Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 14 Aprile, 2021
Nome: 
Chiara Gribaudo

Presidente, onorevoli colleghi, pochi giorni fa l'Istat fotografava ancora una volta la crisi gravissima nella quale ci troviamo: un milione di posti di lavoro persi in un anno, la disoccupazione giovanile tornata sopra il 30 per cento, i NEET, è già stato ricordato, i ragazzi che non studiano non lavorano, tornano sopra i 3 milioni. Per pochi, oggi, in Italia, le prospettive sono rassicuranti, ma per i giovani lo sono ancora meno, devono farsi carico di un Paese che invecchia rapidamente, che non riesce a dare loro livelli di istruzione adeguati e che non garantisce loro salari e tutele sufficienti a poter fare progetti di vita. Ma questa condizione, a ben vedere, non nasce certo con il COVID. È almeno dalla crisi del 2008 che in Italia abbiamo dovuto salutare definitivamente l'idea del continuo miglioramento delle condizioni di vita di generazione in generazione; non è più così da oltre un decennio. Ci siamo impegnati a invertire nuovamente il trend e avevamo raggiunto dei tiepidi risultati, penso al calo della disoccupazione giovanile, grazie ad iniziative come la decontribuzione o a Garanzia Giovani, pur con tutte le sue debolezze, che sono state ricordate; penso al taglio delle tasse universitarie sui ceti più deboli o al “bonus cultura”, ma il COVID, questa pandemia, ha fatto emergere tutte le disuguaglianze e le contraddizioni che da tempo non riusciamo ad affrontare seriamente e sistematicamente.

Il nostro Paese ha così tanto bisogno di forze fresche, di innovazione e di competenze che appare davvero assurda la quantità di barriere e di ostacoli che impedisce ai giovani di fare la loro parte. La prima barriera è l'accesso a una formazione di qualità, visti i drammatici risultati dei test Invalsi, che raccontano di un Paese con differenze territoriali inaccettabili per la comprensione di un testo di italiano o la soluzione di un problema matematico. Crescendo, le disuguaglianze aumentano e si allargano sulla base del contesto sociale di provenienza; i costi diretti e indiretti dell'iscrizione all'università sono molto alti a fronte di un cronico sotto finanziamento del diritto allo studio. Chi riesce a proseguire e a laurearsi si scontra, poi, con l'ingresso nel mondo del lavoro che, spesso, è in realtà un vero e proprio sfruttamento. I tirocini curricolari non prevedono indennità economiche e quelli extracurriculari sono diventati il metodo privilegiato per tagliare il costo del lavoro senza alcuna vera responsabilizzazione dei datori sulle necessità di assumere. I tirocini sono cresciuti, sono cresciuti a dismisura, raggiungendo le 350 mila attivazioni nel 2019, superando anche l'apprendistato che, nello stesso anno, si è fermato a 345 mila, battuto da questi strumenti perché più economici e più precari.

E, così, nel 2019, prima del COVID, se ne erano andati all'estero 122 mila italiani, cifra che fa avvicinare al milione gli espatriati nell'ultimo decennio. Si tratta, soprattutto, di giovani qualificati, con età media sui trent'anni, giovani che qui non riescono a immaginarsi di poter vivere da soli o anche di crearsi una famiglia. Il traguardo della casa è davvero difficile da raggiungere, la casa dei genitori è una scelta obbligata per molti, il 49,3 per cento dei giovani tra i 25 e i 34 anni di età, secondo i dati di Eurostat, contro una media europea del 28,5 per cento. E se è impensabile vivere da soli, è praticamente impossibile pensare di avere dei figli. Nell'anno del COVID la natalità ha battuto un nuovo record negativo, fermandosi a 404 mila nuovi nati; abbiamo, invece, perso, come Paese, 384 mila residenti, come una grande città che scompare dall'Italia.

Presidente, ho già avuto modo di dirlo pochi giorni fa nel dibattito sul PNRR; questo Paese se non riuscirà ad offrire un'opportunità e una speranza alle nuove generazioni è un Paese senza futuro. Oggi, noi abbiamo a disposizione lo strumento straordinario del PNRR Next Generation EU, ma è totalmente inutile rimanere ad aspettare queste risorse se prima non riorganizziamo i nostri obiettivi e le nostre priorità, per riuscire a spendere bene. Non si tratta soltanto di progetti, ma di vere e proprie riforme di come oggi immaginiamo il legame fra scuola e università, fra formazione e mondo del lavoro. Si tratta di creare servizi di orientamento, oggi lasciati alla buona volontà di pochi, e di attivare reti orizzontali e verticali tra istituzioni scolastiche e universitarie e imprese. Si tratta, ancora, di riformare le regole di ingresso nel mondo del lavoro, perché tutti abbiamo fatto dei sacrifici terminati gli studi e abbiamo accettato compensi più bassi per acquisire nuove competenze, ma non possiamo accettare che, oggi, ai giovani italiani venga chiesto di lavorare gratis per essere sfruttati e imparare poco e niente. Il lavoro va pagato, sempre (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Finché questo è ciò che offriamo a chi esce da scuola e dall'università, non c'è da stupirsi che così tanti rimangano disorientati, impantanati, fermandosi o scegliendo di andarsene dall'Italia. C'è bisogno, Presidente, di una riforma vera dei tirocini curriculari, di limiti più seri all'uso dei tirocini extracurriculari e di una riforma dell'apprendistato che restituisca a questo fenomenale strumento il primato per l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.

Si sta facendo, inoltre, avanti in questi anni una proposta che anche in questa mozione abbiamo deciso di inserire, ne ha parlato il Forum disuguaglianze diversità. Ne discutono giovani ricercatori in Italia e all'estero e la proposta di una dote di opportunità, detta anche “dote o eredità universale”, ovvero la corresponsione a ogni cittadina e cittadino, al compimento dei 18 anni di età, di una cifra da investire in corsi di formazione, in progetti imprenditoriali o in altre iniziative utili a pensare al proprio futuro in autonomia. Si tratta di una proposta che dev'essere approfondita e incrociata con le esperienze estere, come quella delle indennità di autonomia per i giovani appena usciti dal percorso di studio e che si incamminano nel mondo del lavoro. Crediamo, infatti, che siano la conoscenza e il rafforzamento delle competenze le priorità su cui abbiamo bisogno di investire per uscire da questa crisi e per non subire, allo stesso modo, le prossime.

La digitalizzazione necessita di un processo strategico nazionale che parta dalla scuola primaria, perché è necessario sia istruire sia educare fin da piccoli all'utilizzo del digitale. Si parla troppo spesso di nativi digitali, pensando che chi è cresciuto con in mano uno smartphone abbia dei poteri magici, quando, invece, nessuno insegna a questi ragazzi e a queste ragazze a scrivere nel linguaggio di programmazione o a fare un uso proficuo dei dati. Ancora peggio, nessuno spiega loro come tutelare la propria privacy e come distinguere il vero dal falso mentre utilizzano Internet e i suoi servizi. Le riforme sulla formazione dei giovani devono essere il primo tassello di un sistema di lifelong learning, di formazione continua e permanente che miri, in particolare, a integrare le conoscenze digitali e scientifiche delle persone, le cosiddette STEM, perché nessuno debba affrontare in solitudine le trasformazioni del mercato del lavoro. Un telefono o un elettrodomestico possono diventare obsoleti, ma non possiamo permetterci che lo diventino le persone.

Per tutti questi motivi, Presidente, oggi portiamo al Governo una mozione densa di impegni per un Paese che voglia dare una speranza alle giovani generazioni. In questo momento tantissimi sono a casa: chi è costretto alla didattica a distanza dalla zona rossa, chi ha perso il lavoro alla scadenza del suo contratto a termine o dal suo tirocinio. Stanno soffrendo psicologicamente le limitazioni di questo anno e in troppi rischiano di subire a lungo una vera e propria esclusione sociale. Aspettano di poter uscire, aspettano che questa storia finisca senza sapere cosa accadrà dopo, senza nemmeno troppa fiducia che poi tutto andrà bene. Il nostro compito di fronte alla loro sofferenza non può e non deve essere soltanto quello di ritornare al mondo di prima, perché il mondo di prima lasciava i giovani in uno stato di incertezza e di precarietà esistenziale. Abbiamo il dovere, da queste macerie, di cambiare e di dare loro la possibilità di ricostruire un Paese in cui non è vietato sognare.