Grazie, Presidente. Non vorrei iniziare questo intervento parlando di Patrick Zaki. Patrick Zaki lo conosciamo: conosciamo la sua storia, la sua famiglia, sua sorella Marise, la sua vicenda, i suoi desideri, i messaggi che ci manda dal carcere.
Patrick Zaki è il simbolo, un volto, un nome delle 2.900 persone circa detenute oggi nelle carceri egiziane, mentre parliamo, nelle sue stesse condizioni. E quali sono le sue condizioni? Sono quelle di una detenzione arbitraria, senza formalizzazione di capi di accusa, che viene rinnovata ogni volta, dopo 45 giorni, senza che sia permesso all'imputato di difendersi dalle accuse che il regime egiziano fa piovere sulla testa di queste 2.900 persone, senza renderle concrete.
Queste 2.900 persone hanno un nome e una famiglia, una storia, ma i nomi, le famiglie, le storie, gli amici, i desideri, la vita precedente di queste 2.900 persone non sono noti. Sono noti solo alcuni casi; uno di questi è quello di Ahmed Samir Santawy, studente dell'Università centrale europea di Vienna, fermato pochi mesi fa, il 1° di febbraio del 2021, proprio all'aeroporto de Il Cairo. Come Patrick, tornava dai suoi studi, dalla città dove studia e dove risiede e voleva andare dalla sua famiglia ed è stato fermato in aeroporto, esattamente come Patrick. Proprio come Patrick, è stato interrogato sui suoi studi che hanno a che fare, anche nel suo caso, con i diritti sessuali e riproduttivi delle donne.
Patrick, lo sappiamo, è uno studente di un master a Bologna sulle differenze di genere. Ahmed Samir Santawy è stato detenuto nelle stesse condizioni di Patrick, con un'accusa non formalizzata, nebulosa, molto pesante per svariate settimane e, poi il 22 giugno 2001, quindi due settimane fa, è stato condannato a 4 anni di carcere per la pubblicazione di notizie false. Nel suo caso, il Governo del Paese europeo che lo ospitava, l'Austria, aveva deciso di perseguire una strada diversa da quella che auspichiamo che persegua l'Italia con questa mozione; il Governo austriaco aveva deciso una strada di contatti informali della diplomazia sottotraccia, dei canali riservati; un sistema che non ha funzionato nel caso di Ahmed Samir Santawy.
Nel caso di questi rapimenti, spesso viene detto che bisogna lasciare lavorare le istituzioni, che è meglio non fare clamore e non indispettire questi regimi; nel caso di Ahmed Samir Santawy questo approccio non ha funzionato e non sta funzionando per ciascuno dei 29 mila uomini, donne, ragazzi, ragazze, attivisti, detenuti in Egitto.
Il silenzio, l'assenza di notizie, che pesano su di loro come una coltre pesantissima, come richiesto dal regime egiziano, non stanno servendo a liberare queste persone. Sappiamo che ci sono; sappiamo che sono lì; sappiamo che soffrono; sappiamo che rischiano pene detentive molto lunghe; eppure, il silenzio, nel loro caso, non funziona e il loro sprofondare nel silenzio ci fa interrogare. Sappiamo anche che, certe volte, invece, il clamore funziona e ha funzionato per esempio il 17 maggio del 2020, un anno fa, nel caso di Lina Attalah: Lina Attalah è una bravissima giornalista e la direttrice di uno dei pochissimi media ancora liberi, l'ultimo quotidiano online libero d'Egitto, Mada Masr. E' stata arrestata perché aveva fatto un'intervista alla famiglia di un altro detenuto nelle condizioni di Patrick Zaki.
Lina Attalah ha legami con l'Italia: ha studiato a Duino, non lontano da Fiumicello, dove è nato e cresciuto Giulio Regeni. Si sono mobilitati per lei i suoi ex compagni di scuola, i colleghi giornalisti italiani, anche la politica. Tanti di noi presenti in quest'Aula anche oggi hanno fatto pressione perché lei venisse liberata e, dopo poche ore, Lina Attalah è stata liberata.
Non sappiamo se siano giusti il clamore o il silenzio; sappiamo però che il silenzio non sta portando a bucare quella coltre oppressiva che grava sulle tante persone che sono detenute in Egitto.
Ci viene anche detto: perché Zaki? Perché ci siamo focalizzati su di lui, quando le persone nelle sue condizioni sono almeno 2.900? Ci sono 400 persone in attesa di vedersi comminata una sentenza di morte; la situazione dei diritti umani in Egitto è molto pesante. Perché proprio Zaki, che è cittadino egiziano, lo ricordiamo: certo, è cittadino egiziano, lo sappiamo, ma Zaki è sentito come cittadino di questo Paese. Studiava qui, lo sentiamo italiano, il Paese lo sente figlio, compagno di studi, abitante delle nostre città; vi è un'università, ne parlerà dopo l'onorevole De Maria, e la città di Bologna che stanno facendo tutto il possibile perché la vicenda di Patrick non sia dimenticata e continui a tenere viva la mobilitazione civile, di solidarietà, che è il volto più bello della nostra esperienza italiana.
Perché Patrick? Perché Patrick lo sentiamo uno di noi, anche se non è cittadino italiano, ed è per questo che chiediamo che il Governo italiano faccia di tutto.
La mozione che oggi discutiamo, che domani voteremo, su cui interverranno vari colleghi, chiede tante cose: chiede che Patrick sia riconosciuto come cittadino italiano, che si faccia tutto il possibile in sede europea, in sede internazionale, in sede multilaterale per far sì che effettivamente Patrick possa essere liberato; chiede - grazie anche all'aggiunta che ha voluto oggi la collega Marta Grande - che siano fatte tutte le iniziative per garantire la libertà degli studenti stranieri che vengono in Italia a studiare e che magari provengono da Paesi che sono dei regimi, proprio come l'Egitto. Chiediamo tante cose con questa mozione e le chiediamo per un cittadino egiziano che noi sentiamo come italiano; le chiediamo per un ragazzo che oggi, a 17 mesi dalla sua incarcerazione, anche stanotte, anche domani, vivrà in condizioni di reclusione; sta male Patrick - lo sappiamo, lo scrive, lo raccontano le persone a lui vicine, la sua avvocata - e ne chiediamo la liberazione perché è il volto di un'Italia, di una generazione che in Egitto è stata repressa, la cui ricerca di libertà e la cui domanda di democrazia è una domanda che sentiamo come nostra. Chiediamo che gli venga riconosciuta la cittadinanza perché chiediamo che il Governo faccia tutto il possibile: noi non vogliamo e non possiamo sopportare di pensare che non stiamo facendo tutto il possibile per liberare Patrick, per farlo uscire dal carcere, per farlo venire in Italia, come è suo desiderio. Sì, è vero, Patrick è cittadino egiziano, ma è anche vero che ha un legame con questo Paese, è anche vero che un Paese come il nostro ha il dovere di denunciare tutte quelle violazioni dei diritti umani di cui sono vittime cittadini inermi anche nel loro Paese; ed è per questo che noi chiediamo il riconoscimento della cittadinanza a un Governo che finora sta valutando - e speriamo che questa valutazione arrivi a una risposta positiva e celere. Chiediamo ciò perché noi non possiamo lasciare nulla di intentato e dobbiamo fare tutto il possibile per liberarlo: tutto il possibile, tutto il possibile, finché non sarà liberato! È questo che chiediamo al Governo.