Data: 
Venerdì, 16 Gennaio, 2015
Nome: 
Chiara Scuvera

Grazie Presidente, quello degli studi di settore è un tema ricorrente e dispiace che sia i colleghi della Lega che i colleghi del MoVimento 5 Stelle, dopo avere proposto una mozione – ed in particolare i deputati della Lega facendo una proposta forte che è quella della sospensione entro tempi rapidissimi di questo istituto che noi invece riteniamo ancora utile – non partecipino a questa discussione. I cittadini e le imprese giudicheranno chi fa politiche concrete per la crescita e chi fa solo demagogia. Benissimo. Per quanto riguarda il tema io credo che in questa discussione si sia spesso confusa la questione dell'utilità dell'istituto con quella dell'attualità della configurazione dell'istituto. Credo quindi che sarebbe stato e che sarebbe un errore privare di uno strumento sia l'amministrazione finanziaria che le imprese, uno strumento che ha come ratio quella della semplificazione per consentire una più efficace lotta all'evasione fiscale, utilità che va invece potenziata e attualizzata. Noi sappiamo che questo proprio indebolirebbe tutto il sistema produttivo. Infatti gli studi nascono nel 1993 proprio come strumento per rendere anche il mercato più trasparente e la competizione più leale. Tramite gli studi il contribuente in sede dichiarativa può verificare il proprio posizionamento rispetto ai criteri di congruità e coerenza, rilevando se i ricavi o i compensi dichiarati siano congrui rispetto a quelli stimati dallo studio, tenuto conto delle risultanti derivanti dall'applicazione degli indicatori di normalità economica, e se il proprio comportamento sia coerente con i valori di indicatori economici predeterminati per ciascuna attività. 
Quindi, questo strumento rappresenta un'importante forma di prevenzione dell'infedeltà dichiarativa, potendo indurre comportamenti corretti. Quindi il tema, per noi, non è quello di smantellare questo strumento, come richiede praticamente la mozione della Lega Nord, ma di evitare degli automatismi che inducano ad una sorta di minimum tax per le imprese. Lo strumento, come ci dice autorevole dottrina, si è anche evoluto nella sua funzione, soprattutto con l'avvento e l'aggravarsi della crisi economica, diventando uno dei principali mezzi di compliance. Non è un'ispirazione punitiva, quella che anima gli studi di settore, ma di ausilio all'accertamento e di conoscenza proprio della capacità delle imprese di valutazione anche dell'attendibilità dei modelli fiscali, di incentivo all'adempimento all'autocorrezione. 
In questo senso è stata eloquente la Corte di Cassazione, che nel 2009 non dice, come sostiene la mozione della Lega Nord, che gli studi di settore sono inutili ma, chiarendone proprio la natura di presunzione semplice, stabilisce e chiarisce che, ai fini della prova dell'evasione fiscale, non bastano gli studi di settore. Ciò significa che non è che automaticamente gli studi di settore rappresentano una prova dell'evasione fiscale, la quale può essere confutata anche con altri elementi probatori. 
Quindi, quello che fa la Corte è proprio limitare l'automatismo dell'accertamento fiscale. Si tratta, quindi, di conferire una maggiore efficacia e fruibilità a uno strumento che consente all'impresa di autovalutarsi, nell'ottica di un rapporto nuovo tra l'amministrazione finanziaria e il contribuente, quel rapporto di collaborazione a cui, con i provvedimenti del Governo e del Parlamento, puntiamo come Partito Democratico. 
Gli studi, per esempio, vanno valorizzati come strumento di selezione rispetto all'ulteriore attività di controllo più che finalizzati al mero accertamento diretto ed è quanto sottolineato dagli indirizzi operativi dell'Agenzia delle entrate nell'agosto 2014, con una recente circolare in riferimento ai dati contenuti nei medesimi. 
Per questo, come Partito Democratico, proprio perché riteniamo che è ancora valida sia l'utilità dello strumento, ma che quello che va potenziato è proprio la ratio, chiediamo la semplificazione, la riduzione del numero, una revisione delle modalità di calcolo. 
Presidente, per suo tramite chiederei alla Lega, se fosse presente – purtroppo è assente, quindi non possiamo chiederglielo –, se davvero ritiene che i problemi delle imprese siano rappresentati da strumenti come quelli degli studi di settore e non, invece, da questioni strutturali più complesse, la cui soluzione si è rinviata per troppo tempo. 
Noi crediamo che per rilanciare il sistema Italia, il cui tessuto produttivo sappiamo essere composto largamente da micro, piccole e medie imprese, occorra promuovere investimenti pubblici e privati nell'innovazione e, quindi, nella ricerca, ridurre la pressione fiscale su imprese e lavoratori (questo chiaramente agevola anche gli investimenti ed è il senso delle operazioni che stiamo conducendo sull'IRAP e sull'IRPEF), riformare profondamente il fisco e la giustizia, puntare sulla semplificazione e sulla chiarezza dell'agire amministrativo. Abbiamo cominciato a farlo, a partire dalla delega fiscale e dalla legge di stabilità, dal progetto di riforma della giustizia. Per consolidarsi e competere le imprese hanno bisogno di un sistema con regole chiare e solide. Non ci sfugge, poi, che per i contribuenti di minori dimensioni, il cosiddetto «popolo delle partite IVA», rappresentato anche da tanti giovani professionisti, l'elaborazione degli studi possa rappresentare talora un appesantimento burocratico e che questi vadano utilizzati dove effettivamente servono. Ed è per questo che con la nuova disciplina contenuta nell'articolo 1, commi da 54 a 89, della legge di stabilità per il 2015, istituendo, a decorrere dal 1o gennaio 2015, per gli esercenti attività d'impresa e arti e professioni in forma individuale, un regime forfetario di determinazione del reddito da assoggettare a un'unica imposta sostitutiva – sappiamo che, lo ha anche detto il Governo, si dovrà tornare su questa norma per procedere a un aggiustamento, e dirò quale –, si prevede, tra le altre agevolazioni, quella dell'esenzione dagli studi di settore. 
Riteniamo che nel prossimo provvedimento legislativo utile sia necessario innalzare il tetto massimo dei ricavi e compensi previsto per accedere al nuovo regime fiscale agevolato per i settori le cui soglie sono attualmente fissate a valori inferiori a 30 mila euro, a partire dai lavoratori autonomi che esercitano la professione in via esclusiva, coordinando il nuovo regime tributario dei minimi con l'evoluzione temporale prevista per le aliquote contributive pensionistiche di tali categorie, in modo da tenere sotto controllo e evitare l'aumento della pressione fiscale complessiva sulle stesse. Ma la direzione che noi abbiamo disegnato con quella norma è assolutamente giusta. 
Sempre per garantire più efficacia in termini di compliance, la legge di stabilità 2015 ha introdotto norme che rafforzano i flussi informativi tra i contribuenti e l'Agenzia delle entrate e la modifica delle modalità, dei termini e delle agevolazioni connesse all'istituto del ravvedimento operoso. 
Vede, Presidente, noi riteniamo che privare la pubblica amministrazione e le imprese di uno strumento come gli studi di settore, senza peraltro avanzare una proposta alternativa, produrrebbe un irrigidimento del sistema fiscale, uno spreco di risorse. Tra l'altro, metterebbe a rischio il focus sull'evasione, ridurrebbe la cultura della prevenzione dell'evasione fiscale e si rischierebbe, da un lato, di indebolire il contrasto all'evasione e, dall'altro, anche di ridurre la cultura di programmazione e di autovalutazione delle imprese. Da riformisti, diciamo ripensiamo gli studi, aggiorniamoli, ma non cambiamo continuamente le regole. Consolidiamo una nuova cultura di impresa. Noi, quindi, non condividiamo la proposta di sospensione per l'anno il corso, ma riteniamo che sia necessario proseguire nel processo di promozione della collaborazione tra fisco e contribuente, della semplificazione delle procedure, per diffondere il massimo adempimento spontaneo. Come Partito Democratico ci riserviamo di presentare una nostra mozione.