Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 3 Ottobre, 2016
Nome: 
Paolo Beni

Grazie, Presidente. Anch'io ritengo questa discussione, sollecitata dalla mozione presentata dai colleghi, una discussione utile. Anche noi ci riserviamo, al termine di questa discussione, di depositare un nostro testo sul tema. È una discussione utile perché innanzitutto vorrei dire questo: il CARA di Mineo, per molti aspetti, è un perfetto esempio di ciò che non dovrebbe essere un centro di accoglienza. Mineo, non soltanto è il centro più grande d'Europa, con 4.000 posti, ma è anche un po’ il paradigma delle contraddizioni di quell'approccio emergenziale al fenomeno migratorio, che si è dimostrato fallimentare e che infatti il nostro Governo sta ripensando, ha già ripensato nelle sue strategie, questo vorrei ricordare. 
Allora, facendo un passo indietro, Mineo nasce nel 2011 – è stato già ricordato – nel febbraio 2011, quando l'afflusso sulle coste italiane di migliaia di migranti in fuga dalle rivoluzioni arabe indusse il Governo Berlusconi a proclamare lo stato di emergenza umanitaria sul territorio nazionale. Vorrei ricordare semplicemente che stiamo gestendo ora flussi molto più ampi di quello, senza nessun ricorso all'emergenza con la legislazione ordinaria. Comunque, per ospitare i migranti, fu requisito – come è stato detto – il residence degli aranci, villaggio fino a poco prima occupato dai militari USA di Sigonella, di proprietà dell'imprenditore Pizzarotti, il quale subito avviò un contenzioso che, dopo lunga trattativa, avrebbe portato a un affitto molto oneroso per lo Stato. Allora, intanto c’è da chiedersi perché non si cercarono soluzioni meno onerose, ad esempio il ricorso a beni demaniali inutilizzati. Ma la scelta di Mineo appare infelice anche per altri aspetti. Interamente recintato, il villaggio comprende 300 villette disseminate lungo un reticolo di viali interni, una vera e propria cittadella collocata in mezzo al nulla, in un'area priva di servizi, di infrastrutture a pochi chilometri da un paese di 5.000 abitanti, che è Mineo.
È inevitabile che concentrare in un contesto simile migliaia di persone, quasi tutti giovani maschi, determini tensioni sia all'interno del centro, che nel rapporto con la città, e rischi per la sicurezza pubblica, né si può dire che quella struttura garantisca il trattamento dignitoso e la cura di cui avrebbero bisogno persone sopravvissute ad esperienze drammatiche. I migranti vengono distribuiti nella cittadella in base alla provenienza e all'etnia, ma dopo l'assegnazione dell'alloggio subentra una sorta di autogestione dei vari gruppi nazionali, dietro la quale è probabile possa celarsi anche una qualche forma di caporalato. Alcuni edifici non ospitano abitazioni, ma esercizi commerciali non autorizzati, ma tollerati dalla Direzione. Nel centro è evidente la presenza di un'economia sommersa in cui circola merce di dubbia provenienza ed è forte anche il dubbio che ci siano forme di sfruttamento, di traffico di droga e di prostituzione. Nonostante 200 dei 400 operatori del centro siano addetti alla sorveglianza non sembra che tutto ciò che avviene nel centro sia sotto controllo. L'Ufficio di P.S. presente effettua frequenti interventi a causa di risse; le Forze dell'ordine sanno che si verificano violenze e abusi ma osservano a distanza, ritenendo in parte tutto questo fisiologico in quel contesto. Medici, avvocati, mediatori culturali sono insufficienti rispetto al numero degli ospiti, non possono bastare 7 psicologi per migliaia di persone, di cui molte sono affette da disturbi psichiatrici a causa dei traumi subiti durante il viaggio. Anche il servizio medico è deficitario, screening superficiale, presa in carico dei pazienti frammentaria, ambulatori sprovvisti di attrezzature adeguate. Le condizioni igienico-sanitarie sono precarie, le norme di sicurezza approssimative, molti ospiti lamentano di non ricevere regolarmente i prodotti per la pulizia e l'igiene personale necessari, i servizi di mediazione linguistico-culturale, la consulenza legale, le attività di formazione e orientamento all'integrazione sono insufficienti, mancano spazi di socialità, gli ospiti stazionano presso le casette o vagano per il villaggio. Il problema maggiore di Mineo è proprio l'isolamento fisico e sociale. I migranti sono liberi di uscire, ma non ci sono trasporti per arrivare a Mineo, tutto va fatto dentro il centro, l'integrazione col territorio è praticamente impossibile, i migranti sono costretti di fatto alla inattività forzata, spesso per mesi, e questo produce uno stato alienante di attesa, di senso di isolamento, di apatia e di sfiducia. 
Allora, se tutto questo fa di Mineo un modello negativo per la qualità dell'accoglienza e la tutela dei diritti umani, ci sono altri aspetti di quell'esperienza che confermano come l'approccio emergenziale apra pericolose falle sul piano della trasparenza e della legalità. La Commissione parlamentare di inchiesta ha potuto rilevare infatti scarsa trasparenza nell'amministrazione, nelle assunzioni del personale, per chiamata diretta senza alcuna verifica dei requisiti professionali, nella scelta dei fornitori, nella gestione del pocket money, nella rilevazione giornaliera delle presenze e questi sono elementi gravi se si considera l'ingente dimensione economica dell'appalto di gestione. Ma è tutta la storia di Mineo a presentare anomalie, dai ripetuti affidamenti diretti dei servizi nella fase dell'emergenza, alla creazione del consorzio calatino come stazione appaltante, alle ripetute proroghe sempre agli stessi soggetti, alla gara d'appalto che l'ANAC ha dichiarato illegittima perché di fatto costruita per favorire l'affidamento a un unico concorrente, agli intrecci fra il consorzio appaltante e le cooperative vincitrici e infine all'interdittiva antimafia nei confronti delle stesse e il commissariamento della gestione, che è stato fatto dall'attuale Governo, fatti su cui – come sappiamo – ci sono indagini della magistratura e non mi dilungo su questo. Voglio soltanto dire che Mineo dimostra che il modello dei grandi centri, in cui concentrare migliaia di migranti, è fallimentare, per almeno tre ordini di ragioni. Primo, perché produce ambienti spesso invivibili e lesivi dei diritti e della dignità umana di chi vi è ospitato. Secondo perché genera nei territori allarme sociale, problemi di sicurezza. Terzo perché apre a pericolose falle ad opacità di gestione se non a vere e proprie infiltrazioni malavitose. All'origine c’è quella logica dell'emergenza per cui si giustifica tutto e si giustifica il mancato rispetto delle buone prassi, l'accoglienza diventa allora un business per alcuni, diventa la possibilità di un lavoro per altri, gli interessi che vi ruotano intorno condizionano le scelte di enti locali, operatori locali, imprese. Il risultato sono strutture inadeguate ai bisogni dei migranti, l'uso discutibile delle risorse, episodi di arbitrio e corruzione. Va superato questo approccio e questa è la linea che il nostro Governo sta perseguendo fin dal 2014 con l'accordo con la Conferenza unificata in sede Stato-regioni per l'accoglienza diffusa sul territorio nazionale. Bisogna andare a costruire un sistema diffuso di accoglienza, piccoli nuclei ospitati nelle comunità locali sulla base di progetti di integrazione degli enti locali che coinvolgono le realtà del territorio, le associazioni del territorio. Questa scelta sappiamo è in pieno svolgimento, è il progetto su cui stiamo lavorando, richiede un processo graduale, certo, che non consente di chiudere nell'immediato tutti i grandi centri e le strutture governative come quella anche di Mineo. Che fare allora ? Concludo, Presidente. Io penso che intanto noi ribadiamo, come ha detto già il collega, la nostra perplessità, la nostra contrarietà sull'ipotesi di attrezzare una parte della struttura di Mineo inhot spot per le note problematicità di quella struttura ma anche per la sua distanza dai luoghi di sbarco che lo renderebbe illogico quantomeno. Meglio realizzarvi, se quella struttura ancora serve, lotti specifici dedicati per esempio alle categorie vulnerabili, donne in difficoltà, famiglie, minori non accompagnati. Sicuramente bisogna perseguire il ridimensionamento delle presenze e la riqualificazione dei servizi. Occorre andare gradualmente alla chiusura di queste megastrutture ad eccezione di quelle destinate per il tempo strettamente necessario al primo soccorso, prima accoglienza, identificazione e smistamento dei migranti nei territori del Paese, soprattutto bisogna rafforzare nei territori quella rete diffusa di accoglienza nelle comunità locali che è l'unica soluzione possibile e sostenibile al problema migratorio che stiamo affrontando.