Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 28 Luglio, 2020
Nome: 
Nicola Pellicani

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Grazie, Presidente. Parlare dell'idrovia Padova-Venezia significa parlare di una delle grandi incompiute del nostro Paese. Se ne discuteva già nel 1947, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, più di settant'anni fa.

Il primo progetto risale al 1955 e, otto anni dopo, nel 1963 arrivarono anche i primi soldi, ovvero 6 miliardi e 300 milioni di vecchie lire, finché, nel 1968, iniziarono i lavori. Mi pare evidente che stiamo parlando di un'altra epoca. È comunque utile fare un po' di cronistoria, per chiarire di cosa stiamo discutendo.

Il progetto prevedeva la realizzazione di un canale navigabile di circa 28 chilometri, per collegare l'area dell'interporto di Padova con la laguna di Venezia, raggiungendo il canale Malamocco-Marghera, vale a dire sviluppare su acqua, anziché su gomma, il che sarebbe stata un'idea all'avanguardia per i tempi, se non fosse che, fin dall'inizio, mancarono convinzioni e risorse. Tant'è che settant'anni dopo sono stati realizzati solamente due tratti dell'opera, per un totale di 10 chilometri: uno, che collega la zona industriale di Padova al Brenta; un secondo, che parte dalla laguna di Venezia per raggiungere il canale Novissimo.

Nel corso dei decenni furono anche costruite molte infrastrutture complementari, vale a dire tredici ponti stradali, un viadotto ferroviario, una chiusa mobile e una conca di navigazione. Tradotto in cifre, questo moncone di opera è già costato 47 miliardi di vecchie lire, con alcuni manufatti che ancora si trovano in stato di degrado e abbandono da anni. Ma il conto è più salato, perché vanno aggiunti altri 6 milioni di euro, spesi per la manutenzione straordinaria dei manufatti.

Ciclicamente il progetto viene riesumato. Nei primi anni Novanta si investì sul porto interno di Padova, ma alla fine buona parte delle risorse venne impiegata per la manutenzione delle opere già costruite, che nel frattempo erano andate in malora, finché i cantieri si fermarono definitivamente nel 1992, l'anno di Tangentopoli.

Qualche anno dopo il progetto venne nuovamente ripreso in mano dalla regione di centrodestra a guida forzista, con la proposta di trasformare l'idrovia in una camionabile a pagamento, con un project financing di 130 milioni. Ma, fortunatamente, non se ne fece niente.

Passò altro tempo finché, nel novembre del 2010, il Veneto centrale fu teatro di una grande alluvione, che creò danni e disagi pesantissimi alla comunità veneta, ponendo finalmente al centro dell'attenzione il tema della tutela idraulica del territorio, esposto a grossi rischi, soprattutto per l'aggravarsi dei fenomeni legati ai cambiamenti climatici. Ecco, allora, che nel 2012 la regione rilancia il progetto dell'idrovia, non più soltanto come canale navigabile, bensì come canale scolmatore, per far fronte alle piene dei fiumi Brenta e Bacchiglione e mettere in sicurezza il territorio.

Cambiano, quindi, la prospettiva e gli obiettivi, anche perché, nel corso dei decenni, è cambiato anche il Veneto, dove nel corso degli anni si sono consumati centinaia di ettari di suolo, rendendo il territorio sempre più fragile e vulnerabile, come conferma anche l'ultimo rapporto ISPRA, presentato qualche giorno fa, che ha certificato come, tra il 2018 e il 2019, nel Veneto sono stati cementificati altri 785 ettari di territorio. Sono dovuti anche a questi tristi primati del Veneto le catastrofiche conseguenze degli eventi atmosferici, che si sono consumati, non solamente nel 2010, ma anche negli anni successivi, come nel novembre 2011, nell'inverno 2014, nell'aprile 2017 e, ancora, nell'ottobre del 2018. Finalmente, negli ultimi anni si è predisposto un piano di interventi per mettere in sicurezza il territorio così fragile, che comprende la realizzazione di una serie di vasche di laminazione e di opere di contenimento.

In quest'ambito, come detto, è tornato d'attualità il progetto dell'idrovia come canale scolmatore, con il progetto di fattibilità voluto dalla regione.

Siamo quindi chiamati, ancora una volta, a riprendere il filo del progetto, cercando di attualizzarlo, per rispondere ai problemi del territorio di origine, che, nel frattempo, come detto si è radicalmente trasformato. Lo studio di fattibilità presentato dalla regione nel 2016 va in questa direzione, ma credo sia indispensabile implementarlo. I veneti devono avere certezza che vengano realizzati tutti gli interventi volti a garantire la messa in sicurezza dei territori che con troppa frequenza sono soggetti ad alluvioni, mettendo in ginocchio migliaia di famiglie che regolarmente perdono tutto e generando danni incalcolabili alle attività economiche. Non è più tempo di promesse, signor Presidente, servono i fatti. Non possiamo permetterci di alimentare altri sprechi e gettare al vento ulteriori risorse, che tra l'altro al momento non ci sono. Va perciò realizzato in tempi brevi il progetto definitivo dell'idrovia per definire tutti gli aspetti ambientali ed economici necessari per avviare i lavori. Serve un approfondimento progettuale e va chiarito il quadro finanziario. Secondo la regione, per realizzare l'opera servirebbero 512 milioni, di cui 40 per la sola progettazione definitiva ed esecutiva e il finanziamento di un primo stralcio dei lavori. Vanno reperite le risorse ma soprattutto non è pensabile lo spreco di altri soldi pubblici.

Dobbiamo pensare ad un'opera che sia utile a tutto il territorio veneto senza penalizzare nessuno: per questo va analizzato ulteriormente l'impatto del canale scolmatore sulla laguna, soprattutto in vista dell'entrata in funzione del MoSE, ponendo attenzione all'analisi qualitativa e quantitativa degli inquinanti che verrebbero sversati e dei sedimenti in occasione degli eventi di piena, verificando con precisione la flessibilità di gestione del canale. Ciò non significa ripartire da zero, al contrario accelerare per giungere in tempi stretti ad un livello di progettazione adeguato a sciogliere tutti i nodi. La trasformazione dell'idrovia in canale scolmatore è l'ennesimo tema che interessa tutto il Veneto centrale, in particolare l'ambiente lagunare, che significa più in generale parlare del destino di Venezia e della sua città metropolitana. Per questo da tempo ritengo che sia necessario aggiornare la legge speciale che da decenni costituisce il luogo naturale dove affrontare tutti i grandi temi legati alla città e all'ecosistema lagunare, che sono molteplici e di cui l'idrovia rappresenta solo un tassello. È in gioco il futuro di una città fragile come Venezia e della sua laguna, che è legato a doppio filo al tema della sostenibilità, in particolare dei cambiamenti climatici; temi non più rinviabili, in quanto è chiaro che dopo il COVID nulla sarà più come prima e dovremo assumere la sostenibilità come parola chiave. Del resto, solo con queste premesse sarà possibile inserire un progetto per Venezia all'interno del piano che il Governo a breve presenterà alla Commissione europea per ottenere i finanziamenti del Recovery Fund. Come è noto le risorse europee, ovvero i 209 miliardi destinati all'Italia, sono vincolate a progetti fondati su criteri improntati a rendere l'economia più sostenibile e a favorire la transizione verde. Anche per questo è importante che proprio a Venezia stia prendendo forma un Centro di studi internazionali su questi temi, in particolare sui cambiamenti climatici. Nessun'altra città al mondo è più emblematica di Venezia per affrontare in modo serio e approfondito un'emergenza che sta scuotendo tutto il pianeta. La sicurezza idraulica del territorio rientra a pieno titolo in quest'ambito, va perciò approfondito rapidamente il tema dell'impatto sulla laguna derivante dalla realizzazione del canale scolmatore lungo il tracciato dell'idrovia. L'avanzamento del progetto consentirà anche di affrontare le ipotesi di concludere il canale navigabile facendo ricorso a finanziamenti europei, considerando che ci troviamo in un contesto completamente mutato rispetto a quello originario. La progettazione definitiva consentirà, inoltre, una verifica puntuale sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica dell'opera. Quindi, signor Presidente - e concludo -, la mozione unitaria che andiamo a votare, che è un bel segnale che arriva da quest'Aula, oggi rappresenta un contributo importante, una spinta attesa dal territorio, volta a porre la giusta attenzione ai problemi di salvaguardia di un territorio che da troppo tempo attende risposte concrete. Annuncio perciò il voto favorevole del mio gruppo.