Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 14 Novembre, 2018
Nome: 
Lucia Annibali

Grazie, Presidente. La mozione che come Partito Democratico abbiamo posto all'attenzione oggi di quest'Aula ha rappresentato per noi l'occasione di compiere una riflessione condivisa sul tema della violenza maschile sulle donne nel nostro Paese.

Ringrazio allora i gruppi che l'hanno sottoscritta e, comunque, tutti coloro che hanno partecipato a questo dibattito. Ringrazio anche il sottosegretario Spadafora per la sua presenza e vorrei da subito avvisare e, quindi, permettere che chiederemo un voto separato rispetto alla premessa che non è stata accettata; una premessa alla nostra mozione che per noi è indispensabile e irrinunciabile, perché questa, come avrete notato, è una mozione piuttosto corposa e lo è perché ha voluto raccontare in modo puntuale l'importante lavoro che Parlamento e Governo hanno realizzato nella precedente legislatura, a partire dalla ratifica della Convenzione di Istanbul, strumento internazionale giuridicamente vincolante per il nostro Paese, attorno al quale sono state messe in campo norme, strumenti, e risorse, con l'obiettivo di garantirne una piena attuazione.

Un lavoro che ha visto anche il fondamentale contributo del Dipartimento per le pari opportunità nella costruzione e promozione di politiche strutturali e trasversali, poi confluite nell'attuale Piano nazionale sulla violenza maschile contro le donne per il triennio 2017-2020: nella redazione delle prime linee guida nazionali in tema di assistenza sociosanitaria alle donne che subiscono violenza e si rivolgono alle aziende sanitarie ospedaliere; nella proficua collaborazione con il MIUR, a sostegno di iniziative educative in ambito scolastico; nell'impegno dell'Italia su questo tema anche a livello internazionale, ricordando l'esperienza del primo G7 ministeriale sulle pari opportunità che si è svolto a Taormina, e questo solo per citare alcuni contributi.

Un lavoro, questo, sviluppatosi attraverso il confronto con i vari livelli istituzionali e il prezioso contributo delle rappresentanze dell'associazionismo di riferimento e della rete dei centri antiviolenza, che voglio qui pubblicamente e sinceramente ringraziare per il contributo, perché si tratta di donne che vi operano spesso a titolo volontario (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Liberi e Uguali) e che mettono la loro esperienza da sempre a servizio delle donne maltrattate, garantendo loro un ascolto libero da stereotipi e pregiudizi, e per questo capace di accompagnarle nell'esperienza di fuoriuscita dalla violenza.

Mi auguro allora che le risorse già stanziate dalla legge di bilancio per il 2018 ai centri antiviolenza e case rifugio, ripartite nel maggio 2018 in Conferenza Stato-regioni, siano al più presto ripartite alle regioni, perché ad oggi non risultano ancora essere state trasferite.

Importanti sono anche le novità di carattere normativo, a cominciare dall'approvazione della legge cosiddetta sul femminicidio e poi della dotazione di importanti strumenti, non solo repressivi, ma anche di prevenzione, dall'istituzione del Fondo per le vittime di reati intenzionali violenti, alla legge volta a rafforzare la tutela dei figli rimasti orfani a seguito di un crimine domestico, legge che attende ancora di essere attuata da questo Governo. Uno sforzo complessivo multidisciplinare, quindi, con l'obiettivo di fare rete, per rispondere nel modo più adeguato possibile ai tanti bisogni che accompagnano una donna che subisce violenza.

Rivolgo un ringraziamento anche alle forze dell'ordine e agli operatori della giustizia, che in questi anni stanno compiendo, a partire da loro stessi, un importante lavoro di formazione e specializzazione per accogliere con professionalità e sensibilità le storie delle donne che chiedono loro aiuto.

Tutto questo, colleghi, per dire che Governo e maggioranza attuali ereditano oggi un insieme di strumenti e di tutele capaci di tracciare la strada, ma che, per essere pienamente efficaci, necessitano di monitoraggio, in un'ottica di continuità e implementazione anche sul piano delle risorse dedicate. Questa mozione va proprio in questa direzione, perché è stata proposta per chiedere a Governo e maggioranza di proseguire l'impegno nella prevenzione e nel contrasto alla violenza maschile sulle donne, e di farlo attraverso impegni precisi e concreti. La strada per prevenire e contrastare anche sul piano culturale la violenza maschile sulle donne, infatti, è ancora urgente e attuale, e tante sono ancora le cose su cui occorre intervenire.

Proprio di fronte a questa consapevolezza, quindi, che ancora molto resta da fare, preoccupa il generale silenzio di questo Governo sul tema, anche alla luce dei numerosi casi di femminicidio e di violenza sulle donne registrati negli ultimi mesi. Un silenzio, va detto, che si interrompe solo quando l'indignazione diventa convenienza elettorale (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Liberi e Uguali). La violenza contro le donne non ha passaporto, non ci sono vittime né dolori di serie A e di serie B. Questa mozione non può, infatti, e non vuole tacere il fatto che il contratto di Governo sottoscritto dalle attuali forze di maggioranza manca di una visione complessiva sul tema. La violenza maschile sulle donne, peraltro mai espressamente menzionata nel contratto, viene circoscritta alla sola violenza sessuale. Nessuna riflessione viene fatta sulla violenza fisica, sulla violenza psicologica, economica, e sulle molestie sul luogo di lavoro.

L'attuale Esecutivo ha scelto un approccio duro e repressivo; un approccio del tutto parziale, dunque, e in quanto tale rivela la sua incapacità nel promuovere e proporre interventi adeguati e integrati che partano dalla prevenzione e arrivino ad elaborare progetti personalizzati di sostegno e di ascolto in favore delle donne. Completamente assente nel contratto è anche il linguaggio di genere, una visione della società capace di garantire a tutte le persone pari opportunità e diritti. Le poche azioni messe in campo fino ad ora sembrano muoversi nella direzione opposta rispetto a quanto indicato dalle convenzioni internazionali, dalla Commissione d'inchiesta sul femminicidio e dalle linee guida del CSM. Mi riferisco, colleghi, alla proposta in discussione al Senato in merito di affido condiviso, e come potrei non farlo, il cosiddetto DDL Pillon (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Liberi e Uguali).

Una proposta fortemente criticata, a partire non da noi, ma da chi da sempre si occupa di violenza sulle donne anche in termini di violenza assistita. Una proposta basata su una visione adulto-centrica, poco proiettata sull'interesse del minore, in palese contrasto con le convenzioni internazionali e che rischia di intrappolare le donne in relazioni violente, con grave rischio per la loro incolumità e per quella dei loro figli. Questa proposta va assolutamente ritirata. Sul fronte delle risorse dedicate, si registra un sostanziale passo indietro: la legge di bilancio presentata dal Governo non solo non ha incrementato le risorse messe in campo, ma ha addirittura tagliato quelle destinate al Fondo per le pari opportunità, al Fondo per le vittime di reati intenzionali violenti, nonostante ci fosse un impegno preciso nel contratto di Governo su questo, al Fondo per gli orfani di femminicidio e al Piano nazionale anti-tratta, così come a tutte le politiche per la promozione della parità di genere messe in campo dai Governi precedenti.

Il Partito Democratico non mancherà di presentare i suoi emendamenti, che ci auguriamo possano essere approvati. E anche i provvedimenti fino ad ora proposti in materia di giustizia, se nelle loro intenzioni sono costruiti a favore e tutela della vittima, in particolare nella sua veste di parte offesa all'interno del processo penale, in realtà, per come sono impostati, rischiano con ogni probabilità di risultare inadeguati rispetto all'obiettivo che si erano prefissi, e quindi di disattendere le aspettative delle vittime stesse. Il dibattito parlamentare, quando ha chiamato in causa le vittime di violenza maschile, lo ha fatto con toni, parole e un linguaggio, a mio avviso, non sempre all'altezza.

Solo pochi giorni fa, in quest'Aula, discutendo di riforma del rito abbreviato, si è parlato di raptus di gelosia, portando ad esempio un marito che uccide la moglie. E anche la rappresentazione della vittima di violenza nell'ambito del processo penale, e non solo, è sempre accompagnata da toni drammatici e definitivi, che sembrano non concedere speranza rispetto al superamento di un dolore. E, invece, bisogna comunicare che proprio stare nel processo, pur con tutte le sue difficoltà, è una tappa fondamentale nel percorso di affrancamento dalla propria sofferenza (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Liberi e Uguali).

Questo modo stereotipato, a volte sgrammaticato, di raccontare la violenza sulle donne rischia di alimentare messaggi fuorvianti e diseducativi sia sul piano del linguaggio che su quello della rappresentazione della notizia, che riporta sempre una storia tutta personale, facendo registrare un arretramento culturale rispetto alla battaglia intrapresa ormai da anni. Condivido con voi queste mie valutazioni con spirito costruttivo per dirvi che può e deve esserci un altro modo di raccontare la violenza maschile sulle donne; un modo che contempli la speranza e la fiducia anche nelle istituzioni e in uno Stato di diritto dentro il quale le stesse istituzioni dovrebbero sapersi muovere, perché è anche di questo che ha bisogno chi soffre o ha sofferto. L'indignazione da sola non è sufficiente, rischia di cadere nel vuoto e di risultare banale, se non è accompagnata da un'azione positiva e costruttiva. Per questo, credo che agire con competenza e con lucida partecipazione emotiva, a partire dal legislatore, rappresenti la strada migliore per affrontare con efficacia e in tutta la sua complessità la violenza maschile sulle donne. Il Partito Democratico non mancherà di dare il suo contributo.