Dichiarazione di voto di fiducia
Data: 
Giovedì, 18 Luglio, 2024
Nome: 
Augusto Curti

A.C. 1896-A

Grazie, Presidente. Prima di affrontare il tema della fiducia posta oggi su questo provvedimento, io credo sia anche utile fornire un quadro di contesto in grado di poter agevolare la lettura della deriva istituzionale in cui ci sta portando questo Governo. Nel corso dei primi 21 mesi della XIX legislatura l'annosa questione relativa al cosiddetto abuso di decretazione ha tragicamente esondato gli argini della decenza.

Al 30 giugno, infatti, sono stati ben 68 i decreti-legge e 119 le leggi approvate; 87 sono risultate di iniziativa governativa, 30 di iniziativa parlamentare e 2 di iniziativa mista. Per l'approvazione di 32 delle 118 leggi ordinarie il Governo ha fatto ricorso, in almeno un ramo del Parlamento, alla posizione della fiducia. Di decretazione in decretazione diviene sempre più evidente e drammatica la frattura tra questa prassi e il principio sancito dall'articolo 77 della Costituzione. In sostanza, tanto più la Costituzione sottolinea la straordinarietà della decretazione d'urgenza quanto più essa diviene uno strumento ordinario per questo Governo.

L'agenda dettata dal Governo dimostra chiaramente come le ragioni dei tempi e della fretta non siano connesse all'urgenza del provvedere quanto, piuttosto, alla necessità contingente di piegare la funzione legislativa all'interesse di parte. Il Governo Meloni si pone oggi al secondo posto fra gli Esecutivi con il maggior numero di decreti emanati nelle ultime 4 legislature. Solo il quarto Governo Berlusconi, infatti, ne ha prodotti di più, ma in un arco di tempo molto più ampio. I numeri non mentono; siamo di fronte ad un gravissimo esercizio di monocrazia che non può più essere tollerato e, mentre a Palazzo Chigi si va cullando il sogno orribile del premierato, la decretazione d'urgenza rappresenta, invece, un incubo quotidiano per il Parlamento e per il Paese.

“Il Parlamento è mortificato, l'opposizione non è in grado e non può dire la sua. Una deriva davvero preoccupante per la nostra democrazia”. Queste, Presidente, non sono le mie parole, ma così si esprimeva, il 21 settembre 2021, l'allora deputata onorevole Giorgia Meloni sul tema della questione di fiducia, strumento rispetto al quale, purtroppo, nuovamente ci ritroviamo oggi a dover intervenire. In questi 21 mesi lo abbiamo fatto già ben 33 volte in occasione di progetti di legge. In sostanza, ogni 19 giorni abbiamo portato in Aula una fiducia.

Vorrei anche ricordare che per la Presidente Giorgia Meloni nel 2006 porre la fiducia era una scelta oligarchica; un errore drammatico, diceva nel 2015; una vergogna, nel 2017; e ancora, nel 2021, un abuso tale da farle dichiarare che la democrazia è un'altra cosa. È vero, Presidente: la democrazia è un'altra cosa. In democrazia, infatti, non si dovrebbero utilizzare scappatoie ogni qualvolta la maggioranza, nonostante la differenza di voti a suo favore, si trova in difficoltà, difficoltà nelle scelte o, come in questo ultimo litigioso periodo, rapporti in corso di decomposizione e relazioni tesissime.

Basta volgere uno sguardo a quanto sta accadendo in queste ore al Parlamento europeo, dove i tre partiti di maggioranza parlano tre lingue differenti. Ma mentre in Europa si è costretti a gettare la maschera, in Italia la pantomima è salva, a colpi di fiducia ovviamente, ed è posta con tre obiettivi: quello di blindare le disposizioni contenute nei testi, di irreggimentare la maggioranza e di impedire il dibattito, tutto ciò al fine di aggirare l'ostacolo rappresentato da quello che, purtroppo, rappresenta l'ultimo baluardo dell'esercizio delle prerogative parlamentari, cioè gli emendamenti. In questo caso, peraltro, ne erano stati proposti oltre 300 in Commissione, di cui circa la metà ascrivibili alla maggioranza, come a certificare le scarse qualità di un decreto sostanzialmente effimero.

Un provvedimento, cioè, in rapporto al quale sarebbe stato opportuno garantire l'impegno di disciplinare una materia che, per annosità e sensibilità, necessiterebbe di una regolamentazione solida, finalmente sistematica e frutto del contributo del Parlamento nella pienezza delle sue funzioni. L'agenda dettata dal Governo, al contrario, dimostra palesemente come le ragioni dei tempi e della fretta non siano connesse all'urgenza del provvedere quanto, invece, alla necessità contingente di piegare le funzioni legislative all'interesse di parte.

È in questa direzione che si inquadra una strategia non estemporanea ma del tutto pianificata, con l'obiettivo di precludere alla Commissione anche la totale discussione sugli emendamenti presentati in tale sede e di blindare il provvedimento con la fiducia.

Insomma, se il Governo ha esautorato il Parlamento e la divisione dei poteri è stata trasformata in una fusione a freddo, è del tutto evidente che il premierato sia, di fatto, un boccone avvelenato che la Presidente del Consiglio sta già servendo al Paese. Eppure, gli emendamenti erano tutti utili o, in alcuni casi, oggettivamente necessari. Ne abbiamo presentati molti durante i lavori in Commissione, come ho detto, e siamo intervenuti anche nel merito della normativa, proponendo, ad esempio, una salvaguardia al potere, ma anche al dovere degli strumenti urbanistici comunali di dettare motivatamente anche le limitazioni e non solo le mere condizioni e i mutamenti del cambio di destinazione d'uso.

Anche alla luce delle indicazioni fornite dai soggetti uditi, come ad esempio l'ANCI, abbiamo cercato di porre rimedio alla modifica dell'articolo 23-ter, in materia di mutamento d'uso urbanisticamente rilevante, che rischia di limitare una possibilità importante per gli strumenti urbanistici comunali, ovvero la possibilità di prevenire o arginare i fenomeni di degrado urbano. Tentativo vano è stato anche quello di far assumere come ineludibile un principio di fondo, che quella della casa è una vera e propria emergenza del Paese, e un'emergenza non si risolve creando alloggi, anzi, loculi, di 20 metri quadri, bagno incluso, recuperando sottotetti o cantine invivibili. Parlare di condono, in questo senso, appare addirittura riduttivo.

La verità, signor Presidente, è che questo provvedimento celebra il definitivo sdoganamento del modello di degrado abitativo e mentre la società contemporanea, a livello globale, si interroga e si mette alla prova sul valore della sostenibilità, questo Governo indica al Paese una strada senza uscita: non solo, degrado, ma, anche, abusi, perché la conseguenza di norme che consentono con enorme facilità il mutamento della destinazione d'uso favorirà esclusivamente le speculazioni, alimentando le disuguaglianze e le ingiustizie, con una maggiore desertificazione nelle aree urbane e nei centri storici. In questi alloggi lillipuziani saranno probabilmente costrette a vivere le persone più fragili, sicuramente, moltissimi studenti, obbligati a pagare affitti sempre più costosi per sistemazioni sempre meno vivibili.

Voglio segnalare che, a corollario di questo provvedimento, si è voluta celebrare la triste ritualità nell'insulto alle aree del cratere sismico del 2016. Tra i nostri emendamenti, infatti, figurava anche una disposizione di buonsenso, che prevedeva la possibilità di mantenere operative le strutture provvisorie utilizzate dalle attività economiche, delocalizzate a causa di inagibilità e tutt'oggi in esercizio, strutture che all'epoca della calamità hanno consentito di garantire continuità al lavoro degli imprenditori, evitando di conseguenza la progressiva desertificazione di interi territori.

Si tratta, in prevalenza, di quelle stesse aziende agricole a cui il Ministro Lollobrigida dichiara vicinanza, mantenendosi tuttavia a debita distanza dalla realtà dei problemi. Si tratta anche di attività commerciali o artigianali alle quali garantire la continuità in esercizio delle strutture provvisorie significa fornire un valore aggiunto nella direzione del consolidamento e dello sviluppo.

Ebbene, con il “no” anche a questo emendamento, non solo, si è negata a interi comparti economici una leva strategica, ma, al contempo, si è generato un carico finanziario che graverà sulla struttura commissariale, quello cioè dei costi per lo smontaggio e per lo smaltimento delle strutture.

Presidente, per queste motivazioni, per quelle che già abbiamo rappresentato anche nella discussione in Commissione e, soprattutto, per la reiterazione del malcostume antidemocratico testimoniato anche dalla posizione della fiducia, come Partito Democratico, voteremo “no” a questa ennesima fiducia posta dal Governo.