Data: 
Giovedì, 24 Aprile, 2014
Nome: 
Donatella Ferranti

AC 2215-A

Relatore per la maggioranza per la II Commissione. Signora Presidente, signori colleghi, questo provvedimento, il decreto-legge del Ministro della salute, per quanto attiene alla competenza della Commissione giustizia, nella formulazione originaria, non ha modificato la formulazione delle disposizioni di natura penale del testo unico sugli stupefacenti, ma ha comunque inciso sulla loro portata normativa, in quanto ha modificato le tabelle alle quali fanno riferimento le predette disposizioni penali.
  In particolare, a seguito delle modifiche apportate dall'articolo 4-vicies ter del decreto-legge n. 272 del 2005, le previgenti sei tabelle sono state sostituite da due tabelle e sono stati modificati anche i criteri per l'inclusione delle sostanze nell'una o nell'altra tabella. Come messo in evidenza dalla richiamata sentenza della Corte costituzionale, le modifiche, unitamente a quelle apportate dall'articolo 4-bis del decreto-legge n. 272 del 2005 all'articolo 73 del testo unico, relativo all'apparato sanzionatorio, hanno determinato «una medesima cornice edittale per le violazioni concernenti tutte le sostanze stupefacenti, unificando il trattamento sanzionatorio che, in precedenza, era differenziato a seconda che i reati avessero per oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle II e IV (cosiddette «droghe leggere») ovvero nelle tabelle I e III (cosiddette «droghe pesanti»), questo nella situazione antecedente la legge Fini-Giovanardi.
  La legge di conversione del decreto-legge del 2005, introducendo l'articolo 4-vicies ter ha modificato il precedente sistema tabellare stabilito dagli articoli 13 e 14 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, includendo nella nuova tabella I gli stupefacenti che prima erano distinti in differenti gruppi.
  Come si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge in esame, considerato che gli articoli del testo unico relativi all'apparato sanzionatorio fanno riferimento a quattro tabelle, graduando le pene a seconda che le sostanze siano incluse nella I o nella III, ovvero nella II o nella IV, si è reso necessario, al fine di non modificare la cornice edittale così definita, reintrodurre quattro tabelle, ridistribuendo tra esse le sostanze che, sulla base della legge n. 49 del 2006, erano raggruppate nelle due caducate dalla sentenza della Corte costituzionale, in modo che per ciascuna sostanza venga fatto salvo il regime sanzionatorio di cui alle disposizioni originarie del testo unico, ripristinate dalla sentenza della Corte costituzionale.
  Il nuovo testo degli articoli 13 e 14, così come modificati dal decreto-legge in esame, prevede cinque tabelle: tabella I, relativa alle cosiddette «droghe pesanti»; tabella II, relativa alle cosiddette «droghe leggere»; tabella III e tabella IV, relative alle sostanze medicinali equiparate ai fini sanzionatori rispettivamente alle «droghe pesanti» e a quelle «leggere» ed, infine, una tabella dei medicinali.
  Il quadro sanzionatorio che ne è uscito, a seguito appunto della sentenza della Corte costituzionale e del decreto-legge, è il seguente: le condotte aventi ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle I e III sono sanzionate con la reclusione da otto a vent'anni, ai sensi del primo comma dell'articolo 73, mentre quelle aventi ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle II e IV sono punite con la reclusione da due a sei anni, ai sensi del quarto comma.
  Naturalmente, sappiamo che il decreto-legge non si è limitato a ridistribuire le sostanze previste nelle tabelle previgenti in quanto, appunto, dal 2006 ad oggi sono stati emanati ventotto decreti ministeriali, ma questo attiene più alla competenza della Commissione affari sociali.
  Vorrei, quindi, andare a individuare quali sono i passaggi, in maniera rapida, che hanno riguardato la conversione del decreto negli aspetti più di competenza della Commissione giustizia.
  Ferme restando le diverse linee di pensiero scientifico, emerse in sede di indagine conoscitiva dall'esame di esperti e rappresentanti di associazioni operanti nel settore, sulla maggiore o minore pericolosità della cannabis e suoi derivati e sul fatto che provochi o meno dipendenza grave, un punto sembra costituire il denominatore comune: la cannabis (e i suoi derivati naturali) può legittimamente essere inserita nella tabella II, con conseguenze sanzionatorie in sede di differenziazione della pena prevista dal primo comma dell'articolo 73 rispetto alle droghe che sono in I e III tabella.
  Nel corso dell'esame in sede referente, sono stati approvati emendamenti diretti a modificare la formulazione di alcune di queste disposizioni, in quanto, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 25 febbraio 2014 n. 32, sono venute meno anche quelle norme di natura penale che erano state introdotte nel testo unico dagli articoli del decreto-legge n. 272 del 2005, dichiarati illegittimi.
  Di conseguenza, si è intervenuti anche sul comma 5 dell'articolo 73 del testo unico, per quanto tale disposizione non sia stata travolta direttamente dalla pronuncia di incostituzionalità, essendo stata da ultimo modificata – e quindi sanata – dal decreto-legge n. 146 del 2013, che ha trasformato in reato autonomo la circostanza attenuante dello spaccio di lieve entità.
  Passo all'illustrazione delle modifiche di natura penale. Come si è accennato, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 32 del 25 febbraio 2014, ha espressamente escluso l'estensione – questo è importante ribadirlo anche alla luce di emendamenti che sono stati presentati in Commissione e che forse verranno ripresentati – della pronuncia di incostituzionalità delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 146 del 2013, rilevando che «risulta evidente che nessuna incidenza sulle questioni sollevate possono esplicare le modifiche apportate all'articolo 73, comma 5, del Testo unico dal decreto-legge 23 dicembre 2013 n. 146, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata ed indipendente da quest'ultima».
  Ciò vuol dire che i fatti di lieve entità commessi a far data dal 24 dicembre 2013 sono disciplinati dall'articolo 2 del citato decreto-legge, secondo cui, «salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti nel presente articolo che per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità o quantità delle sostanze è di lieve entità è punito» – in base al decreto-legge convertito nel 2013 – «con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 300 a 26 mila». Questa era la base di partenza.
  In Commissione si è affrontata, attraverso un'ampia discussione, la problematica relativa ai possibili margini di irragionevolezza della mancata diversificazione ai fini sanzionatori del trattamento di sostanze stupefacenti (droghe cosiddette «leggere» e droghe cosiddette «pesanti») nell'attuale disposizione del quinto comma dell'articolo 73, sopravvissuto alla Corte costituzionale e fattispecie autonoma di reato.
  È prevalso l'orientamento secondo il quale l'attuale quadro edittale unitario per entrambe le classi di sostanze si presenta coerente rispetto alla disciplina complessiva, come peraltro recentemente sostenuto nella sentenza della Corte di cassazione n. 397 del 2014 pronunciata dalla IV sezione penale. In realtà, si è ritenuto che, nella valutazione del fatto criminoso di lieve entità connesso allo spaccio di sostanze stupefacenti, non abbia un valore determinante la natura della sostanza stupefacente trattata, ma che la concreta ridotta idoneità offensiva della condotta debba essere la risultante di una valutazione complessiva che ha come riferimento le modalità, la natura, i mezzi dell'azione e le altre circostanze ad essa pertinenti.
  Le Commissioni hanno quindi approvato un emendamento del Governo che ha inteso riequilibrare la pena del delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità, abbassando il massimo, edittale, da cinque a quattro anni e il minimo da un anno a sei mesi. Il nuovo testo quindi è identico per le condotte a quello approvato dal decreto-legge del 2013, ma appunto prevede che i fatti di lieve entità e di piccolo spaccio vengano puniti con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da 1.032 a 10.329 euro.
  Le conseguenze sono evidenti soprattutto per ciò che attiene alla custodia cautelare in carcere, che non è applicabile, salvo che nei confronti di chi abbia trasgredito le prescrizioni inerenti un'altra misura cautelare. Sarà possibile l'arresto facoltativo in caso di flagranza del reato, come è già oggi. Nessun indebolimento – e qui lo voglio riaffermare con particolare forza – è stato determinato sul fronte della lotta alla criminalità organizzata, in quanto ovviamente continua ad avere piena applicazione l'articolo 74 del testo unico n. 309, quindi l'associazione a delinquere finalizzata al grande spaccio in tutte le sue declinazioni. Ricordo che tra le declinazioni è previsto proprio che, quando questa associazione si riferisce ad episodi di piccolo spaccio si applicano addirittura le pene previste per l'associazione a delinquere, di cui all'articolo 416.
  Le Commissioni hanno ritenuto di affrontare anche un altro nodo critico venutosi a creare, cioè la scomparsa, a seguito dell’abolitio criminis derivante dalla sentenza della Corte costituzionale, del riferimento alla non punibilità dell'uso personale di sostanze stupefacenti, contenuto nel comma 1-bis dell'articolo 73 introdotto dall'articolo 4-bis della «Fini-Giovanardi», caducato, e quindi, tornando al testo scritto, è stato approvato un emendamento che riformula l'articolo 75, ne ridefinisce l'ambito di applicazione, distinguendo, ai fini dell'illecito amministrativo, tra droghe pesanti e droghe leggere e non solo, al comma 24-quater risponde ad un altro punto critico sollevato nel corso dell'audizione del professor Vittorio Manes, e del dottor Andrea De Gennaro, direttore centrale del servizio antidroga del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno: al fatto che la declaratoria di illegittimità costituzionale aveva travolto anche i parametri probatori di cui all'articolo 73, comma 1-bis, relativi alla soglia quantitativa della quantità massima detenibile e agli elementi sintomatici della condotta di spaccio il cui venir meno poteva creare incertezza applicativa e di accertamento da parte, tra l'altro, delle forze dell'ordine, anche con gravi ripercussioni per i diritti dei cittadini.
  Un ulteriore effetto di caducazione a catena purtroppo era derivato anche con riferimento all'annullamento del comma 5-bis dell'articolo 73 della «Fini-Giovanardi», avente ad oggetto il lavoro di pubblica utilità in alternativa al carcere, limitatamente al caso di condanna per spaccio di lieve entità di cui al comma 5 del medesimo articolo, lavoro di pubblica utilità in alternativa al carcere su cui si era molto dibattuto anche nei precedenti decreti governativi convertiti dal Parlamento e riguardanti appunto una delle cause del sovraffollamento carcerario.
  Quindi, con un emendamento approvato dalla Commissione è stato reintrodotto e ripristinato il comma 5-bis nell'articolo 73, che consente anche l'applicazione del successivo comma 5-ter, introdotto proprio sempre in quell'ottica di favorire il lavoro di pubblica utilità e il recupero anche attraverso l'affidamento sociale, dei tossicodipendenti che commettono reati di piccolo spaccio, appunto con il comma 5-ter, introdotto dal decreto-legge n. 78 del 2013, convertito con legge n. 94 del 2013, che rischiava di non poter avere applicazione per la mancanza del suo presupposto contenuto nel comma 5-bis a e su questo le Commissioni e i relatori hanno ritenuto di cogliere questa occasione della conversione del decreto-legge per cercare di rimediare ad alcuni effetti che avevano sostanzialmente creato dei vuoti normativi. Su questo punto concludo la parte che mi compete, attenendo alla Commissione giustizia.
  Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).