Data: 
Lunedì, 3 Aprile, 2017
Nome: 
Elena Carnevali

Signora Presidente, sottosegretario Bubbico, colleghi e colleghe, l'HIV è una malattia che ha colpito tutti i Paesi del mondo causando, da quando essa ha avuto origine trentacinque anni fa, 20 milioni di morti e 70 milioni di contagiati. Importanti progressi sono stati conseguiti ma in questi anni la lotta all'Aids e l'obiettivo di debellare questa terribile malattia richiedono ancora il sempre più ampio e deciso sostegno da parte degli Stati alla fondamentale attività dei ricercatori e alle meritorie iniziative internazionali volte a combattere il contagio, a rendere accessibile ai Paesi più poveri la più ampia utilizzazione di mezzi di terapia. Esistono oggi, a differenza di trent'anni fa, le potenzialità per vincere l'Aids ma ciò richiede un impegno costante nei confronti innanzitutto dei malati. Le terapie antivirali hanno permesso di controllare la malattia ma non tutti nel mondo hanno una possibilità uguale per accedervi: solo 17 milioni di persone, secondo i dati del rapporto Unaids della Conferenza di Durban nel 2016, che è comunque il doppio di quanti erano in cura nel 2010. In questa fondamentale battaglia non mancano purtroppo criticità a partire dal calo di interesse e di attenzione presso l'opinione pubblica. Oggi del virus HIV, dell'AIDS, si parla poco.

Superati gli anni Ottanta e Novanta, periodo durante il quale la comunità scientifica poteva avvalersi dell'attenzione dei media e di un'opinione pubblica fortemente sensibilizzata al problema della propagazione del virus, oggi la malattia e la sua diffusione epidemica appaiono quasi derubricati dall'agenda mediatica. E vale la pena ricordare che l'indifferenza o la scarsa informazione su problemi così gravi, oltre che sintomo di un abbassamento della sensibilità sociale, costituiscono fattori che indeboliscono le difese della società contro la diffusione della malattia: l'attenzione collettiva è infatti una delle condizioni necessarie per l'opera della prevenzione, che non solo le istituzioni ma anche le famiglie e le strutture sanitarie ed educative devono svolgere per alzare sempre la soglia di protezione sociale del contagio.

La riduzione del numero di nuove infezioni, l'essere in tredicesima posizione in termini di incidenza delle nuove diagnosi di HIV tra le nazioni dell'Unione europea, è un successo parziale, non sufficiente, che dimostra l'efficacia di interventi fin qui attuati; e tengo a citare per esempio gli screening, il counseling effettuato dei servizi territoriali, i Sert, i centri per le malattie a trasmissione sessuale, dai servizi ospedalieri per le malattie infettive, l'attività di riduzione del danno con la distribuzione di siringhe sterili, di profilattici, l'ampia disponibilità di trattamenti sostitutivi da parte dei servizi per le dipendenze (tutti i Paesi europei che ci precedono in classifica hanno ancora un elevato problema di infezione tra tossicodipendenti), lo screening attraverso i test rapidi, nonché il grande lavoro delle associazioni che da anni si battono in questa tematica, la LILA e l'Anlaids.

Eppure, l'inadeguata percezione del rischio di AIDS tra la popolazione è ancora molto alta, come è diffusa l'errata convinzione che la malattia riguardi solo particolari categorie di persone, definite a rischio nel nostro Paese. Infatti il rapporto sessuale non protetto è la prima causa di infezione, lo ricordava prima la collega Amato: l'Italia è l'ultimo Paese in Europa nell'uso del profilattico. In questo contesto, particolare attenzione va dedicata ad ogni iniziativa volta ad impedire la diffusione del virus tra i giovani e le giovanissime generazioni, ma non solo: a causa di una serie di fattori biologici, sociali, culturali, in questo periodo ad essere particolarmente esposte al rischio di contrarre l'infezione sono proprio le donne.

Altra problematica correlata riguarda lo stigma che permane nel nostro Paese contro chi ha contratto la malattia: basti pensare che il 37 per cento degli italiani non si sono mai sottoposti ad un test di HIV, e il 5 per cento delle persone che vivono con l'HIV non l'avrebbe mai detto al proprio partner. Il 40 per cento, inoltre, non rivela ai propri familiari di aver contratto l'HIV, e il 74 per cento non lo dichiara nel contesto lavorativo.

Drammatica è anche la situazione dei figli contagiati durante la gravidanza: secondo i dati raccolti tra il 2012 e 2013 nel registro pediatrico tenuto dall'ospedale Anna Meyer di Firenze, oggi ci sono 656 giovani e adolescenti che hanno contratto l'HIV dalla madre negli anni Ottanta e Novanta, che continuano ad essere discriminati ed emarginati dalla comunità e dalle istituzioni proprio perché manca un'informazione e la consapevolezza sulla trasmissione del virus, che non impedisce le normali relazioni con gli altri.

Per questi motivi è necessario riportare al centro dell'opinione pubblica l'importanza della prevenzione sull'HIV come prima forma e metodo più efficace per il contrasto alla malattia. È necessario ravvivare campagne informative rivolte soprattutto ai giovani, ma non solo, che sappiano prendere in considerazione target specifici, anche di contesto, per aumentarne l'efficacia e diffondere la cultura, la conoscenza delle patologie prenatali e sessualmente trasmesse, educando alle buone pratiche e alla prevenzione. Molto importante è riaffermare l'importanza ed il rispetto delle linee guida sulla gravidanza, nella parte in cui prevedono che a tutte le donne in gravidanza sia eseguito il test dell'HIV, uno nel primo trimestre ed uno nell'ultimo trimestre di gestazione, poiché ciò permette di escludere l'infezione da HIV nella madre oppure di assicurarle le terapie che impediscono la trasmissione materno-infantile del virus.

Un punto imprescindibile - l'abbiamo già ricordato, ma ci è molto caro - riguarda l'unificazione dei due registri, l'HIV e l'AIDS, al fine di poter rilevare con maggiore esattezza la diffusione delle infezioni, evitando così la difficoltà nella lettura epidemiologica ed incentivando l'adozione di una raccolta epidemiologica completa in tutti i servizi e laboratori che effettuano screening. È fondamentale rilanciare un impegno concreto per il contrasto allo stigma sociale, veicolando messaggi tra i cittadini soprattutto rivolti alle donne nel mondo della scuola, nel mondo socio-sanitario, anche attraverso l'avvio di formazione specifica sugli operatori socio-sanitari; e continuare pervicacemente nell'adozione di programmi di educazione all'affettività e all'educazione sessuale nelle scuole. Agire e muoversi nella direzione di un sistema che vada incontro alle popolazioni a rischio, in particolare anche coinvolgendo i gestori, i gestori dei locali, con operatori formati che lavorano sul consumo di sostanze e sulla riduzione dei rischi legati alle patologie a trasmissione sessuale. È necessario riconoscere l'esigenza di essere più incisivi per la cura e la presa in carico della popolazione carceraria.

Abbiamo un aspetto estremamente positivo, che riguarda l'adozione finalmente nel nostro Paese di un Piano nazionale di intervento contro l'HIV e l'AIDS inviato dal Ministero della salute alle regioni per essere esaminato in Conferenza Stato-regioni: si tratta di un Piano innovativo sia nel merito che nel metodo, con il quale dovranno essere sciolti i nodi finora irrisolti dell'informazione, della prevenzione innovativa, dell'accesso al test di HIV, ai trattamenti del mantenimento e della cura, del DAF, della lotta allo stigma ed alle discriminazioni, affrontando le questioni con chiarezza, in un'ottica scientifica e di attenzione alle priorità di salute pubblica e dei singoli. Citando Roderick : “Le sfide che attendono l'HIV e l'AIDS sono sempre più complesse e anche mature, e noi non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e dire: non mi riguarda perché non succede a me”. Ed è anche per questo che abbiamo presentato la mozione: per rendere viva, vivace, inflessibile ed agita l'attenzione nei confronti della prevenzione, appunto, e nei confronti della cura di questa infezione.