportunità per riconoscere la verità e cioè che quella zona di salvataggio semplicemente non esiste, non esiste perché la guardia costiera libica non ha là i mezzi e gli strumenti per poter effettuare i salvataggi, probabilmente non ha nemmeno fino in fondo le intenzioni, sicuramente quello è un Paese in conflitto, rispetto al quale ogni presunto salvataggio diventa immediatamente un respingimento collettivo e quindi l'ennesima violazione del diritto internazionale. L'effetto finale di questo decreto, nella sua straordinaria capacità di moltiplicare i conflitti istituzionali, è anche quello di moltiplicare le posizioni irregolari nel nostro Paese. Noi non possiamo fare finta di non sapere che questa discussione avviene a valle di un significativo taglio effettuato sul sistema dell'accoglienza italiana e sul fatto che questo decreto riprende l'abolizione e la soppressione di una significativa parte di commissioni interne per l'assegnazione del diritto d'asilo. Il decreto impegna il Governo a restituirle, nel caso si ripresentasse una nuova emergenza, nel frattempo quelle professionalità, che erano state assunte per questo con apposito concorso, professionalità fresche, capaci e competenti, vengono inviate altrove, vengono utilizzate per altri compiti e per altri scopi, imponendo anche un costo in termini di professionalità, di affidabilità, di efficacia e di velocità, visto che sta tanto a cuore la velocità dei procedimenti al nostro Ministero dell'Interno. E questo è quello che riguarda la parte più corposa del provvedimento, del decreto “angheria-bis”. Poi ce n'è un'altra, non meno significativa, non meno indicativa di una volontà politica generale, non meno preoccupante, soprattutto se anche questa viene inserita nel contesto all'interno del quale si sviluppa.

L'idea per la quale il Ministro dell'Interno, sulla base di una sua libera e autonoma valutazione, può impedire a un cittadino qualsiasi di partecipare ad una manifestazione - e questo dipende dalla sua discrezionale volontà - segna l'ennesimo passo che non va sottovalutato, che il nostro Paese compie nella direzione della democrazia illiberale, perché questo è il punto e questa è la finalità ultima del complesso di norme che abbiamo discusso nel corso di questi mesi e di cui questo decreto - e non c'era bisogno che fosse un decreto, perché non c'è nessuna urgenza che stiamo affrontando - è un tassello, è uno dei tasselli più politicamente significativi, più preoccupanti e più pericolosi, al netto dell'altissima possibilità che ha di essere non applicato e successivamente impugnato di fronte alla Corte costituzionale.

Siamo di fronte ad una campagna di isterizzazione della società italiana, siamo di fronte a un'enorme mobilitazione finalizzata alla distrazione della società italiana dalle priorità vere che questo Paese ha, siamo dentro a un'enorme bolla, con un'avvertenza però, soprattutto a chi la alimenta: queste bolle prima o poi scoppiano e, quando scoppiano, avremo intanto la certezza che, a rimetterci, saranno stati i bersagli di questi provvedimenti e la tenuta del nostro sistema costituzionale, ma attenti perché, quando scoppiano, poi si fa male il Paese, oltre che le forze politiche che hanno alimentato queste bolle. Infatti, noi stiamo qui a discutere del potenziale pericolo rappresentato da dei naufraghi, non dei clandestini, dei naufraghi, della gente che stava affogando in mare, e siamo distratti dal fatto che, ad esempio, nel comune di Vittoria ci sono figli di boss mafiosi che si ritengono sufficientemente sicuri di sé, dall'imbottirsi di cocaina e alcol e correre con il SUV in mezzo alle strade del centro - due bambini morti -, o dal fatto che a Torino si scopre che c'è un'organizzazione di estrema destra che dispone di un vero e proprio arsenale, degno di un'organizzazione paramilitare, o che magari in questo Paese è ritornata l'epidemia di eroina e che questa eroina da qualche parte arriva e probabilmente arriva con le barche, le stesse barche e le stesse navi che facciamo finta di non vedere perché siamo troppo impegnati a discutere del potenziale pericolo rappresentato per la sicurezza nazionale dalle ONG. Ora, siccome io credo che nessuno in questo Parlamento, né tantomeno al Governo, sia stupido, né mi ritengo legittimato a pensarlo, voglio suonare un campanello d'allarme: “Fermiamoci prima che sia troppo tardi! Fermatevi, prima che sia troppo tardi”! Guardate che queste bolle, prima o poi, si scontrano con la realtà e, quando si scontrano con la realtà, ci si accorge, spesso con dispiacere, che si è perso del tempo che si poteva dedicare a miglior causa, soprattutto se la causa con cui confrontarlo è la criminalizzazione di coloro i quali hanno deciso di spendere una parte della propria vita, delle proprie energie e del proprio denaro a soccorrere chi rischia di morire in mare a causa di una ormai inaccettabile distrazioni europea guidata e promossa contro l'interesse nazionale soprattutto dal Governo italiano, dal Governo del nostro Paese.

Anziché occuparci di ONG, e di farlo peraltro male, noi abbiamo la responsabilità, come Paese, di ritornare a scrivere una pagina di politica estera che guardi all'Africa. Ci avete, molto spesso, sbattuto in faccia lo slogan: “Aiutiamoli in casa loro”! E' stato sempre un modo per parlare di altro, perché in realtà, da parte di questo Governo non c'è stato nessun gesto che consentisse di aprire una discussione nuova sull'Africa, tantomeno sulla Libia, rispetto alla quale l'unico intervento necessario sarebbe un rapido ed efficace intervento volto allo svuotamento dei campi e all'accoglienza di coloro i quali in quei campi oggi vengono torturati, reclusi, schiavizzati, uccisi, scuoiati, torturati in ogni modo. Di questa politica non c'è traccia, non c'è traccia di nessuna forma di apertura, di dialogo internazionale con gli altri protagonisti che nel mondo potrebbero essere interessati a una stabilizzazione dell'Africa, non c'è traccia di nessuna idea e di nessuna politica che possa, nel breve o nel medio periodo, cambiare lo stato di cose nel quale quella parte del mondo si trova. Ma posso assicurarvi che, anche con scarse possibilità di successo, qualsiasi spazio di tempo e di energie fosse dedicato a quell'obiettivo, troverebbe non solo la solidarietà dell'opposizione, ma anche l'interesse a una discussione vera, l'interesse a rimboccarsi davvero le maniche. Piuttosto che fare questo, noi stiamo impiegando le energie del Parlamento per un provvedimento che - quando gli storici scriveranno i libri su quello che si è consumato nel corso di questi anni nel Mediterraneo - segnerà l'Italia tra i Paesi che si sono non solo voltati dall'altra parte, ma che si sono addirittura permessi di infierire su chi non si poteva difendere, su chi non aveva altra strada che quella che ha intrapreso, ritagliandoci un immagine che questo Paese non merita, perché ben altra intelligenza politica e ben altra umanità abbiamo dimostrato nel corso della nostra storia repubblicana.