Come ha appena detto il collega Sensi, questo provvedimento, inutile e dannoso, è ancora una volta figlio di una pericolosa cultura securitaria, che vede il Ministro dell'Interno come la figura dell'alchimista, chiamato a trasformare in consenso l'elemento primordiale della paura. Ma un Ministro dell'Interno deve garantire la sicurezza di un Paese, la sicurezza dei cittadini, non alimentare la paura, ma intervenire su quello che effettivamente genera insicurezza e paura: ad oggi, l'esistenza di un binomio, di un nesso fra insicurezza e immigrazione non è supportato da nessun elemento, né statistico né assoluto, ma solo da un tentativo, purtroppo finora in parte riuscito, di distogliere l'attenzione dei cittadini dal governo effettivo del Paese.
Pensiamoci un momento. Salvini, delle sue promesse elettorali, cosa ha mantenuto? Non la flat tax, non la riduzione delle accise sulla benzina; però, deve distogliere l'attenzione, magari anche dagli opachi business del “Russiagate”. Una paura, dunque, che si deve alimentare all'infinito: di questo si tratta. L'avevamo già visto in occasione del primo “decreto sicurezza”, così come con la giuridicamente inefficace nuova legge sulla legittima difesa; e lo troviamo confermato in questo secondo “provvedimento d'urgenza”, che trasmette fondamentalmente anche, tra le altre paure, la paura di manifestare, sanzionando addirittura come reato anche la resistenza passiva, e senza nessuna politica seria sull'immigrazione. E anche qui, che risultati ha avuto Salvini, oggi, sull'immigrazione? Prima il collega parlava del fatto che ha bloccato gli sbarchi: no, io dico purtroppo, visto il prezzo pagato, gli sbarchi non li ha bloccati Salvini, se è vero come è vero che sono drasticamente calati prima ancora che nascesse questo Governo, da giugno 2018, come testimonia il report pubblicato dallo stesso Viminale oggi, non due anni fa. Ha bloccato il businessdei migranti, come dice continuamente sui suoi tweet o sui social? Assolutamente no: con il “decreto sicurezza uno”, ha smantellato il sistema di protezione per i richiedenti asilo ed i rifugiati, gli SPRAR, ovvero i luoghi controllati dai comuni e dove si fa effettiva integrazione. Ho depositato insieme ad altri colleghi un'interrogazione in cui chiediamo conto di sette mesi di ritardati pagamenti sugli SPRAR, ma ancora non c'è risposta. Invece, ha alimentato i centri d'accoglienza straordinaria: quelli sì che fanno il business dell'accoglienza, mentre nello stesso tempo non c'è alcun bisogno di accoglienza straordinaria, perché appunto è diminuita la presenza.
E poi si dice che sono diminuiti anche gli irregolari, improvvisamente; mentre ci sono studi seri dell'ISPI, di altri istituti, che dicono che dopo la fine dei permessi umanitari praticamente ci saranno almeno altri 60 mila irregolari in più. E lo stesso Salvini fino a qualche mese fa aveva detto che c'erano 600 mila irregolari in Italia, e che ne avrebbe dovuti rimpatriare 200 mila l'anno; oggi, che non nei rimpatria più di qualche migliaio, scopre che gli irregolari in Italia sono solo 90 mila. Però, quando l'abbiamo chiesto al responsabile del Dipartimento, in audizione alla Commissione affari costituzionali, gli abbiamo chiesto quanti siano effettivamente, si è riservato di rispondere.
E dunque, ancora una domanda: ha modificato il Regolamento di Dublino, Salvini? No: il Parlamento europeo aveva approvato un testo della riforma – dove ovviamente lui non era presente o i suoi non hanno votato – che prevedeva la cancellazione della norma relativa al Paese di primo ingresso, perché questo è stato ed è il problema, ad oggi, dell'accoglienza. Bene: in quel caso non solo non ha voluto approvare quelle modifiche, ma anche oggi non c'è alla riunione dei Ministri dell'Interno per scontrarsi per modificare Dublino, mentre continua a scrivere sui social che questo è il loro obiettivo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
È dunque sempre solo propaganda lo stile di questo Governo. Il fatto, guardate, che questa propaganda paghi in termini di sondaggio, non significa che stiamo andando nella direzione giusta: non tanto per il futuro del Partito Democratico, ma soprattutto per il Paese. Anche negli anni Trenta in Italia il consenso era plebiscitario, e poi abbiamo visto come è finita!
Il decreto in esame dunque si colloca in un contesto in cui è difficile ravvisare effettivi bisogni di sicurezza e di ordine pubblico come fatto di emergenza, e quindi non giustifica la posticipazione dell'intervento parlamentare alla fase della conversione in legge. E, in più, aggiungiamo il rischio probabilmente che il ruolo del Parlamento si ridurrà ad un mero voto di fiducia, com'è stato finora, con il risultato ultimo di azzerare completamente il dibattito politico, che ovviamente non c'è stato in Commissione, attorno ad interventi normativi destinati ad incidere profondamente sui diritti fondamentali, come ha ben spiegato il collega Fiano, nel suo ampio intervento.
Gli elementi, dunque, di perplessità sono tanti e di rilevanza, e avrebbero dovuto trovare anche all'interno della maggioranza forme di confronto dialettico. E, invece, paradossalmente, mentre fuori imperversava la tempesta delle dichiarazioni, in Commissione si approvava il provvedimento senza alcuna voce critica; anzi, costringendo le opposizioni, come ha spiegato la collega Boldrini, ad allontanarsi, ad abbandonare la Commissione, dopo che c'è stata una inappropriata e parziale gestione della Commissione da parte della sua presidente, nel momento in cui sono stata letteralmente aggredita per aver semplicemente svolto la mia funzione parlamentare. Credo che sia stato un episodio gravissimo, non adeguatamente preso in considerazione dalla Presidenza.
Tornando al merito del provvedimento, da componente della Commissione trasporti vorrei evidenziare una serie di palesi incostituzionalità, rispetto alla cosiddetta questione dei porti chiusi, su cui vive la propaganda gialloverde. Questo decreto interviene normando i contenuti delle controversie e delle criticate direttive emanate dal Ministro dell'interno nell'ambito della cosiddetta politica dei porti chiusi; tale politica, se così si può chiamare, è stata oggetto di severe critiche anche da parte dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani che ha evidenziato la sua radicale incompatibilità con gli obblighi derivanti dalle convinzioni sul diritto internazionale, eppure, anche nel corso delle audizioni è stato più volte ribadito che, nonostante l'esistenza di una cornice giuridica di rango primario, non cambia evidentemente il sistema delle fonti sovranazionali, peraltro ratificate dall'Italia, all'interno del quale tali provvedimenti si inseriscono e che sono chiamati a rispettare gli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione.
Tuttavia, come afferma in un interessante articolo di stampa Andrea Natale, giudice del tribunale di Torino, qui si rileva una prima notizia, per chiudere i porti serve un provvedimento, non basta più un tweet. Sembra un dettaglio, afferma Natale, ma i ripetuti casi di chiusura dei porti via Twitter, che hanno provocato nella maniera più emblematica la vicenda anche del caso Diciotti, mettono in luce il fatto che l'esistenza di un provvedimento può paradossalmente rendere più evidente la catena decisionale, più agevolmente individuabili le responsabilità politiche e giuridiche e, sebbene con angusti spazi di interventi, sto citando sempre Natale, renderà quei provvedimenti giustiziabili dalla giurisdizione amministrativa. Ancora, prosegue Natale, questo è un punto molto importante, tale notazione conferma l'impostazione che diede il tribunale per i ministri di Catania alla richiesta di autorizzazione a procedere formulata nei confronti del Ministro Salvini per il caso Diciotti, laddove si escludeva che la decisione di chiudere i porti potesse essere qualificata come atto politico sottratto a qualsivoglia sindacato giurisdizionale.
Oggi, Salvini scappa dal Parlamento, ma scappa dal processo per il sequestro della nave Diciotti e per evitare rischi successivi si inventa il reato di giusto soccorso. Ma spesso il diavolo fa le pentole ma non i coperchi; proprio con decreto in vigore è stata possibile, attirandosi l'ira del capitano, l'ordinanza del GIP di Agrigento, perché il GIP di Agrigento è intervenuto a decreto vigente, questo è un fatto importantissimo, infatti la procura aveva chiesto per la comandante della nave la convalida dell'arresto eseguito dalla Guardia di finanza il 29 giugno, quando la comandante ha deciso di entrare nel porto di Lampedusa nonostante il divieto; il PM l'ha accusata di resistenza e violenza nei confronti della nave da guerra delle Fiamme gialle e di violenza per essersi opposta ai pubblici ufficiali. Il primo capo d'accusa viene cassato dalla GIP, perché le unità della Guardia di finanza sono considerare navi da guerra solo quando operano fuori dalle acque territoriali. Il secondo pure è giudicato infondato, perché sulla scorta di quanto dichiarato dall'indagata e dei video il fatto deve essere molto ridimensionato; la manovra pericolosa viene giustificata perché l'indagata ha agito in adempimento di un dovere. Ve lo spiega qual è il dovere: l'attività del capitano di salvataggio di naufraghi deve considerarsi adempimento degli obblighi derivanti dal complesso quadro normativo nazionale e internazionale.
Quindi, abbiamo una bocciatura in flagrante del decreto “sicurezza bis” in base al diritto, però, e non alle convinzioni politiche come furiosamente ha affermato Salvini, quando c'è stata questa decisione, perché, afferma esplicitamente la GIP, su tale quadro normativo non si ritiene possa incidere il decreto-legge n. 53 del 2019; il divieto interministeriale d'ingresso, transito e sosta può scattare solo in presenza di attività di carico e scarico di merci o persone, ma non è il caso in esame, perché si tratta di un salvataggio e per questo la nave non può considerarsi ostile, così come la resistenza a pubblico ufficiale viene ritenuta inevitabile, come esito dell'adempimento del soccorso che si esaurisce solo con la conduzione fino al porto sicuro, e questo è un altro dato. Libia e Tunisia non hanno porti sicuri e il decreto n. 53 del 2019 non ha nessuna idoneità, anche questo virgolettato rispetto alla sentenza della GIP, a comprimere gli obblighi del capitano e persino sulle autorità nazionali in materia di soccorso e salvataggio.
Ma, d'altra parte, è lo stesso decreto a contenere un espresso riferimento necessario rispetto agli obblighi internazionali. Ricordo a me stessa e all'Aula, ma le hanno citate altri colleghi, la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, le stesse convenzioni SOLAS e SAR, come modificate dagli emendamenti adottati dall'Organizzazione marittima mondiale nel maggio 2004, entrate in vigore nel luglio 2006, che impongono agli stati competenti per la regione SAR di cooperare nelle operazioni di soccorso e di prendersi in carico i naufraghi, individuando e fornendo al più presto la disponibilità di un luogo di sicurezza, inteso come luogo in cui le operazioni di soccorso si intendono concluse e la sicurezza ai sopravvissuti garantita. Così come le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare, adottate dal Comitato marittimo per la sicurezza dell'IMO.
Quindi, in che cosa si traduce questa norma primaria che viene introdotta con il decreto-legge? Probabilmente, solo il Ministro interessato non si è accorto di quello che gli è accaduto intorno e l'abbiamo anche sollevato in Commissione trasporti; è vero che si tratta del Ministro Toninelli e quindi di un Ministro probabilmente in scadenza, che nel corso di quest'anno di Governo si è distinto per la propria manifesta incapacità, però in questo decreto vi sono norme che privano proprio il MIT delle sue competenze, il Ministro delle infrastrutture, visto che la cosiddetta chiusura dei porti, articolo 83 del codice della navigazione, era propria della sua responsabilità ministeriale. Con il decreto, il punto di equilibrio tra le esigenze considerate dalle convenzioni internazionali, da un lato, e la protezione delle frontiere, dall'altro, sarà quindi fissato dal Ministero dell'interno e non più dal Ministero dei trasporti; è incredibile, perché, fino ad oggi, a tutti gli atti di sindacato ispettivo in cui abbiamo chiesto esplicitamente conto di questo fatto ci è stata data risposta di come vi fosse una abnorme invadenza del Ministero dell'interno sulla materia, il MIT ci aveva sempre confermato che la competenza sui terminali portuali fosse propria del Ministero delle infrastrutture e non di altri.
Quindi, concludendo, il risultato di queste misure è quello di rendere il Mediterraneo un mare pericoloso e insicuro, dove si costringono le ONG a rinunciare alle operazioni di salvataggio, con il prevedibile e drammatico rischio di un incremento dei morti in mare, perché gli sbarchi sono diminuiti perché i migranti vengono tenuti nei campi di detenzione libica o perché muoiono in mare. E che cosa succede a una ONG che ha prestato soccorso in mare, anche se abbiamo visto che ci sono gli elementi giuridici perché questa cosa possa essere messa in discussione? Intanto pesa sulla testa di un comandante che soccorre questi naufraghi in mare, non solo la sanzione amministrativa che va da un minimo di 50 euro a un massimo di un milione di euro, ma addirittura la confisca della nave, come se fosse una pericolosa organizzazione mafiosa, confisca della nave che può essere affidata a polizia, capitaneria di porto o Marina Militare.
La cosa incredibile è che in Commissione abbiamo assistito a una rivendicazione collettiva di tutte le forze di destra, MoVimento 5 Stelle compreso, di questa norma. Possiamo dire che con la complicità attiva del MoVimento 5 Stelle è stato introdotto con questo decreto il reato di umanità. Ma l'ha detto chiaramente anche il procuratore di Agrigento, Patronaggio: ad oggi non c'è nessuna prova di collusione tra trafficanti di migranti e organizzazioni non governative. Da che cosa è mosso, allora? Davvero questo furore ideologico, figlio di questa destra disumana, può continuare a calpestare verità, principi costituzionali, storia del Mediterraneo, cultura valoriale del nostro Paese? Salvare vite umane può diventare una colpa?
Vorrei brevemente raccontarvi quello che succede, perché viene spesso citato, ma non viene raccontato, quello che è successo, uno dei fatti che sono successi nei campi libici e non è un racconto tratto da un'opinione personale o da una testimonianza estemporanea, ma dal processo con condanna all'ergastolo dell'aguzzino, cittadino somalo, che nel campo di Bali Walid, in Libia, stuprava e torturava quelli chiusi in questo campo e attivava un sistema di ricatto collaudato, che è l'attività imprenditoriale più lucrativa ormai in Libia. Per la prima volta la Corte di giustizia di un Paese dell'Unione europea ha scritto nero su bianco quello che succedeva in questo campo. Cito: “Questo campo era dotato di un grandissimo hangar all'interno del quale venivano tenute recluse circa 500 persone. Intorno a questo capannone c'era un cortile sorvegliato da uomini libici armati. I migranti dormivano tutti insieme, uomini e donne, ed erano così ammassati che non c'era lo spazio per muoversi. L'hangar non era areato; le condizioni igieniche erano del tutto scadenti; c'erano pidocchi ovunque; molti migranti soffrivano di malattie della pelle. Non potevano lavarsi; il cibo fornito era scarso; i profughi erano costretti a rimanere chiusi senza poter parlare nemmeno tra di loro. L'aguzzino prelevava i reclusi ogni giorno, li portava in una stanza delle torture” - questo è scritto nella sentenza: non è un'opinione - “li tormentava con scariche elettriche; gli faceva colare addosso plastica incandescente; li appendeva per le mani e li colpiva con bastoni di gomma e spranghe di ferro; li lasciava per ore incaprettati a disidratarsi sotto il sole; per terrorizzare tutti ne uccideva qualcuno, lasciando i cadaveri esposti per giorni. Quotidianamente prendeva le ragazze, anche minorenni, e le sottoponeva a interminabili gravissime violenze sessuali (…)”. Una lettura insostenibile questa, ma è necessario far conoscere la sentenza perché tali crimini continuano ad essere perpetrati in Libia e sempre con nuove vittime.
Dunque, finisco, la Libia non è un porto sicuro e Carola Rackete ha fatto bene a dirigere la nave verso il porto sicuro più vicino. Io c'ero quella sera a Lampedusa, c'ero insieme ai colleghi Raciti e Migliore mentre la Sea-Watch 3 attraccava al porto e c'ero mentre un gruppetto di esagitati guidati da un ex senatrice della Lega insultava la capitana con epiteti sessisti e violenti. Ma questo gruppetto aveva un mandante, e non lo dico io: lo ha detto, il 9 luglio scorso, il sottosegretario Spadafora, subito zittito, che ha affermato testualmente: “L'ha definita criminale, pirata, sbruffoncella. Parole quelle di Salvini” - dice il sottosegretario - “che hanno aperto la scia dell'odio maschilista contro Carola, con insulti dilagati giorni e giorni sui social”. Ma dunque d'altra parte, senza lo scudo umano dei migranti, di cosa potrebbe parlare il Ministro Salvini? Ma è lui il capo della maggioranza e così, a fine luglio - qui è la fine di questa triste storia che viviamo oggi, in questi giorni - un Governo sull'orlo di una crisi di nervi alza bandiera bianca per manifesta incapacità e arriva un provvedimento su cui sono tutti d'accordo, anzi si fa a gara a chi mostra la faccia più cattiva. Ma, come diceva prima il collega Sensi, dobbiamo decidere da che parte stare: qui non si vota semplicemente un provvedimento di legge; si decide da che parte stare e io vorrei dirlo con le parole di Don Lorenzo Milani: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri (…) allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato; privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.