Grazie, Presidente. Colleghi, signor Ministro, in questi giorni abbiamo condiviso il sollievo e la speranza, senza illusioni, come ha detto lei. Abbiamo guardato quelle immagini di bambini affamati fino allo stremo, che da Gaza ci chiedevano aiuto; finalmente ballavano.
Quel giovane reporter che si aggirava di notte, tra le macerie, ad annunciare la tregua agli sfollati, poi rimasto ucciso; le famiglie degli ostaggi raccolte nella piazza di Tel Aviv, che ha preso il loro nome; poi, gli abbracci. Questa tregua l'abbiamo attesa a lungo, troppo a lungo. Noi, in quest'Aula, l'abbiamo chiesta all'indomani del 7 ottobre e solo nel febbraio del 2024 vi siete uniti a noi, in Parlamento.
Vedete, dopo aver chiesto tutti i giorni, per due anni, il cessate il fuoco, non potevamo che gioirne il giorno in cui è arrivato, chiunque lo avesse portato, senza il problema di ringraziare gli Stati Uniti, che pure hanno coperto le azioni criminali di Netanyahu, o mediatori come il Qatar, che aveva finanziato Hamas, o l'Egitto, o la Turchia. Fermare la carneficina è sempre stata la priorità assoluta. È una tregua drammaticamente tardiva, anche questo va detto; arrivata dopo che ogni crimine è stato consumato, persino quello che una Commissione delle Nazioni Unite ha chiamato genocidio. Tutto il dolore, Ministro, non si cancella in un giorno. Migliaia di violati, mutilati, orfani, chi dovrà piangere i propri morti o cercarli in mezzo alle rovine. Questo Accordo poteva essere raggiunto mesi fa, anche questo va detto. Una tregua era arrivata a gennaio - ricordiamolo -, ma è stata violata da Netanyahu, con altre migliaia di vittime innocenti. La fame è arrivata come arma di guerra e il mondo è arrivato sull'orlo di una guerra grande. Contro tutto questo si sono mobilitate le opinioni pubbliche del pianeta. Una classe dirigente responsabile o priva di sensi di colpa le avrebbe ringraziate, non denigrate o criminalizzate.
Non puoi continuare una guerra contro tutto il mondo, avrebbe detto Trump a Netanyahu. Lui lo ha capito, qualcuno in quei banchi ancora no. È una tregua fragile, difficile, anche solo da mantenere. Dobbiamo lavorare affinché tutti la rispettino, gli ostacoli sono ogni passo - lo ha ricordato anche lei -, troppe le incognite. Allora voglio dirlo subito, Ministro: se per preservarla servirà una missione internazionale a Gaza di peacekeeping, su mandato delle Nazioni Unite, con un protagonismo dei Paesi Arabi che si impegnano nella ricostruzione, noi non solo siamo pronti a discuterne, vi diciamo che dobbiamo esserci, l'abbiamo proposto nel novembre del 2023. Qui si è aperta una breccia, dobbiamo impedire che si richiuda, perché ora devono passarci la diplomazia e la politica.
Ministro, lei qui continua a parlarci di Food for Gaza, sa perfettamente che, al momento, da quella breccia non stanno passando nemmeno gli aiuti a sufficienza verso la popolazione palestinese martoriata.
Speriamo che oggi si riapra il valico. Lei sa benissimo, Ministro, che la vicenda delle centinaia di tonnellate di aiuti raccolti da Music For Peace, che dovrebbero arrivare via terra, è ancora lì, irrisolta, soggetta all'arbitrio e all'infamia - aggiungo - delle Autorità israeliane, che impediscono il passaggio dei cibi troppo energetici da quella breccia. Qui c'è la Ministra dell'Università, stanno passando i vincitori di borse di studio, ma quale crudeltà può chiedere a una madre, vincitrice di borsa di studio, di scegliere se lasciare i figli a casa o venire a studiare in Italia. Lo dico perché c'è ancora molto lavoro da fare, perché la tregua non è la pace, lo ricordava adesso l'onorevole Tremonti.
Tra l'una e l'altra ci sono molti passi da compiere.
Noi vogliamo discutere qui di quali possano renderci protagonisti del percorso o almeno partecipi, perché qui - raccontatevi quello che volete - non lo siamo stati. I leader europei a Sharm-el-Sheikh - e parlo di tutti non solo di Giorgia Meloni, non c'è il Melonicentrismo - erano comparse a seconda dell'inquadratura, peraltro. A noi non fa piacere, ma è così. Non è sempre stato così: nel 2006 fummo noi a spingere l'Europa e le Nazioni Unite alla pace in Libano. Non è detto che sarà così in futuro, ma dipende dalle scelte che faremo sulla questione palestinese, sul riassetto degli equilibri regionali in Medio Oriente. Vorremmo discutere di quest'idea del Mediterraneo, del ritorno degli Stati. Si apre una fase nuova: l'Italia come ci sta? C'è chi vuole affermare l'idea, estremizzata fino al parossismo, della pace attraverso la forza. Noi crediamo, invece, che la pace abbia bisogno soprattutto di politica e di giustizia. Della giustizia dovremmo tornare a parlare, perché i crimini compiuti in questi due anni non possono restare impuniti. Perché abbiamo bisogno di costruire, ricostruire l'integrità, la credibilità del diritto internazionale.
Ma parliamo ora di politica, del coraggio della politica. C'è un grande assente nel dibattito di questi giorni: il popolo palestinese, il suo diritto all'autodeterminazione. Vorrei dire che, mai come oggi, non possiamo permettere che la questione palestinese ricada nell'oblio. E non avverrà. Non si tratta soltanto della ricostruzione di Gaza che non è un affare, è un dovere. È che alla soluzione dei due Stati non si arriva per inerzia. È quella la meta? Nel Piano Trump è avvolta nella nebbia, c'è solo un modo per diradarla: riconoscere lo Stato di Palestina. Andava fatto ieri, oggi ci dice che il tempo si avvicina, però, non è ancora il momento.
Io vi informo che più di 150 Paesi lo hanno fatto nel mondo. Voi volete davvero insegnare al mondo come si sta al mondo? È un processo irreversibile. Volete che l'Italia arrivi per ultima. Davvero, basta alibi su questo. Basta sciocchezze. Non ci saranno accordi di Abramo senza lo Stato di Palestina. Riconoscere la Palestina significa dare forza all'ANP che la comunità internazionale dovrebbe accompagnare a Gaza, se non vogliamo vedere quelle immagini delle esecuzioni forzate di Hamas. Significa condannare l'occupazione illegale dei territori palestinesi, tutto quello che l'attuale leadership israeliana ha negato. E, a proposito di politica, di Stato democratico, di visione, di non radicalizzazione, che errore lasciare in prigione Marwan Barghuthi, il Mandela palestinese ! L'unica personalità che può riunificare, rigenerare l'ANP, rincarnare una Palestina laica. Non lo vuole Netanyahu, perché ha paura degli estremisti, perché ha paura della pace, perché nella pace lui non ha posto. Non è il suo interesse. Ma il nostro interesse qual è? Liberate l'Italia da questo vincolo con Netanyahu. Agli applausi della Knesset rispondevano i fischi nella piazza a Tel Aviv… lo giudicherà la storia. L'ha già giudicato, forse una Corte israeliana, forse persino il popolo israeliano lo condannerà. Noi scegliamo da che parte stare. Se scegliamo la pace, bisogna stare con chi la pace vuole farla davvero.