Data: 
Martedì, 7 Settembre, 2021
Nome: 
Lorenzo Guerini

 

Ministro della Difesa

Presidente, onorevoli colleghi, mi permetterete di rivolgere, fin da subito, un pensiero riconoscente alle nostre Forze armate (Applausi – I deputati si levano in piedi) per lo straordinario impegno, la grande professionalità e la profonda umanità che, ancora una volta, hanno dimostrato nell'affrontare anche questa crisi afgana. Sono certo di interpretare in questo doveroso omaggio anche il vostro sentimento. Nell'accogliere a Ciampino il rientro dell'ultimo volo, insieme ai sottosegretari e i presidenti delle Commissioni difesa, ho detto loro che gli italiani sono orgogliosi della straordinaria impresa umanitaria che hanno condotto e che ha reso onore al nostro Paese.

Dopo il collega Di Maio, che voglio ringraziare per l'intenso lavoro e la proficua collaborazione di queste settimane, articolerò il mio intervento sugli sviluppi della crisi afgana con l'obiettivo di illustrare le azioni messe in campo dalla difesa e di condividere una chiave di lettura per quanto avvenuto e una interpretativa rispetto ai possibili sviluppi della situazione e delle sue ripercussioni sul futuro della politica di difesa e di sicurezza, nel contesto dello scenario geopolitico attuale. Nel ripercorrere brevemente le azioni attuate dalla difesa, all'indomani dell'annuncio della conclusione della missione della NATO, vi riporto oggi il consuntivo finale dell'operazione di evacuazione dei cittadini afgani, rimandando per i dettagli alle mie comunicazioni dello scorso 24 agosto alle Commissioni congiunte di esteri e difesa. L'operazione Aquila Omnia ha portato in Italia 5.011 persone, comprensive del personale della nostra ambasciata e altri cittadini italiani, di cui 4.890 afgani. Siamo di fronte ad un numero decisamente superiore a quello dei collaboratori diretti dei nostri contingenti e della nostra missione diplomatica e dei loro familiari dal momento che le attività di trasporto hanno riguardato anche attivisti dei diritti umani e dei diritti delle donne, giornalisti, membri delle istituzioni e collaboratori delle organizzazioni non governative italiane presenti sul territorio in questi anni, individuati con criteri analoghi e condivisi con gli altri Paesi alleati. Un'operazione prettamente militare che ha comportato un notevole sforzo organizzativo ed operativo sotto la guida del Comando operativo di vertice interforze, in uno scenario difficile e a tratti non permissivo. Un'operazione complessa. Sono stati eseguiti 90 voli attraverso un consistente spiegamento di mezzi aerei: 5 velivoli C-130 e 3 aerei KC-767. La presenza a Kabul di una Joint evacuation task force, composta da 119 militari, ha assicurato la cornice di sicurezza e supporto sanitario e le funzioni di comando, controllo e di comunicazione strategica, in stretto ed efficace coordinamento con il personale diplomatico e militare della nostra ambasciata.

La difesa, all'interno di una cornice organizzativa distribuita in Italia in teatro operativo, ha visto impegnato un dispositivo di oltre 1.500 unità per attività di trasporto, logistiche e di supporto all'accoglienza e gestione dei rifugiati. Per quest'ultima esigenza sono state messe a disposizione anche strutture militari. Permettetemi di dire che si è trattato di un'impresa straordinaria, merito innanzitutto delle donne e degli uomini in divisa, che hanno operato con dedizione e professionalità. Non mi appassionano le classifiche, tuttavia credo che sia giusto registrare che l'Italia è risultata il Paese dell'Unione europea che ha evacuato il maggior numero di cittadini afgani (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Lega-Salvini Premier, Partito Democratico, Forza Italia-Berlusconi Presidente, Italia Viva e di deputati del gruppo Misto), grazie al lavoro dei nostri militari e all'impegno congiunto delle diverse articolazioni dello Stato coinvolte, ad iniziare dalla componente diplomatica. Tutte queste attività sono state svolte, inoltre, in stretto coordinamento con gli alleati, attraverso un'efficace reciproco supporto.

Voglio evidenziare principalmente la collaborazione con Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Germania, insieme ai quali siamo stati in grado di far fronte anche all'ulteriore richiesta di trasporto presentate dall'Unione europea ed altri Paesi. A loro intendo rivolgere, anche in questa sede, il mio più sincero ringraziamento. Come ha già sottolineato il collega Di Maio, altrettanto fondamentali sono stati i contributi dei nostri partner regionali Qatar, Kuwait e anche Pakistan. Questa disponibilità è il frutto di solidi rapporti bilaterali particolarmente significativi anche sul piano tecnico-militare. Su richiesta di Washington abbiamo poi reso disponibili le basi di Aviano e Sigonella per il transito dei civili afgani verso gli Stati Uniti. Infine, nell'ambito dell'Alleanza atlantica, abbiamo offerto assetti di polizia militare, sanità e team specializzati nella cooperazione civile e militare e del controllo dello spazio aereo per contribuire alle attività che la NATO potrà decidere di condurre sul proprio territorio per supportare ulteriore attività di accoglienza e supporto umanitario. Le immagini drammatiche dell'aeroporto di Kabul sono ancora davanti ai nostri occhi. Alla soddisfazione dell'impresa portata a termine si affianca il rammarico e la costernazione per le persone che non sono riuscite a partire e che aspirano a costruirsi un futuro fuori dall'Afghanistan. Anche per questo, la Difesa assicurerà la piena disponibilità per la condotta di eventuali ulteriori attività di evacuazione, secondo modalità e tempistiche che necessariamente dovranno essere ponderate e coordinate nel quadro delle iniziative politico-diplomatiche illustrate dal Ministro Di Maio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). L'evoluzione della situazione in Afghanistan ha colto di sorpresa l'intera comunità internazionale per la rapidità con cui è mutato il contesto politico e militare e per i conseguenti, drammatici risvolti umanitari. Esisteva la consapevolezza comune del rischio di una offensiva talebana nella fase immediatamente successiva al ritiro. Ma, allo stesso tempo, la NATO e la maggior parte degli analisti stimavano che l'efficacia delle forze di sicurezza afgane sarebbe stata perlomeno sufficiente a contenerla: una stima basata sulla larga superiorità numerica della forza afgana, sulla disponibilità adeguata di equipaggiamenti e sulle valutazioni positive in merito all'operato e alla preparazione dei militari locali, che negli anni più recenti avevano dimostrato una capacità operativa autonoma, frutto soprattutto dell'impegno nelle attività di addestramento svolte dalle forze NATO anche in situazioni complesse. È tuttavia evidente come le cose non siano andate secondo le attese.

I talebani si sono mossi per acquisire rapidamente obiettivi di elevata valenza operativa e tattica, quali i varchi di confine, i principali centri abitati e le vie di comunicazione verso la capitale: un risultato che è stato decisamente agevolato dalla quasi inesistente resistenza delle forze di difesa e sicurezza afgane, che, in molti casi, non hanno impegnato in combattimento gli avversari, con una condotta non prevedibile e inaspettata per le sue modalità e per le forze in campo.

Ci si deve chiedere, dunque, che cosa sia successo, cosa non abbia funzionato e quali errori siano stati commessi. Stiamo parlando, in riferimento alle forze armate afgane, di reparti militari ben addestrati e ben equipaggiati, che, nel corso degli anni, si erano distinti combattendo coraggiosamente, con grandi sacrifici e numerose perdite, contro talebani, Al Qaeda e Isis.

Se gli accordi di Doha e la conclusione della missione Resolute support possono avere avuto un impatto da un punto di vista motivazionale, le ragioni dello sfaldamento delle forze di sicurezza sono da ricercare innanzitutto nella diretta conseguenza di una evidente mancanza di coesione e in uno scarso senso d'identità, ascrivibile soprattutto all'atteggiamento della leadership repubblicana, che, per diversi motivi, non è stata in grado di svolgere quel ruolo di guida politica, autorevole e rappresentativa, che la situazione richiedeva. E questa è una delle prime e più importanti lezioni che, secondo me, dobbiamo assumere ed approfondire dopo l'esperienza condotta in Afghanistan.

La decisione della conclusione della missione Resolute support è stata condivisa in ambito NATO, naturalmente all'interno di un confronto che ha visto accenti diversi tra gli alleati, ma anche la volontà di essere coerenti con il valore della coesione dell'Alleanza.

Ho già avuto modo di ricordare che, durante la ministeriale NATO dello scorso febbraio, avevo rappresentato la necessità di valutare la conferma della presenza delle forze dell'Alleanza anche oltre la scadenza del 1° maggio, prevista dagli accordi stipulati dalla precedente amministrazione americana. Già allora, il raggiungimento delle condizioni politiche di sicurezza previste dall'accordo appariva lontano dall'essere soddisfatto, visto lo stallo dei colloqui di pace, l'aumento significativo degli attacchi alle forze di sicurezza afgane e gli assassinii mirati di rappresentanti delle istituzioni, dei media e della società civile.

Abbiamo sempre ritenuto che il dialogo intra-afgano e il mantenimento delle istituzioni repubblicane fossero le condizioni indispensabili per il futuro del Paese, ribadendo il nostro orientamento, condiviso anche da altri Paesi europei, circa l'esigenza di correlare le decisioni sulla conclusione definitiva della missione e la sua tempistica a progressi tangibili di queste condizioni. La difficoltà - oggettiva - a raggiungerle ha fatto prevalere, nelle valutazioni dell'amministrazione americana, la scelta di associare il rientro ad un approccio temporale, time-based, fissando la conclusione della missione Resolute support al 1° maggio e articolando il rientro delle forze entro la data fortemente simbolica dell'11 settembre.

Chiaramente, questo cambio di impostazione, a causa del venir meno delle capacità operative, critiche e funzionali al mantenimento del quadro di sicurezza generale dell'intera missione di addestramento e supporto, ha determinato condizioni tali per cui nessun altro Paese alleato poteva rimanere in Afghanistan. Si è arrivati, di conseguenza, al meeting straordinario NATO dello scorso 15 aprile, nel quale - come ho detto - pur nella diversità degli accenti tra gli alleati, abbiamo assunto assieme questa decisione, appunto in coerenza con il valore fondante, irrinunciabile e da preservare, della coesione dell'Alleanza.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, la cronaca di questi giorni non può e non deve far dimenticare l'impegno nazionale di questi 20 anni nella più grande operazione militare che il nostro Paese ha conosciuto dal termine della Seconda guerra mondiale. Naturalmente, siamo ben consapevoli che i fatti accaduti hanno reso palesi alcuni significativi punti critici, sui quali tornerò, ma non possiamo avviare alcuna riflessione su quanto avvenuto senza ricordare le ragioni della missione e i risultati conseguiti.

All'indomani del tragico attacco alle Torri gemelle nel 2001, a seguito dell'invocazione dell'articolo 5 del Trattato Nord Atlantico, siamo intervenuti con in nostri alleati per combattere il terrorismo globale, che aveva trovato, proprio in Afghanistan, un rifugio sicuro. E l'aver scelto di agire, di dare il nostro contributo concreto nella lotta contro una minaccia imminente, diretta a tutto l'Occidente e ai suoi valori, è stata una scelta non solo doverosa, ma soprattutto giusta.

La presenza di Al Qaeda nel Paese è stata resa inefficace; di questo dobbiamo riconoscere il merito, senza alcun dubbio, alla NATO e ai nostri 50 mila militari, che si sono avvicendati in questi 20 anni. Prima di tutto per loro dobbiamo ricordare sempre le ragioni della nostra partecipazione, in particolare per i nostri 54 caduti e per gli oltre 700 feriti, a cui va il nostro grato e deferente pensiero (Applausi - I deputati si levano in piedi).

Ricorderemo sempre - e con noi tutti gli italiani - il loro tributo alla sicurezza delle nostre comunità e alla difesa dei valori che incarnano la nostra Repubblica.

Se, tuttavia, abbiamo garantito che per 20 anni l'Afghanistan non tornasse ad essere un luogo sicuro per il terrorismo internazionale, non possiamo nasconderci il fallimento nell'attività di costruzione di istituzioni solide e realmente rappresentative. Su questo punto, quello cioè dell'institution building, siamo chiamati a riflessioni, che dovremo condurre sia nei contesti internazionali che a livello nazionale, relativamente ai nostri modelli di intervento e alla necessità di un approccio più multidimensionale, coerente, efficace e condiviso, di cui la dimensione militare è solo una delle componenti.

L'esperienza afgana ci interroga, però, anche su quali conseguenze possono scaturire dalla crisi in atto e sugli impatti che questa potrà avere in un'area già di per sé fragile e che gioca un ruolo centrale negli equilibri geopolitici globali. In una prospettiva più generale, dobbiamo evitare che l'Afghanistan torni ad essere un luogo sicuro per la jihad mondiale e i recenti attentati a Kabul, con il connesso significato propagandistico, possono essere strumentalmente presentati come una vittoria e come una rinnovata affermazione delle capacità operative della galassia jihadista.

Vi è il rischio, quindi, che il deterioramento del quadro di sicurezza si estenda ad altre regioni di elevato interesse strategico nazionale in cui siamo impegnati, come il Sahel e l'Iraq. Chiaramente le condizioni di riferimento sono profondamente diverse: in Iraq, ad esempio, sta crescendo in maniera significativa la forza delle istituzioni e la NATO ha l'occasione di rilanciare le proprie capacità di institution building, mettendo immediatamente a sistema le criticità emerse nello scenario afgano.

E sarà con questa visione di insieme, in particolare, che l'Italia, a valle di una ponderata ed approfondita valutazione di quanto avvenuto oggi in Afghanistan, assumerà nel prossimo anno il comando della missione NATO in quel Paese.

Nell'indicare le aree di interesse nazionale che potrebbero essere interessate dalle ricadute della crisi afgana, ho prima citato il Sahel, regione che è sempre più centrale negli interessi di sicurezza europei ed italiani, e nella quale il nostro impegno è significativamente cresciuto. Anche qui dovremo portare le lezioni apprese dalla vicenda afgana in termini di modelli di intervento ed approccio a 360 gradi rispetto alle problematiche e alle situazioni locali.

È evidente che il nostro Paese, così come anche l'Alleanza atlantica, deve trarre numerosi insegnamenti dall'esperienza afgana, per meglio identificare quali sono i suoi punti di forza, ma anche le sue debolezze, quale appunto la difficoltà a supportare un processo multinazionale di nation building, come quello che pretendeva lo scenario operativo afgano.

L'epilogo afgano ha rilanciato la discussione in merito al ruolo della NATO e dell'Unione europea nello scenario globale. La NATO è stata e resta l'organizzazione di riferimento per la nostra sicurezza, che garantisce protezione e deterrenza rispetto all'evoluzione del quadro geostrategico mondiale e che, prima di essere alleanza militare, è innanzitutto alleanza di valori. Le democrazie liberali e il loro patrimonio di valori e diritti sono un modello da difendere, che, pur a valle dell'indispensabile processo di riflessione ed analisi sugli esiti dell'esperienza afgana, dovrà continuare ad essere l'archetipo di riferimento del nostro peculiare apporto allo scenario di cooperazione e insieme di competizione del nuovo contesto globale.

Il processo di revisione strategica NATO 2030, prima citato dal Ministro Di Maio, attualmente in corso, dovrà tenere in assoluta considerazione quanto è avvenuto dal 2001 ad oggi nello sviluppare il nuovo concetto strategico di una NATO bilanciata, ma soprattutto l'idea di alleanza del futuro e delle sue relazioni con le altre grandi organizzazioni internazionali, prima tra tutte, l'Unione europea. L'Unione è chiamata ancora di più a definire coraggiosamente la propria autonomia strategica, in complementarietà con la NATO, ma valorizzando al massimo le peculiarità e gli strumenti che le sono propri, essendo l'organizzazione che più di tutte ha le capacità di intervenire con efficacia nella realizzazione di azioni proiettate allo sviluppo economico, sociale e culturale dei Paesi in cui siamo chiamati ad operare.

Il tema della difesa comune, oggetto della recentissima e autorevole sollecitazione del Presidente della Repubblica, è tornato centrale nella discussione politica europea, anche grazie all'azione propulsiva di parte italiana. Iniziative concrete sono state avviate per promuovere una più forte integrazione nel settore, attraverso l'irrobustimento delle capacità, lo sviluppo di una più solida base industriale e l'adattamento dell'architettura istituzionale dell'Unione europea in materia, ma non basta: è necessario un salto di qualità, innanzitutto politico. Credo sia infatti ormai chiaro a tutti - e la crisi afgana ce lo dimostra plasticamente - che siamo chiamati ad assumerci responsabilità sempre maggiori, nel quadro di quella che già oggi si chiama, non a caso, Politica di sicurezza e difesa comune e che, attraverso la definizione della bussola strategica, dovrà trovare finalmente una sua direzione, insieme concreta e coraggiosa, per la quale la difesa europea non vada perciò vista esclusivamente come la risposta ad un'esigenza operativa, quanto piuttosto come un tassello fondamentale necessario alla costruzione di un'Europa più pienamente politica, indispensabile per poter competere ed agire sulla scena mondiale. Si tratta, quindi, di promuovere una maggiore assunzione di responsabilità da parte dell'Unione nel campo della difesa e della sicurezza, non in contrapposizione, ma, anzi, in piena sinergia con la NATO.

Come in più occasioni ho sostenuto, la convinta promozione dello sviluppo e dell'acquisizione di capacità militari europee deve essere infatti assolutamente interpretata quale naturale e coerente azione di rafforzamento del pilastro europeo dell'Alleanza atlantica, a conferma dell'indissolubile e solido rapporto transatlantico e con l'obiettivo di consentire all'Europa di contribuire in maniera sostanziale, efficace e responsabile alla sicurezza e alla stabilità globale. Per fare ciò è necessario e urgente un orizzonte politico e una visione comune: analisi delle minacce, definizione di un'agenda politica condivisa - cioè una politica estera comune -, costruzione di capacità militari comuni e, soprattutto, volontà di utilizzarle come Unione. Durante la riunione ministeriale UE di Lubiana della scorsa settimana abbiamo affrontato proprio il tema del ruolo che l'Unione vuole giocare nel contesto globale, partendo dalla lezione afgana, che deve essere di stimolo per rafforzarne il coraggio e il livello di ambizione. È evidente che, per entrambe le organizzazioni, una delle sfide riguarderà anche e soprattutto i processi decisionali. La nuova competizione globale richiede certamente rapidità ed efficienza, se non vogliamo che diventi confronto asimmetrico: dovremo essere capaci tutti noi di rispondere a questa esigenza continuando a tutelare i principi e le forme delle democrazie liberali. Una sfida certamente difficile, ma credo ineludibile dentro i processi di revisione strategica delle organizzazioni internazionali di riferimento.

Presidente, onorevoli colleghi, l'operato dei nostri militari, silenzioso e instancabile, merita il plauso e la gratitudine da parte della Nazione per l'impegno al servizio dei valori della libertà e della democrazia in diverse regioni del Pianeta, agendo con riconosciute professionalità e sacrificio.

L'evacuazione appena conclusasi, il quotidiano impegno in Patria e all'estero, il supporto nella lotta alla pandemia sono mirabili esempi di uno straordinario patrimonio umano di competenze e di conoscenze, sostenuto da irrinunciabili capacità tecnologiche, che dobbiamo preservare e sviluppare. L'esperienza afgana ci richiama alla responsabilità di plasmare una nuova architettura di difesa e sicurezza, incentrata sull'evoluzione e la fattiva cooperazione tra una NATO più moderna e più bilanciata e un'Unione europea più forte, che consideri, in tutta la loro portata, le sfide emergenti e il ruolo degli attori globali. L'Italia, anche attraverso un dibattito che sia all'altezza di questa sfida, deve continuare responsabilmente a fare la propria parte, come sempre ha fatto. Vi ringrazio per l'attenzione (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Lega-Salvini Premier, Partito Democratico, Forza Italia-Berlusconi Presidente, Italia Viva, Coraggio Italia, Liberi e Uguali e di deputati del gruppo Misto).