Dichiarazione di voto
Data: 
Giovedì, 29 Maggio, 2025
Nome: 
Marco Lacarra

A.C. 2355

Grazie, signora Presidente. Signor Sottosegretario, onorevoli colleghi, soprattutto della maggioranza che vedo massicciamente presente: annuncio il voto contrario del mio gruppo parlamentare su questo decreto Sicurezza. Lo faccio con parole nette e senza esitazioni, perché siamo di fronte non a un provvedimento tecnico, non a una risposta ponderata e necessaria alle legittime domande di sicurezza dei cittadini, ma a un atto profondamente politico, ideologico, repressivo che porta la firma del Governo Meloni e che rappresenta un punto di non ritorno nella torsione autoritaria in atto nel nostro ordinamento.

Questo decreto è un insulto al Parlamento, alla democrazia, alla Costituzione repubblicana. Un provvedimento eterogeneo, che ha visto confluire al suo interno le norme di un disegno di legge abbandonato per evidenti motivi di incostituzionalità e che il Governo, con un atto di violenza istituzionale, ha voluto riesumare per decreto, eludendo il dibattito parlamentare e il confronto democratico. Ma veniamo al merito, signora Presidente. Questo decreto non aumenta la sicurezza, questo decreto reprime, non tutela i cittadini ma li minaccia, non protegge la libertà ma la cancella, non rafforza lo stato di diritto, lo svuota. Considerati gli esaustivi interventi che mi hanno preceduto e tutti quelli che verranno, in questo mio contributo tratterò quattro temi specifici che ben rappresentano la pericolosità e la deriva autoritaria di questo provvedimento: la gestione delle madri detenute e dei loro figli, l'allargamento smisurato dei poteri ai servizi segreti, la criminalizzazione del blocco stradale e l'introduzione della nuova aggravante delle immediate adiacenze. Quattro norme che, ciascuna a suo modo, testimoniano la natura regressiva di questo decreto.

Partiamo da una delle norme più crudeli, disumane e incivili di questo decreto, quella che riguarda le donne incinte, le madri di bambini piccoli e che ridefinisce in senso peggiorativo la detenzione femminile. Questo provvedimento riguarda ben 20 donne, perché in Italia questo è il numero di donne che si trova nelle condizioni che vengono disciplinate da questo decreto. Senza alcuna vergogna, cancella un principio fondamentale: la tutela del superiore interesse del minore. Una donna incinta o madre di un neonato potrà ora entrare in carcere; non ci sarà più il rinvio obbligatorio della pena, ma tutto è affidato alla discrezionalità del giudice. Non vi sarà più una valutazione prioritaria di alternative, ma solo il possibile ingresso immediato in un ICAM o, addirittura, in un carcere ordinario. Come se non bastasse, il decreto consente per la prima volta la separazione tra madre e figlio in fase cautelare, se la detenuta viene considerata pericolosa per l'ordine dell'istituto. Un concetto vago, arbitrario, esposto a ogni tipo di abuso. Una norma che fa arretrare il nostro ordinamento rispetto ai principi affermati dalle regole di Bangkok delle Nazioni Unite e dalla Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia.

Non è un modo per tutelare la sicurezza questo; è un modo per infliggere dolore, per cancellare ogni prospettiva rieducativa, per punire non solo la madre ma anche un bambino innocente. Uno Stato che manda i neonati in carcere o li strappa al seno delle loro madri non è uno Stato forte, è uno stato indegno. Eppure un'alternativa ci sarebbe. Un tentativo importante fu compiuto con la legge n. 62 del 2011, che introdusse le cosiddette case famiglie protette. Quella stessa legge demandava la realizzazione delle strutture agli enti locali e lo faceva senza stanziare però un solo euro da parte dello Stato. Il risultato? Dal 2011 a oggi sono state attivate appena due strutture.

Un segnale più deciso arrivò con la legge di bilancio per il 2021 quando, grazie a un emendamento dell'onorevole Paolo Siani, sottoscritto da molti di noi con convinzione, vennero finalmente stanziate alcune risorse: un milione e mezzo di euro per 3 anni. Un anno dopo si fece un ulteriore passo avanti, ancora su iniziativa del collega Siani. La Camera dei deputati approvò quasi all'unanimità - con l'eccezione, guarda caso, dei voti contrari di Fratelli d'Italia, che oggi di fatto governa in modo assoluto la maggioranza (era imposto che quella legge fosse poi affossata e non riproposta) - una proposta di legge che davvero avrebbe potuto cambiare le cose. L'obiettivo era semplice e nobile: evitare che i figli fino a 6 anni finissero in carcere con le madri detenute, promuovendo l'accoglienza nelle case famiglie protette e riservando il ricorso agli ICAM solo ai casi di eccezionale rilevanza; una proposta equilibrata, che purtroppo non è riuscita mai ad approdare al completamento del suo iter parlamentare.

Il secondo argomento è quello dei servizi. L'articolo 31 del decreto rende permanenti misure eccezionali, originariamente introdotte nel 2015 per finalità emergenziali e allarga pericolosamente il perimetro di azione degli apparati di intelligence. Si estendono le scriminanti per reati associativi con finalità di terrorismo, si attribuiscono qualifiche di Polizia al personale militare, si legalizzano identità fittizie negli atti processuali e si consente l'accesso diretto a dati finanziari e l'interlocuzione con detenuti. Una simile concentrazione di poteri in strutture sottratte al controllo ordinario della magistratura rappresenta un caso senza alcun precedente nella nostra storia: un reale e spaventoso pericolo per la nostra democrazia. Non si venga a dire che si tratta di strumenti contro il terrorismo, perché il diritto alla sicurezza non può mai essere perseguito contro il diritto alla libertà. Non può esserci una Repubblica fondata sui servizi.

Un altro punto vergognoso è la criminalizzazione del blocco stradale, che passa da illecito amministrativo a reato punibile con la reclusione fino a un mese, ma, ancora più grave, si prevede una pena da 6 mesi a 2 anni se il blocco è attuato da più persone riunite. Siamo alla repressione del dissenso, all'anticamera della soppressione del diritto di sciopero. Manifestare è un diritto. Manifestare in gruppo è una forma di partecipazione democratica. Non esiste democrazia senza la possibilità di disturbare, di farsi sentire, anche di creare disagio. Il blocco stradale, quando non violento, è sempre stato un atto simbolico di protesta; ora diventa reato. Il Governo Meloni vuole zittire, paralizzare, intimidire, perché al dissenso non sa dare altre risposte se non la repressione.

Tutte le grandi lotte civili hanno avuto nella mobilitazione di massa un loro momento cruciale, dalla battaglia per i diritti del lavoro a quelle contro i cambiamenti climatici. Questo Governo invece vuole mettere in carcere studenti, attivisti, cittadini; vuole usare il diritto penale come manganello giudiziario; vuole far passare l'obbedienza per ordine naturale delle cose. Noi questo non possiamo accettarlo.

Ma c'è di più. L'articolo 11 introduce una nuova e bizzarra aggravante: se un reato è commesso nelle immediate adiacenze di una infrastruttura ferroviaria, la pena aumenta. Una norma che sembra uscita da un manuale dell'assurdo, priva di logica giuridica e di razionalità applicativa. Perché mai un reato dovrebbe essere considerato più grave, se commesso vicino a una stazione, piuttosto che in una scuola, in un ospedale o in un parco pubblico? Con questa norma, un furto in una farmacia situata in una stazione sarà punito in maniera maggiore rispetto a un furto in una farmacia di quartiere; una truffa a un anziano sarà punita più duramente, se avvenuta in un sottopassaggio ferroviario. Questa è una norma non di sicurezza, ma di propaganda. Si vuole semplicemente ampliare in modo discriminato la punibilità, costruendo un nuovo perimetro repressivo intorno a spazi pubblici nevralgici, con il solo intento di inasprire il potere punitivo dello Stato. In un Paese già afflitto da carceri sovraffollate, da processi lunghi, da un sistema penale inadeguato, questa norma è un errore grave.

Signor Presidente - e concludo -, oggi ci troviamo dinanzi a un testo che fa dell'eccezione la regola, che codifica la paura, istituzionalizza la repressione, costruisce una società sorvegliata e punita e tutto questo nel nome di una sicurezza che non si realizzerà mai con le manette, con le aggravanti, con la discrezionalità dei servizi segreti, con la carcerazione delle madri. Questo decreto non protegge nessuno. Questo decreto reprime ed è per questo che lo combattiamo ed è per questo che votiamo contro e continueremo a farlo, dentro e fuori quest'Aula, perché difendere la libertà, oggi più che mai, è un dovere democratico.