Grazie, Presidente. Grazie, sottosegretaria, non solo per stare qui oggi ad ascoltare queste riflessioni, ma per quello che sta facendo in questi mesi, in un momento così drammatico per il nostro Paese. Ora, io non posso non iniziare il mio intervento senza sottolineare che stiamo attraversando la più grande crisi sanitaria di questo secolo, e non solo per la diffusione enorme di questo virus, non solo per la sua altissima contagiosità, ma soprattutto per la sua gravità, che nessuno conosceva, né poteva prevedere. Io stesso, in quest'Aula, un anno fa, ho detto delle cose su quello che sapevamo, che era abbastanza poco e insufficiente. Abbiamo scoperto, via facendo, di che cosa si trattava e di come fosse un virus pericoloso: nessuno aveva e nessuno ha una ricetta per sconfiggere oggi, subito, questo virus. La vaccinazione è un elemento, ma è una pratica complessa, complicata, difficile, di cui parlerò fra poco. Ma voglio farvi un esempio piccolo per dirvi che noi non conosciamo ancora nemmeno gli effetti a lungo termine che questo virus determinerà sui nostri pazienti. Noi sappiamo della fase acuta, ma non conosciamo la fase lunga, il follow up. Voglio fare un esempio molto piccolo, che mi riguarda e che sto studiando in questi mesi, che riguarda l'età pediatrica: sapete che il virus colpisce molto poco i bambini, il 2 per cento della popolazione, e con forme assolutamente non gravi. Ma i pediatri stanno osservando da alcuni mesi una patologia piuttosto strana, che sembra collegata a questo COVID: una malattia infiammatoria multi-sistemica, che si sviluppa non subito, nella fase acuta della malattia, ma dopo due settimane dall'eventuale contagio che un bambino ha contratto; cioè, può essere sia un bambino asintomatico o paucisintomatico, che dopo dieci giorni accusa sintomi molto gravi e molto difficili da trattare; ed è una patologia, che per certi versi conosciamo già e per certi versi è nuova, che ci impegna molto, addirittura con ricoveri in terapia intensiva. Sono stati descritti 230 casi in Europa e nel Regno Unito, con due decessi; in Italia abbiamo raccolto già 149 casi durante la prima ondata e stiamo osservando quelli della seconda ondata. In tutto il mondo sono in corso studi di follow up, non ancora conclusi ovviamente, sugli effetti a lungo termine di questa infezione. Quindi, capite che questa pandemia non solo colpisce in fase acuta e mette in crisi il nostro sistema sanitario nazionale, ma colpisce in fase di lungo periodo, di lungo tempo. Avremo nei prossimi anni esiti di questo virus.
Ora, fatemi dire che tutti, ma proprio tutti gli operatori sanitari conoscevano le criticità del nostro sistema sanitario nazionale: criticità di cui mi meraviglio come la politica sembri solo oggi accorgersi. Chiunque ha lavorato negli ospedali o a contatto con operatori sanitari, da molti anni sentiva le lamentele relative a tagli di personale, tagli di strutture, tagli sulle apparecchiature; e questi tagli, evidentemente, portavano a delle conseguenze. Per cui io ringrazio qui i colleghi che in questi anni, in questi lunghi anni, hanno fatto il loro lavoro con meno infermieri, meno medici, meno macchine, ma senza mai chiudere gli ospedali e accogliendo sempre tutti, perché le malattie certo non si fermavano. Ma il COVID ha creato un altro problema: avete mai visitato in questi mesi un ospedale? Ma non vi dico i reparti COVID o i pronto soccorso, dico i reparti di ortopedia, di nefrologia, di chirurgia oncologica; e nessuno mica ci sta dicendo che le malattie oncologiche stanno diminuendo, quelle continuano il loro progressivo andamento. Ebbene, i miei colleghi che lavorano in questi reparti, sono costretti ad essere medici COVID e a ridurre i loro interventi di oncologia, o di chirurgia, o di dialisi, o di nefrologia, o a farlo in condizioni di grande precarietà. E fatemi dire che la criticità più importante e più grave che il Governo ha provato a risolvere sono i posti di terapia intensiva.
Fatemi dire una cosa tanto ovvia, quanto preoccupante: senza medici intensivisti o infermieri specializzati, sarà impossibile attivare anche un solo posto letto di terapia intensiva; cioè, se noi pensiamo che per trovare un posto letto basti fare un bando, comprare attrezzature e comprare i letti, facciamo un grande errore, perché per formare un medico intensivista ci vogliono almeno undici anni. Per cui chiedere oggi di avere più intensivisti è comprensibile, ma bisogna sapere che, per avere un intensivista preparato e pronto, bisogna formarlo. E quindi una criticità importante è la carenza di personale specializzato. E qui noi torniamo a dire una cosa che già avevamo detto anni fa, l'ho detto già prima del COVID: l'imbuto formativo. I medici stanno dicendo da molto tempo che, considerando le uscite dal 2018 al 2025, con il numero dei pensionamenti e l'arrivo di nuovi medici, avremo nei prossimi anni, in Italia, un numero di medici per abitante che sarà il più basso d'Europa. Bisognava già da prima cominciare ad aumentare le borse di studio, ma qualcosa è stato fatto: finalmente sono state finanziate 4.200 nuove borse di studio, e questo è un dato significativo e importante, che va nel senso di dare una risposta concreta a questa crisi. Sono stati assunti, per fortuna, 5 mila medici, 11 mila infermieri, 5 mila operatori sociosanitari, e sono stati attivati anche 11.100 posti di terapia intensiva, cioè è stato fatto uno sforzo straordinario, in questi mesi, per provare ad arginare questa pandemia. E per la prima volta, dopo tanti anni di tagli, sono stati stanziati 12 miliardi per la sanità, 2 per il fondo corrente, 2 per l'edilizia, 1,5 per assumere medici, mezzo miliardo per le liste d'attesa e 4 miliardi per il comparto. E voglio dire che al 30 ottobre le risorse umane del nostro Servizio sanitario nazionale sono state potenziate di oltre 36.300 unità.
Ora, queste cose dobbiamo dircele in quest'Aula perché lo sforzo che è stato fatto in questi anni dai miei colleghi medici e dal Governo per dare una risposta c'è stato e non si può negare. Certo, si può fare sempre di più e si dovrà fare di più e meglio, ma uno sforzo c'è stato. Ma quello che mi preoccupa, invece, e su questo forse c'è bisogno di più attenzione, è che non si è fatto abbastanza per ridurre le disuguaglianze nel nostro Paese. Guardate che le fasce più vulnerabili sono quelle più esposte al contagio, non solo per la minore conoscenza delle norme igieniche e di profilassi, ma anche perché risiedono in nuclei familiari numerosi e in abitazioni piccole. Quindi il sovraffollamento in queste fasce di popolazione è molto più elevato e in queste fasce di popolazione si verificano più decessi e più contagi. La buona salute, tutti lo sappiamo, lo abbiamo declinato in tanti modi in questi anni, inizia nella comunità: più una persona è socialmente ed economicamente svantaggiata più è probabile che si ammalerà di malattie che poi sono le cause principali di morte nel nostro Paese, cioè ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari. Tutte malattie prevenibili se la comunità funzionasse e se fossero ridotte le disuguaglianze nel nostro Paese. Per cui investire per ridurre le disuguaglianze sociali ed economiche vuol dire migliorare la salute dei nostri cittadini, e non possiamo investire dovunque allo stesso modo; bisogna investire lì dove c'è più bisogno.
Ora, fatemi dire che bisogna investire nelle regioni del Sud Italia se vogliamo davvero recuperare questo gap che c'è tra il Sud e il Nord del Paese. Investire e ridurre le disuguaglianze nel Sud del Paese vorrà dire ridurre e migliorare tutto il sistema sanitario nazionale, avere meno patologie e meno malati che pesano sul nostro sistema sanitario. Ma quello che il COVID ha manifestato in modo eclatante, che un po' tutti hanno detto in quest'Aula in questi mesi, è che il sistema è fatto di due gambe: l'ospedale, da un lato, il territorio, dall'altro. Questi sistemi sono di fatto, e lo sapevamo già, squilibrati. Il territorio è stato, in questi anni, sempre più ridotto e confinato in piccole parti dei nostri finanziamenti e negli ultimi vent'anni sono cambiati i bisogni di salute, ma non sono cambiati i nostri modelli organizzativi, ossia noi stiamo ancora attuando un contrasto alle malattie infettive e acute, che quasi non esistono più se non per il COVID adesso, e non per le malattie croniche, che sono molto aumentate, per le malattie oncologiche. Quindi, dobbiamo pensare a un nuovo sistema sanitario che sappia far fronte alle nuove emergenze e alle nuove patologie che, in questi anni, abbiamo imparato a conoscere. Allora dobbiamo fare sì che i due sistemi, territorio e ospedale, vadano integrati e potenziati a vicenda. Va potenziata una medicina che tanti anni fa non conoscevamo, che è quella delle cure domiciliari. Vanno create strutture intermedie che riescano a decongestionare gli ospedali. Esistono esempi virtuosi in tutta Italia e anche in Europa, bisogna soltanto agire presto e bene. Ora, durante la pandemia, forse lo sapete, tutti gli ospedali hanno registrato un calo enorme negli accessi al pronto soccorso, ma un calo anche del 50 per cento; e questo è un esempio concreto, facile, semplice semplice, della grande domanda impropria che giunge al pronto soccorso e che va intercettata prima. Perciò è necessario che il territorio funzioni, perché è evidente che, se noi svuotiamo gli ospedali dalle patologie a bassa complessità, potremmo concentrarci sulle patologie complesse, come i trapianti, e assicurare a tutti i cittadini una medicina sempre più ad alta tecnologia e con un elevato grado di umanizzazione delle cure, sia a Milazzo che a Trento, ma vanno svuotati gli ospedali dalle patologie a bassa complessità, che non hanno bisogno di un ospedale altamente attrezzato. Così si potrà evitare la migrazione sanitaria che dal Sud del Paese va verso il Nord del Paese, sottraendo ancora più risorse alle regioni del Sud. Investire lì dove c'è più bisogno, e questa è una cosa che va detta, va detta bene, va detta forte, va contestualizzata. Vanno accompagnate le regioni in difficoltà, quelle del Sud in particolare, a uscire dalla crisi e dai piani di rientro; bisogna farlo, bisogna farlo presto e bene. Basta seguire un dato semplice, la speranza di vita, che, dalla Campania alla Lombardia, si perdono due anni e mezzo di vita. Basta seguire la mortalità attribuibile a bassa istruzione, che in Campania e in Calabria è il 20 per cento in più rispetto alla Lombardia. E basta investire precocemente nella popolazione: molti studi dimostrano, l'ho detto più volte in quest'Aula, che investire un dollaro alla nascita di un bambino ne rende undici a 18 anni, risparmiando in mancate malattie, in più scuola, in meno marginalità.
Allora non basta dire più soldi: più soldi dove sono più necessari gli investimenti, se vogliamo davvero guarire il nostro sistema sanitario nazionale. Fatemi dire una cosa su cui in quest'Aula abbiamo anche discusso con la sottosegretaria altre volte, e ne stiamo discutendo ancora, che è la medicina scolastica. Questo è un tema che mi appassiona e che per me è decisivo, in questo momento, e sarebbe molto utile adesso avere la medicina scolastica, perché garantirebbe un'apertura delle scuole molto più agevole e meno preoccupante per i genitori, per i bambini e per gli insegnanti. La medicina scolastica farebbe tre grandi cose: anzitutto l'educazione sanitaria. Pensate alla prevenzione degli incidenti o agli stili di vita, all'obesità, all'abuso di sostanze, all'alcol. L'alcol è un tema di grande importanza, i nostri ragazzi bevono molti alcolici. Pensate alla gestione del bambino con malattie croniche, al diabete, alla fibrosi cistica, all'epilessia, alla gestione dei farmaci che potrebbero essere somministrati a scuola senza che nessun insegnante debba inventarsi, per qualche ora, un modello infermiere. E sarebbe molto utile adesso in caso di corso di pandemia. Non basta per questo il medico scolastico, ci vuole un'équipe dedicata e in collegamento ancora una volta con il territorio, che funzioni e che abbia personale anche di tipo psicologico.
Massimo Ammaniti nel libro che è uscito in questi giorni, E poi, i bambini, racconta dei danni psicologici che tutti i bambini stanno avendo in questi mesi di lockdown e di mancanza di scuola. Accenno alla telemedicina, che è senza dubbio il futuro per ricambiare la nostra sanità, perché mettere in contatto ospedali fra di loro, territori, ospedali e pazienti con l'ospedale è decisivo.
Faccio un passaggio rapido sulle vaccinazioni. La vaccinazione è una pratica complessa, che non si può paragonare a quello che facemmo in Campania tanti anni fa per il colera, perché è tutta un'altra cosa! Vi assicuro che fare - come l'altro giorno - 80 mila dosi di vaccino in un solo giorno è un esperimento estremamente difficile e complicato. Io ringrazio molto tutti gli operatori e gli infermieri che effettuano questa pratica e che stanno effettuando negli ospedali questa vaccinazione, perché non è una cosa semplice, è una cosa complessa.
Anche io ho dei dubbi sulla nuova anagrafe, anche io penso che era molto più utile mettere il sistema di anagrafe vaccinale adesso tutto in rete perché avremmo avuto un sistema vaccinale utile anche dopo.
Concludo, Presidente, ho davvero finito. Saltando alcune cose che avrei dovuto dire, vorrei finire così: esattamente un anno fa, proprio un anno fa, una nota dell'OMS segnalò dei casi strani di polmonite in Cina, a eziologia sconosciuta; se ci avessero detto che scoppiava l'epidemia, mai ci avremmo creduto; se ci avessero detto che dopo 12 mesi avremmo avuto un vaccino, anzi cinque vaccini, saremmo stati davvero tutti increduli; se ci avessero detto che avremmo investito 12,8 miliardi in sanità, nessuno ci avrebbe creduto. Questo è il senso del mio intervento.