Discussione generale
Data: 
Mercoledì, 27 Settembre, 2023
Nome: 
Andrea Casu

A.C. 1373-A

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo e relatori, con il decreto n. 105 del 2023, ancora una volta, il Governo ricorre allo strumento della decretazione d'urgenza e, ancora una volta, mediante tale strumento, disciplina materie diverse e tra loro non collegate da alcun nesso funzionale. Citando l'intervento di chi mi ha appena preceduto, il problema non è solo che questo Parlamento conosce il suo ruolo e cerca di esercitarlo, ma che anche il Governo dovrebbe rispettare il ruolo dato al Parlamento dalla Costituzione. Lo denunciamo dall'inizio della legislatura e siamo costretti a farlo nuovamente oggi: viene utilizzato lo strumento della decretazione d'urgenza al di fuori del perimetro che la Costituzione gli concede, che, per l'appunto, come ha più volte sostenuto la Corte costituzionale, non può consistere in un'attività normativa che disciplina materie eterogenee. Qui, invece, siamo in presenza di un decreto che regolamenta le intercettazioni nei processi per reati di criminalità organizzata, che interviene sul processo minorile, che detta nuove regole in materia di infrastrutture per la gestione delle intercettazioni, che rivoluziona l'organizzazione del Ministero della Cultura, che stabilisce nuove norme in materia di 8 per mille, che cambia le regole in materia di contrasto al COVID.

Insomma, tanti temi e tutti diversi, per l'appunto senza l'osservanza dei limiti che la Corte Costituzionale impone al Governo, quando utilizza lo strumento eccezionale della decretazione di urgenza.

Sono riflessioni che ho elaborato leggendo il dossier che è stato predisposto dal Servizio Studi della Camera dei deputati per l'esame di questo provvedimento.

Fatemi ringraziare veramente tutto il personale della Camera, i funzionari, gli assistenti parlamentari che hanno lavorato straordinariamente anche in queste ore, in occasione dell'organizzazione dei funerali del Presidente Napolitano, e che ci hanno consentito anche oggi di portare avanti questa discussione.

Veramente grazie al loro lavoro, noi abbiamo anche questi ottimi strumenti: ecco, guardate il titolo di questo che dovrebbe essere un decreto legge ex articolo 77 della Costituzione: “Disposizioni urgenti in materia di processo penale, processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero delle tossicodipendenze, di salute, di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione”.

Tacito ci diceva; il crimine, una volta svelato, non ha altro rifugio che nella sfrontatezza.

Anche, nel merito, esprimiamo molte critiche.

Il contenuto del decreto legge è in molte sue parti irricevibile.

In materia di giustizia - partiamo dal primo tema che è stato al centro degli interventi che mi hanno preceduto - il Governo, attraverso le dichiarazioni della presidente del consiglio Giorgia Meloni, è intervenuto per contrastare, a suo dire, una sentenza della Suprema Corte di cassazione che aveva escluso nei procedimenti di criminalità organizzata l'uso del regime eccezionale di intercettazioni, se non vi fosse stata anche la contestazione dell'associazione a delinquere.

Il Governo sarebbe dunque intervenuto per impedire che nei procedimenti per reati monosoggettivi di criminalità organizzata fosse precluso l'uso del regime eccezionale di intercettazioni e, se già disposte, ne fosse esclusa l'utilizzabilità.

E per questo la Premier Meloni aveva annunciato l'adozione di una norma di interpretazione autentica.

Tuttavia, rispetto a queste dichiarazioni, si deve rilevare che due fatti smentiscono la ricostruzione del Governo e determinano che, attraverso questo atto, il Governo, anziché rafforzare l'azione di contrasto ai reati di criminalità organizzata, l'ha, clamorosamente rispetto agli annunci, indebolita: innanzitutto, con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, nel 2016 la Suprema Corte aveva già stabilito che per reati di criminalità organizzata, anche se non è contestata l'associazione, si applica il regime eccezionale delle intercettazioni.

In secondo luogo, avendo il Governo adottato una norma “nuova” e non una norma di interpretazione autentica, ha determinato che la nuova norma, che consente un uso eccezionale delle intercettazioni, si applichi da oggi in avanti (e dunque non vale per il passato).

E anche il secondo comma, laddove è scritto che le nuove norme si applicano ai procedimenti in corso, se si intendesse che si applicano nelle intercettazioni già disposte, sarebbe incostituzionale; se invece intendesse, come è ovvio, che si applica sia ai procedimenti pendenti, ma solo per le intercettazioni da disporre, e non anche a quelle già disposte, cancellerebbe l'uso delle intercettazioni nei procedimenti già in corso e che ha già assunto; al contrario di quanto consentito sino da oggi dalla Corte di cassazione.

Insomma, questo intervento indebolisce la capacità di repressione dei reati, al contrario di quanto dichiarato dalla Premier Meloni, un vero disastro.

Ma ci sono anche altri interventi criticabili - per risparmiare tempo in questa fase interverremo soprattutto sulle parti sulle quali vi è divergenza e non sulle parti sulle quali ci può essere anche una convergenza da parte dell'opposizione.

Quanto agli interventi del decreto legge su materia sociale e sanitaria si può evidenziare quanto segue: gli articoli 7 e 8 modificano la normativa relativa alla destinazione della quota dell'otto per mille dell'Irpef attribuita alla cosiddetta gestione statale.

In particolare, l'articolo 7 reca misure relative alla destinazione della quota dell'otto per mille dell'Irpef attribuita alla diretta gestione statale, oggetto di ripartizione dell'anno 2023 riferita alle scelte non espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi, prevedendo che essa sia utilizzata prioritariamente per finanziare interventi straordinari per il recupero delle tossicodipendenze e delle altre dipendenze patologiche.

L'articolo 8 reca modifiche agli articoli 47 e 48 della legge 20 maggio 1985, n. 222, sempre in materia di destinazione della quota Irpef e dell'8 per mille, prevedendo a regime, a partire dalle dichiarazioni dei redditi presentate nell'anno 2023 e dal riparto delle risorse delle annualità successive, una nuova finalità di destinazione delle risorse di competenza statale, relativa a interventi straordinari per il recupero delle tossicodipendenze e delle altre dipendenze patologiche.

In particolare, l'articolo 48 della legge citata, prevede che la quota dell'otto per mille di competenza dello Stato sia utilizzata per interventi di carattere straordinario in cinque settori: fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati dei minori stranieri non accompagnati, conservazione dei beni culturali, ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili adibiti all'istruzione scolastica di proprietà pubblica (Stato ed enti territoriali).

Quindi, in definitiva, non vengono stanziate risorse aggiuntive ma semplicemente si amplia la lista dei beneficiari, riducendo di fatto il finanziamento per altri importanti destinazioni attualmente previste dalla normativa sull'8 per mille, tra cui la lotta alla fame nel mondo, l'assistenza ai migranti - e vediamo quanto sia attuale questo tema - e l'adeguamento strutturale degli edifici scolastici.

Inoltre, la generalità delle disposizioni, che non consente di conoscere i potenziali destinatari dei finanziamenti e il fatto che non vi sia alcun riferimento alla prevenzione e all'educazione dei giovani rispetto alle dipendenze, rende il tutto estremamente discrezionale, con il rischio che tali fondi possano essere utilizzati anche sul fronte della repressione del consumo o per la riduzione delle possibilità terapeutiche, squalificando di fatto l'operato dei SerT che intervengono direttamente rispetto a tali problematiche. Si deve fare di più contro la droga e contro le dipendenze, ma non in questo modo.

Quanto all'articolo 9, comma 1, partendo dal mutato quadro epidemiologico e dalla fine dello stato di emergenza, si pone fine all'obbligo dell'isolamento delle persone positive al SARS-CoV-2 e all'auto sorveglianza dei contatti stretti di soggetti confermati positivi al medesimo virus.

In altre parole, i positivi al COVID non sono più obbligati a restare a casa, i contatti stretti non sono più obbligati a portare la mascherina in determinati contesti ( i dispositivi di protezione per vie respiratorie di tipo FFP2 fino al quinto giorno consecutivo la data dell'ultimo contatto stretto con soggetti confermati positivi).

Pur riconoscendo il superamento dell'emergenza sanitaria, la fine di tali obblighi, in un momento in cui si assiste ad un incremento dei contagi, non deve comunque farci abbassare la guardia.

La situazione nei pronto soccorso è critica, le liste di attesa non accennano a diminuire, mancano in troppi territori i medici di famiglia e le misure volte a potenziare la presenza della medicina territoriale in tutte le realtà non sono ancora state applicate.

Manca un adeguato incremento del finanziamento del sistema sanitario nazionale - anzi stiamo purtroppo andando nella direzione opposta su questo tema e vi è in atto una mobilitazione forte di tutto il Partito Democratico a livello nazionale;

inoltre, sarebbe stato auspicabile che, insieme all'abolizione dell'isolamento e dell'auto sorveglianza, si fosse dato vita alla campagna vaccinale contro il virus del COVID.

Campagna che invece è ancora in alto mare e, non essendo ad oggi disponibili i nuovi vaccini né sono state diramate le indicazioni operative ai soggetti vaccinati, le uniche indicazioni certe sono quelle contenute nella circolare dello scorso 14 agosto, dove si afferma che, in fase di avvio della campagna, nell'eventualità di una disponibilità di dosi insufficienti a garantire un'immediata adeguata copertura, la vaccinazione sarà prioritariamente somministrata alle persone di età pari o superiore a ottant'anni, agli ospiti delle strutture per lungodegenti, alle persone con elevata fragilità, con particolare riferimento ai soggetti con marcata compromissione del sistema immunitario, agli operatori sanitari addetti all'assistenza negli ospedali e nelle strutture di lungodegenza.

Ho qui la circolare di agosto: oggi siamo al 27 settembre e la campagna vaccinale dovrebbe partire ai primi di ottobre.

Noi non abbiamo ancora indicazioni. Abbiamo soltanto l'indicazione di agosto, i test diagnostici sono a carico del cittadino, nulla è citato riguardo alle terapie con Paxlovid, che sono quelle indispensabili per le persone fragili e per riuscire veramente a fermare una dimensione del virus che sta tornando a prendere piede nelle nostre strade.

Abbiamo le denunce di tutti i sindacati e delle realtà territoriali: la federazione italiana dei medici di medicina generale, ad esempio nel Lazio, denuncia come manchi in questo momento un'organizzazione che ci può consentire di capire come fare perché una cosa sola è chiara: che non ci saranno gli hub vaccinali.

Questo è anche giusto perché comunque la situazione pandemica è diversa e il numero di persone da vaccinare è lo stesso. Ma i centri vaccinali nelle ASL, i medici di famiglia, le farmacie, la rete di strutture che devono attivarsi per una campagna vaccinale che sta per cominciare ai primi di ottobre possono non avere indicazioni chiare attraverso le regioni, indicazioni chiare che partono dal Ministero e che non stanno arrivando? Può essere che noi siamo ancora fermi alla circolare di agosto? Non solo, arrivano comunicati, l'ultimo di pochi giorni fa, in cui si dice che ci sono stati inutili allarmismi. Ma, qui, non è questione di fare allarmismi, è questione di mettere in campo una macchina organizzativa che possa consentire, ai primi di ottobre, fra tre giorni, alla campagna vaccinale di partire in maniera efficace e organizzata in tutte le regioni.

Quanto invece, e avviamoci alla parte conclusiva di questo intervento, agli interventi nel campo della cultura e, in particolare, del Ministero della Cultura, si segnala quanto previsto dall'articolo 10. L'articolo 10 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, riguardante l'organizzazione del Ministero della Cultura è grave, è sbagliato e produrrà molti danni alle strutture e ai cittadini. A quasi dieci mesi dall'insediamento del Governo, la norma intende applicare uno spoil system generalizzato per cambiare tutti i dirigenti del Ministero, sia di prima sia di seconda fascia. È una decisione che causerà asservimento alla politica nei prossimi mesi e grande confusione dopo.

Per fare tutto questo, si vuole articolare il Ministero della cultura in dipartimenti con le loro direzioni generali e non più, quindi, direttamente in direzione generali, come è sempre stato per questo Ministero, fatta eccezione per una brevissima parentesi tra il 2004 e il 2006, quando c'era anche lo sport e si tentò, senza buon esito, di creare i dipartimenti. La norma, mal scritta, ha previsto ben quattro dipartimenti per nove aree funzionali, dove poi collocare le 28 direzioni generali in cui si spera che rimangano gli istituti autonomi di rango generale come Uffizi, Colosseo, Pompei, Brera, Capodimonte o l'Archivio centrale dello Stato.

Ma la vera norma è un'altra, è quella dove si dice che tutti i dirigenti di prima e seconda fascia restano in carica fino al conferimento dei nuovi incarichi. Con un nuovo regolamento e una nuova articolazione, perciò, si vogliono ridettare tutti gli incarichi, anche quelli che resteranno identici. Le ragioni del perché si tratti di un errore sono tante; primo, i tempi: a novembre c'è stato un decreto Ministeri, dove, per esempio, per la Salute è stato previsto il cambio di articolazione del Ministero in dipartimenti; fatto oggi, dopo dieci mesi, è chiaro che si vuole solo cambiare i dirigenti. Non a caso si sceglie un modello diverso, per dipartimenti, i cui titolari sono scelti in modo fiduciario e sono per legge soggetti a spoil system, come un segretario generale.

Secondo, la portata: cosa c'entrano qui i dirigenti di seconda fascia e, quindi, anche tutti i sovrintendenti? Perché mai se la direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio finirà sotto un dipartimento Tutela o come verrà chiamato, allora, bisogna cambiare tutti i sovrintendenti in carica che magari avrebbero avuto almeno altri due anni e mezzo o quasi tre anni di incarico?

Infine, terzo punto, i contenuti: se il Ministero della Cultura mai è stato articolato in dipartimenti una ragione c'è, si tratta di un'amministrazione con numerosi poteri autoritativi, di vincolo, divieto, autorizzazione, sanzione. E, quindi, è importante avere linee di comando corte e serrate, senza moltiplicare i livelli di governo. Il modello a direzioni generali che, non a caso, hanno il Ministero della Difesa o quello degli Esteri, assicura meglio questa trasmissione di direttive. I dipartimenti creano un livello in più; un sovrintendente dipenderà dal direttore generale, quest'ultimo da un capo dipartimento. Prima, il segretario generale non aveva direzioni generali come sue articolazioni e svolgeva attività di raccordo, coordinamento e indirizzo. In altri termini, per un Ministero come la Cultura, con funzioni omogenee e compatte, il modello per dipartimenti aumenta i posti e allunga la catena di comando, rendendo l'azione amministrativa meno rapida ed efficace.

Quarto e ultimo punto, le ricadute: questa manovra provocherà molta confusione amministrativa, con un nuovo regolamento, con nuovi uffici, mesi di caos per lo spacchettamento organizzativo, ma poi le sedi per i dipartimenti ci sono? Le hanno già trovate le stanze? E il personale come lo distribuiranno? Insomma, in pieno PNRR, le cui strutture almeno sono fatte salve dalla norma, c'era davvero bisogno di questo stravolgimento solamente per poter soddisfare la bramosia di nuove nomine?

Qui, veramente, arriviamo poi al punto finale, al punto dolente di questa analisi. Abbiamo ancora un decreto sui dirigenti, manca l'attenzione al personale. Anche nei precedenti decreti avevamo sempre un'attenzione al vertice, mai alla base.

Noi abbiamo, con molti emendamenti, cercato di correggere questa impostazione; alcuni emendamenti sono stati approvati, alcuni ordini del giorno sono stati approvati, ma poi non gli si è dato seguito negli atti seguenti. La carenza di personale è una voragine, lo denunciano tutti i sindacati, lo denunciano i lavoratori, ma lo denunciano anche i cittadini che hanno contatti con la pubblica amministrazione ogni giorno, e nello stesso tempo abbiamo decine di migliaia di idonei che hanno già fatto i concorsi, penso ai concorsi Ripam, ma anche ad altri concorsi, e sono pronte a entrare in campo. I sindacati ci chiedono di procedere con lo scorrimento integrale, le assunzioni, l'esaurimento di tutte le graduatorie, ma ce lo chiede anche il buonsenso, perché è la soluzione più efficace: abbiamo un'esigenza di turnover, abbiamo carenza di personale, abbiamo persone che hanno già fatto il concorso e che possono entrare subito, abbiamo gli strumenti normativi grazie ai nostri emendamenti, si possono fare le convenzioni e alle convenzioni si può dare seguito in maniera immediata, sta già avvenendo in alcuni settori. Abbiamo queste decine di migliaia di ragazzi e di ragazze che attendono le convenzioni, che attendono gli scorrimenti, che attendono tempi più brevi, ma passano sei mesi: se io rinuncio alla possibilità di essere chiamato a un concorso, prima che venga chiamata la persona dopo di me trascorrono mediamente sei mesi di tempo, tempo sprecato, soldi buttati. Ecco, noi a queste persone che cosa proponiamo? Proponiamo una campagna di comunicazione per il posto “figo” affidata ad Orietta Berti. Ora, lungi da me mancare di rispetto a Orietta Berti, ma è proprio l'obiettivo ad essere sbagliato. In questo momento, il problema non è, nel Paese, in Italia, il fatto che ci sia una nuova generazione che ha un'idea del posto nell'amministrazione pubblica fantozziana, come si legge nei comunicati del Governo; il problema non è che i giovani italiani hanno paura di entrare dentro un cliché di “Sveglia e caffè, barba e bidet, presto che perdo il tram”, il problema è ben altro.

Il problema dei giovani italiani è che loro crescono in una realtà che assomiglia molto ai distretti di Capitol City di Hunger Games e, forse, se dovessimo fare una campagna di comunicazione che possa essere compresa dai giovani italiani dovremmo affidarla a Jennifer Lawrence, non a Orietta Berti, perché non chiedono un posto “figo” o un posto fisso, chiedono un'occasione, un'occasione di potere costruire una famiglia, di potere avere una casa, di poter fare quei sacrifici per mettere al mondo dei figli che sono un lusso che non si possono permettere e che sono stati per tante generazioni la base della costruzione del futuro. Per questo hanno bisogno di un lavoro e dare loro un lavoro significa mettere in campo l'azione più forte e concreta per contrastare la crisi demografica, significa veramente fare politiche per la famiglia.

Ecco, penso che per questi ragazzi - i 40.000 ragazzi che attendono lo scorrimento di graduatorie in essere in corso di validità, che solamente lungaggini burocratiche stanno tenendo fuori, in panchina, e che invece da domani potrebbero rendere più forte la nostra pubblica amministrazione - fare una campagna sul posto “figo” significhi oltre al danno anche la beffa. Fermiamo questa campagna e occupiamoci di aprire loro la porta della pubblica amministrazione.

Non farete su questo un decreto specifico, ma servirebbe un decreto solo per questo. Non lo farete, perché volete fare sempre decreti omnibus, ma vi chiedo, da opposizione alla maggioranza, al Governo, nel prossimo decreto, prendete di petto questa questione e se non volete dirlo almeno fatelo; grazie ai nostri emendamenti, approvati anche dalla maggioranza, gli strumenti ci sono, serve la volontà politica di realizzare questi scorrimenti.