Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 18 Aprile, 2016
Nome: 
Marco Bergonzi

 

Grazie, Presidente, colleghi. Per maternità surrogata, altrimenti detta gestazione per altri, si intende una pratica fondata sulla disponibilità di una donna a perseguire e realizzare un progetto di genitorialità altrui, impegnandosi prima dell'inizio della gestazione a consegnare il neonato a un genitore o a una coppia di genitori committenti. La pratica è vietata in larga parte dei Paesi europei, quali Svezia, Norvegia, Finlandia, Germania, Austria, Francia, Spagna e Portogallo, consentita se gratuita e con un articolato livello di restrizioni, in un numero limitato di Paesi occidentali, come Canada, Inghilterra, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Australia e alcuni Stati USA e dell'est Europa, come Armenia, Georgia, Ungheria, Bielorussia, Ucraina e Russia, ammessa in Asia, India, Nepal, Thailandia e Hong Kong e in Sudafrica. 
Tale documentazione evidenzia l'inserimento della maternità surrogata in un sistema di produzione, gestito da agenzie di intermediazione, in cui il processo della gestazione del neonato è oggetto di sfruttamento. La maternità surrogata e tutte le implicazioni che questa pratica comporta sono temi certamente complessi e delicati, sia da un punto di vista etico, che da un punto di vista giuridico, ma dobbiamo lavorare insieme perché si prenda una posizione netta e in un'unica direzione: la messa al bando di tale pratica, proprio mediante un trattato internazionale. 
Lo dico, dopo che i nostri colleghi del PD in Commissione affari sociali, presso il Consiglio d'Europa, con il loro voto, hanno affossato il «rapporto De Sutter» sulla regolamentazione della maternità surrogata, poiché in palese contraddizione con le direttive dell'Unione europea in fatto di diritti umani e dopo che, nello stesso gruppo Socialista europeo, sono state avanzate perplessità da parte di numerosi membri sull'impostazione data. 
Il 5 aprile 2011 è stata infatti approvata la risoluzione sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico nell'Unione europea in materia di lotta alla violenza contro le donne, in considerazione delle disposizioni e degli strumenti giuridici dell'ONU in materia di diritti umani, in particolare quelli concernenti i diritti delle donne, quali la Carta dell'ONU, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. In questa risoluzione viene espressamente condannata la pratica della maternità surrogata e questo concetto è ribadito nella relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo del 2014, adottata dall'Unione europea lo scorso novembre. 
Vi sono poi le risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 12 dicembre 1997, dal titolo «Misure in materia di prevenzione dei reati e di giustizia penale per l'eliminazione della violenza contro le donne», del 18 dicembre 2002, dal titolo «Misure da prendere per l'eliminazione dei diritti contro le donne commessi in nome dell'onore», e del 22 dicembre 2003, intitolate «Eliminazione della violenza domestica nei confronti delle donne» e le relazioni dei relatori speciali e dell'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, nonché la raccomandazione generale n. 19, adottata dalla Commissione per l'eliminazione della discriminazione contro le donne. 
Le dichiarazioni adottate alla piattaforma di Pechino, durante la quarta Conferenza mondiale sulle donne (15 dicembre 1995) e le risoluzioni del Parlamento del 18 maggio 2000 sul seguito dato alla piattaforma d'azione di Pechino e del 10 marzo 2005 sul seguito della quarta Conferenza mondiale sulle donne hanno richiesto ufficialmente agli Stati membri di riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili. Il principio della non commercializzazione del corpo umano e delle sue parti è inoltre espressamente sancito dall'articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che stabilisce letteralmente il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti, in quanto tali, una fonte di lucro. 
Preso atto della letteratura giuridica in materia, partiamo dal presupposto che la maternità non è un diritto, tanto più a tutti i costi, e credo che questa espressione debba essere presa alla lettera. 
Perfino la relazione parte da questo presupposto, salvo poi legittimare la sua regolamentazione in nome della tutela dei diritti dei bambini nati da questa forma di maternità. Questo approccio, a mio modo di vedere, trasla il focus del problema sul piano di una logica consequenziale che, in nome di un approccio realista alla questione – il fenomeno esiste e sta diventando sempre più massiccio –, non tiene conto del paradosso giuridico e ontologico a cui va incontro: la maternità non è un diritto assoluto da rivendicare ad ogni costo, nella misura in cui, come nota Michel Onfray, filosofo francese ateo, anarchico e di sinistra, in una recente intervista contro la maternità surrogata dice: «La nascita di un bambino è quella dell'essere più vulnerabile, perché il bambino non ha mai chiesto di nascere. È proprio su questo, come già osservava Immanuel Kant nella sua Metafisica dei costumi, si fonda il suo diritto. I corpi in questione non sono solo quelli dei genitori committenti e quelli dell'eventuale madre surrogata ma, anche e soprattutto, quello del bambino, che diviene, scientemente e in maniera del tutto programmata, oggetto di un contratto di produzione e scambio». 
Lui sostiene che in un mondo ideale degli amici, senza mai farne una questione di denaro, potrebbero portare in sé il bambino altrui non in una logica contrattuale ma obbligatoriamente affettiva. Ma per farne questo le parti in gioco in questa avventura dovrebbero conoscersi prima, durante e dopo; dovrebbe esserci un legame affettivo e sentimentale tra tutte le persone coinvolte – bambino compreso, ovviamente –, ma la realtà è molto diversa e i progetti di legge sulla maternità surrogata ignorano l'affettività, il sentimento, la costruzione della personalità e della soggettività del bambino, a partire dall'ambiente che lo vuole e lo costituisce e io aggiungo che la realtà della mercificazione del vivente non può essere ridotta alla semplice monetizzazione del corpo di una madre e dell'eventuale bambino. Le motivazioni vanno ben oltre la monetizzazione dei corpi, che pure esiste vuoi anche per il risarcimento di eventuali danni al corpo della madre gestante o come rimborso spese. La reificazione del corpo e della psiche del bambino vanno di pari passo alla reificazione del corpo e della psiche della madre surrogata, anche nell'ipotesi della volontarietà della prestazione – definire aprioristicamente la relazionalità genitoriale tra bambino e madre –, come del resto è abominevole l'eventuale rinuncia dei genitori committenti a farsi carico di un neonato disabile o, ancor peggio, costringere la donna ad un aborto terapeutico, con tutto quel che ne consegue, perché la responsabilità sul bambino è ceduta completamente ai genitori committenti. 
Troppe sono le componenti e le variabili che fanno decisamente propendere a non considerare l'esperienza della gestazione materna come un processo meramente meccanico, passibile di contrattualizzazione prioritaria. Dunque, mi sento di sposare la tesi di Onfray quando afferma: «Essere libertari non va confuso con essere liberali o liberisti. Il libertario vuole che il regno della libertà sia più esteso possibile, ma la libertà non è la licenza. La libertà resta banalmente la possibilità di ciò che non nuoce agli altri, nella misura in cui gli altri non abbiano però deciso che io nuoccio a loro per il semplice fatto di esistere. La licenza è il fatto di fare ciò che vogliamo, quando vogliamo, come vogliamo. La licenza è liberticida». 
Cari colleghi, su questo tema si sono saldati tanti mondi fino a costituire un fronte del no che dai movimenti femministi ai movimenti cattolici ritiene giustamente che non è che siccome questo fenomeno esiste debba essere regolamentato. Noi siamo qui oggi a prendere consapevolezza rispetto al percorso che va fatto per mettere al bando a livello internazionale questa pratica e per evitare di trovarci a dover tutelare i minori che, del tutto a loro insaputa e senza nessuna responsabilità, si trovano a vivere un'esperienza paradossale, non di ciò che può accadere nella vita di ciascun uomo e di ciascuna donna ma frutto di un percorso di produzione e scambio. Come la nostra collega, Anna Finocchiaro, ha ben detto, «si tratta di bambini destinati ad essere prodotti da madri surrogate su commissione per essere destinati allo scambio». Questo è il punto. 
Per questo credo che sia utile e doveroso che il Parlamento prenda una posizione netta di condanna di questa aberrante pratica e si faccia promotore, in tutte le sedi nazionali e internazionali, di iniziative volte a sostenere la creazione di un percorso per la messa al bando di questa pratica.