Grazie Presidente e grazie agli onorevoli colleghi e colleghe, a cui chiedo la pazienza di ascoltare questo intervento, perché comunque il tema credo che meriti qualche momento di attenzione, al di là delle accelerazioni che magari vengono effettuate. Penso che, più che mai, in questo caso, la definizione di mozione vada intesa nel suo reale significato, che è quello di indirizzo all'azione di Governo. Una mozione su un tema come il Servizio sanitario nazionale diventa oltremodo impegnativa, sia per chi ha predisposto il testo delle mozioni, sia per il Governo, che è chiamato, in prima istanza, ad esprimere un parere - come ha fatto - e poi a indirizzare la propria azione seguendo le indicazioni che le mozioni approvate portano, oppure mettendo in campo quelle politiche alternative che stanno alla base del diniego del parere favorevole alle stesse. Qui siamo di fronte ad un nodo forse più importante di quello che noi stessi riusciamo a percepire: siamo chiamati a fare un bilancio di quanto è avvenuto in questi 45 anni che ci separano dall'approvazione della legge n. 883 del 1978, che ha istituito il Servizio sanitario nazionale, superando la frammentazione precedente, ma soprattutto interpretando lo spirito dell'articolo 32 della nostra Costituzione e il meraviglioso principio universalistico che in esso si esprime. È stata ricordata prima Tina Anselmi, come giustamente la persona che seppe portare a sintesi tutto quel processo e io voglio ricordare, assieme a Tina Anselmi, il vero risultato che lei ottenne: il portare quasi all'unanimità le Aule parlamentari, ma ancora di più il Paese a fare quella scelta di fondamentale importanza. È un sistema - non vorrei che si dimenticasse - che deve fare i conti anche con l'esperienza del COVID, che in maniera drammatica ha messo in risalto tante nostre fragilità e debolezze e minato tante nostre sicurezze, che credevamo che fossero del tutto superate, ma soprattutto che credo abbia evidenziato un aspetto: che non può essere il benessere del singolo o la possibilità economica di affrontare il bisogno di salute a risolvere un problema come questo. C'è la necessità di uno Stato organizzato, capace di essere vicino ai cittadini. È un sistema il nostro che - non dimentichiamolo - è stato un riferimento ed un esempio per altri Paesi, nel momento in cui hanno affrontato la strutturazione del loro sistema sanitario. Sul tema, tante sono state le mozioni presentate, con molti punti in comune e altri che hanno evidenziato le diversità di analisi, di lettura e anche di prospettiva che sono presenti in quest'Aula. Per noi del Partito Democratico vi sono alcuni fondamenti che non possono essere messi in discussione e non possono in nessun caso venir meno, non solo perché ritenuti determinanti per le nostre radici culturali, ma perché scritti come doveri dello Stato nella nostra Costituzione, già perché, troppo spesso, dimentichiamo che il diritto alla salute dei cittadini si traduce nel dovere nostro, come Parlamento, come Governo e come istituzioni tutte, di garantirlo. Ed allora, nella mozione che abbiamo presentato, abbiamo voluto declinare alcuni punti di indirizzo, che non pretendono di essere esaustivi di tutte le necessità, ma di fare il punto sulle principali azioni da fare per poterlo perseguire, a partire da una premessa, che è già stata detta, ma che voglio anch'io ribadire: la difesa del Sistema sanitario pubblico, dove l'apporto del privato, che non è certo intenzione nostra stigmatizzare, deve rientrare in una logica di governo pubblico come completamento, non certo come attore, con pari ruoli di governo e condizionamento del sistema, per la semplice ragione che la salute dei cittadini non può diventare oggetto di mercato che, anche se virtuoso, mai e poi mai, può dare una lettura etica, ma inevitabilmente economica alla tematica.
C'è poi un'altra evidenza, tanto chiara, quando spesso disattesa: la necessità di un maggior finanziamento al sistema, che si misura, non certo in valori assoluti, ma nel rapporto tra investimento in sanità - smettiamola davvero di parlare di spesa - e PIL. Da questo punto di vista, chiaro è quanto è avvenuto negli anni, con le manovre di bilancio degli ultimi anni e quanto previsto nell'ultimo bilancio. C'è stata l'inversione di un trend, che finalmente tendeva a portarci verso l'8 per cento e che invece ci porterà inevitabilmente sotto il 7 per cento. Qui si misura anche la credibilità di un'azione di Governo rispetto a dei principi enunciati, ma non perseguiti nella concretezza. Ma non basta investire, se non si investe bene e investire bene significa chiederci quale sia il concetto di sanità che vogliamo perseguire, o forse uscire dall'idea di cura della malattia per approdare a quello di salute, che riguarda la persona che può - anzi deve, inevitabilmente, prima o poi - ammalarsi. Significa parlare di una vera presa in carico, dalla nascita al fine vita; significa investire in prevenzione, in diagnosi precoce e in salubrità degli ambienti in cui si vive, in sicurezza quando si lavora, in modelli urbanistici virtuosi, in sistemi di mobilità di persone e merci diversi, in sostegno a situazioni sociali difficili sempre più frequenti, dati i cambiamenti in atto nella società stessa; significa farsi carico della disabilità, non come esercizio di carità, ma come assunzione di responsabilità della comunità tutta verso le persone con disabilità e le persone che, nel loro interno, la vivono; significa investire in ricerca, in gestione del farmaco, dal brevetto all'effettiva accessibilità dello stesso; significa sviluppare la telemedicina; significa occuparsi della malattia di genere - anche questo vuol dire uscire dall'ipocrisia, che spesso sentiamo l'8 marzo -; significa occuparsi delle persone anziane e delle malattie rare, evitando di renderle sconosciute al Sistema sanitario; significa affrontare l'altro, dopo quello finanziario, tema dei temi, quello del personale della sanità. Certo, è necessario investire in percorsi universitari, in borse di specializzazione, in formazione e sviluppo della multidisciplinarietà, tra le tante professioni sanitarie, specie se ci si dimentica che sono diverse e sempre più diversificate e che bisogna coniugare la specializzazione nella cura della singola malattia all'attenzione alla persona malata, che è qualcosa, anzi qualcuno, di profondamente diverso e di più. Tutto questo va fatto declinando lo slogan ora diventato patrimonio di tutti, della necessità di uscire dall'eccesso di ospedalizzazione per sviluppare la medicina territoriale, magari cominciando a parlare di prossimità, perché parlare di medicina territoriale non significa parlare di organizzazione sanitaria, ma significa avere l'obiettivo di essere vicino alla persona, nel momento in cui ne ha bisogno. Con queste mozioni, dimostriamo di volerci occupare del tema. Facciamolo, investendo davvero i fondi straordinari del PNRR in modo intelligente e destinando nuove e sempre più importanti risorse nelle finalità che prima ho sommariamente descritto. Facciamolo - per noi questo è fondamentale - senza dimenticare qual era lo spirito dei costituenti, nel momento in cui hanno scritto l'articolo 32 della Costituzione. Lo hanno fatto contrapponendo al “me ne frego” fascista, l'“I care” di don Milani, in base al quale l'avere a cuore l'altra e l'altro significa garantire a chiunque nel nostro Paese il meglio che la scienza può offrire; significa essere vicino alle persone senza discriminazioni, senza distinguo e senza differenze, un principio che, più o meno consapevolmente, rischiamo di perdere di vista. Non dimentichiamolo anche in occasione di nuovi modelli di regionalismo, che non possono in ogni caso diventare motivo di ulteriore differenziazione fra i territori della nostra Italia. Non posso dimenticare come in Lombardia per tanto tempo ci si è fatto vanto di avere persone di altre regioni costrette a venire da noi per trovare una soluzione ai loro problemi.
Non credo che sia un modello virtuoso, anche perché, poi, di conseguenza, in Lombardia abbiamo pagato la desertificazione dei servizi territoriali. Siamo in un tempo dove, spesso, abbiamo l'impressione di poter contare su mezzi senza limiti; il rischio è di perdere di vista i fini, perché i mezzi, invece che diventare motivi di sviluppo, possono facilmente diventare motivo di diseguaglianza, per cultura, per condizione socio-economica e per territorio in cui si vive. Oggi, con la nostra mozione, con i limiti dello strumento e, perché no, della necessità di un'ulteriore lettura che dovrà essere fatta nel momento in cui si dovesse concretizzare in una nuova legge di riordino del sistema, noi vogliamo riaffermare un principio, quello che garantire il diritto alla salute delle persone è un dovere dello Stato. Non lasciare sole le persone in difficoltà è una necessità del nostro modello, della nostra cultura e della nostra democrazia e noi, da oggi, con queste mozioni vorremmo poter riuscire a trasformare tante buone norme scritte in una concretezza, con attenzione e un modo di vivere solidalmente il tema attraverso degli atti parlamentari, attraverso delle postazioni finanziarie, attraverso un'azione e un'attenzione che sinceramente dovrebbero essere diverse da quelle che anche questa mattina quest'Aula ha dimostrato.