Data: 
Martedì, 5 Febbraio, 2019
Nome: 
Mattia Mor

AC 1550

Grazie, signor Presidente. Il Governo, nel dibattito pubblico, ha definito il decreto in essere semplicemente come decreto semplificazione, ma ci tengo a sottolineare che si tratta di disposizioni urgenti in materia di sostegno, oltre che di semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione.

Sul sostegno alle imprese, anzi sul mancato sostegno alle imprese e alla nostra economia nel suo complesso, vorrei concentrarmi nei pochi minuti di questo intervento. Innanzitutto, per questo è il decreto delle nuove complicazioni, è l'almanacco delle forzature, è la prova vivente di quanto questo Governo sia contrario alla democrazia parlamentare.

Facendo un passo indietro e tornando a quanto è accaduto al Senato, abbiamo visto un gruppo di lobbisti, che oggi sono al potere, che ha cercato in ogni modo di inserire dentro questo stesso decreto una serie di emendamenti che si sono dimostrati palesemente incostituzionali. È dovuto intervenire il Presidente della Repubblica per riportare l'ordine e per difendere i valori democratici su cui si fonda la nostra Costituzione; lo sta facendo anche oggi sul Venezuela, Sergio Mattarella, dicendo parole chiare e forti che non potranno essere inascoltate, e lo ha fatto su una legge che stava diventando l'ennesimo scambio di favori dei partiti di Governo.

Dalla politica estera alla legislazione interna, questo Governo si continua a comportare secondo un disegno ben preciso che non possiamo che definire antidemocratico e isolazionista. È la demagogia, che prima era opposizione, che oggi governa, ma le cose cambiano quando si hanno responsabilità istituzionali. Non si governa un Paese giocando con norme che influiscono sulla vita dei cittadini e sulle imprese. Le Commissioni in Senato si sono comportate come organi di partito, senza più un senso delle istituzioni ed è per questo che in questo contesto diventano ancora più centrali le prerogative delle massime cariche istituzionali e il ruolo delle opposizioni, ed è stato grazie al Partito Democratico - lo voglio ricordare - che è stata eliminata la cosiddetta tassa sulla bontà.

La gran parte degli emendamenti inseriti in questo decreto sono saltati per palese incostituzionalità. Sul resto, su ciò che rimane, farò, Presidente, alcune osservazioni di merito, perché l'arroganza del Governo è pari solo alla sua incompetenza, un fatto pienamente acclarato purtroppo dai dati economici che ne certificano il totale fallimento. Da quando è in carica il Governo, in Italia ci sono 76 mila occupati in meno, 123 mila a tempo indeterminato in meno e 84 mila precari in più. Ciò nonostante siamo passati dal famoso “i ristoranti sono pieni” del 2010, a Luigi Di Maio che interpreta alla rovescia persino i dati sull'occupazione, gridando al miracolo, dicendo “siamo tornati ai tempi pre-crisi” e nascondendo il fatto che il principale obiettivo del cosiddetto decreto dignità, cioè la lotta alla precarizzazione del lavoro, al momento è fallito, perché calano i posti fissi, aumentano solo quelli a termine.

Vale la pena ricordare che il prodotto interno lordo è passato dall'1,5 per cento, registrato nel 2017, ad un tasso che, nel 2019, secondo le stime della Banca d'Italia, non sarà superiore allo 0,6 per cento; difficile, quasi impossibile, che la crescita possa essere superiore se a monte ci sono imprese sfiduciate e incerte che da mesi hanno ridotto gli investimenti, spaventate dalla congiuntura internazionale.

Vale la pena anche ricordare che ammontano a circa 60 miliardi le perdite registrate da famiglie ed imprese dopo il voto del 4 marzo, come stimato dalla Fondazione Hume. Vale la pena di ricordare che, se si considerano nel complesso i mercati azionario, obbligazionario e i titoli di Stato, gli investitori istituzionali italiani ed esteri dal 4 marzo ad oggi hanno perso 110 miliardi di euro e la fiducia nelle imprese è in costante calo da sette mesi. Il differenziale, poi, tra i titoli di Stato decennali italiani e tedeschi della stessa durata oscilla tra 240 e 250 punti base, dopo aver superato quota 300 tra ottobre e novembre 2019, l'indice è ancora 100-110 punti superiore rispetto a quanto fosse durante il periodo precedente le elezioni.

La verità è che questo Governo la recessione non l'ha nemmeno vista arrivare, con gli occhi coperti dalle fette di prosciutto del populismo e dell'incompetenza. Fino a pochi giorni fa, Giuseppe Conte parlava di una crescita per il 2019 all'1,5 per cento, sebbene nella sua manovra ci sia scritto, nero su bianco, che faremo comunque un irrealistico 1 per cento. Qualche giorno prima Di Maio e Salvini avevano irriso la Banca d'Italia, che aveva prospettato una crescita allo 0,6 per cento e che oggi appare quasi ottimistica, dicendo che dalle parti di via Nazionale non ci prendono mai.

Bene, di complotto in complotto siamo andati avanti per mesi, una volta dal Fondo monetario, poi le agenzie di rating poi Bankitalia e l'Istat, i francesi e i tedeschi, fatto sta che continuiamo ad essere un Paese che non cresce, ma che discute se sia giusto o meno aprire i negozi la domenica, un Paese strutturalmente in ritardo sulle infrastrutture, ma che discute se sia giusto o meno portare a termine le grandi opere, un Paese che non riesce a crescere ma che non fa nulla per raccogliere le idee offerte ogni giorno dagli attori della società, le imprese, i sindacati, gli agricoltori, i commercianti, gli artigiani, che chiedono all'unanimità di trovare un modo per ridare fiducia all'Italia.

Come sottolineato in maniera puntuale da Claudio Cerasa su Il Foglio, la recessione italiana non è figlia del passato, ma di un presente dominato da un Governo irresponsabile, che ha fatto di tutto per alimentare la sfiducia nel Paese, allontanando i capitali stranieri, disincentivando le imprese ad assumere, disinteressandosi del debito pubblico, giocando con lo Stato di diritto e combattendo le grandi opere, aumentando le tasse, mettendo in sofferenza le banche e destinando le poche risorse messe insieme con la legge di stabilità a misure del tutto assistenzialistiche. D'altra parte, basta vedere i contenuti di questo decreto per capire come non possono e non vogliono muovere un dito per invertire la rotta della nostra economia. Dov'è il sostegno alle imprese? Dove sono i gli incentivi alle esportazioni? Dove sono i fondi per la Blockchain, la svolta sul sistema dei pagamenti digitali? Troviamo, sì, finalmente, una spinta ai pagamenti digitali tra cittadini e pubblica amministrazione, ma non troviamo alcun tipo di incentivo perché questi possano diffondersi anche nel mondo privato. Forse perché la diffusione massiccia verso i privati dei pagamenti digitali permetterebbe di fare una seria battaglia alll'evasione fiscale, che sembra invece non essere assolutamente una priorità di questo Governo?

Troviamo finalmente una definizione normativa degli smart contracts della Blockchain, e questo lo apprezziamo vista l'importanza della tematica per il futuro delle nostre imprese e della società, ma in legge di bilancio i fondi destinati ad investimenti nella Blockchain sono stati praticamente nulli, 15 milioni all'anno per tre anni, mentre i nostri Paesi competitor, come la Francia, investono pubblicamente centinaia di milioni per cogliere l'opportunità che questa tecnologia offre alla crescita delle imprese e degli Stati. Forse perché questo Governo è bravo a individuare parole chiave e provvedimenti che possono appuntarsi come medaglie di qualcosa di fatto in sostanza, ma nella vera sostanza non viene fatto niente per agire in concreto.

Infine, si parla di sostegno alle imprese, ma non vi è nulla - nulla! -, così come in legge di bilancio, a sostegno delle nostre esportazioni.

Nel 2017 l'export italiano volava sopra al 7 per cento di crescita, nel 2018 con l'avvento del Governo gialloverde è crollato ad una crescita dell'1 per cento circa. Questo, in un Paese i cui consumi interni languono da anni ormai e in cui gli investimenti non vengono nemmeno presi in considerazione in una legge di bilancio tutta basata sulla spesa corrente, vuol dire non occuparsi di uno dei pilastri del nostro PIL e della nostra occupazione. Ma niente è stato previsto, non una sola voce di sostegno all'export, nulla.

Un decreto, infine, come ci ricorda Michele Boldrin su Linkiesta, che è l'ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, della mancanza di coraggio di questo Governo, che non capisce che il nostro Paese difficilmente tornerà a crescere se non si avrà il coraggio politico collettivo di mettere mano ai difetti strutturali che hanno reso l'economia italiana incapace di partecipare al processo di globalizzazione in atto nel mondo e di avvantaggiarsi e contribuire al cambio tecnologico che lo alimenta. Soltanto con coraggio e con una visione politica si potrà tagliare la spesa pubblica, che in questa manovra aumenta, invece, a dismisura, per poter ridurre drasticamente il carico fiscale sulle imprese e sui lavoratori e riformare la scuola da capo a piedi per creare forza lavoro produttiva, togliere lo Stato e il suo controllo burocratico dalla vita economica delle persone e delle aziende, e soprattutto creare concorrenza ad ogni livello perché emerga il merito e la classe dirigente torni ad essere composta da capaci e meritevoli, e non soltanto dei mediocri e dai più furbi.