A.C. 1194-A/R
Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, i fatti di questi giorni e di queste ore nel Mediterraneo, nel nostro Paese, da Nord a Sud, dovrebbero spingere i protagonisti della vita pubblica, le forze politiche, il Parlamento, il Governo, maggioranza e opposizione, a ragionare, non a fare comizi, ad individuare coordinate comuni per il Paese di fronte alla inoppugnabilità delle conseguenze del cambiamento climatico, dovuto al global warming, al riscaldamento globale. Negare che il Mediterraneo sia in un hotspot climatico, con temperatura già superiore di 2 gradi rispetto al passato, significa non porsi - lo stiamo vedendo in queste ore - il tema della sicurezza nazionale per il Paese, che va dalla dimensione della protezione ambientale a quella del lavoro, a quella della salute e a quella delle imprese.
Oggi discutiamo il decreto-legge n. 61 ed il decreto-legge n. 88 che è confluito nel primo e, per essere seri e rigorosi, dovremmo partire proprio da qui, da quanto sta accadendo al pianeta, al Mediterraneo e all'Italia, anche per quanto è successo in Emilia-Romagna, nelle Marche e in Toscana a causa del riscaldamento globale.
Dovremmo partire ricordando le Marche del 2022, Ischia e la Marmolada e, oggi, in particolare, l'Emilia-Romagna. Siamo stati in queste settimane nelle Commissioni, siamo arrivati oggi in Aula con tensione e con speranza di trovare un orizzonte da condividere. Ma abbiamo trovato in Aula - lo abbiamo sentito anche poco fa -, anche questa mattina e questa sera, le parole della maggioranza che, sui fatti dell'Emilia-Romagna, mentre mezza Europa è travolta dal riscaldamento globale, parlano di chi ha sbagliato – con riferimento alle sinistre - e tenta di nascondere le proprie responsabilità gridando all'evento eccezionale.
Chissà cosa si pensa di queste parole in Spagna, nel Nord Europa, in Africa e in tutto il Mediterraneo. Queste parole, Presidente, si commentano da sole: sono parole corte e piccole, come grande è la cultura che le alimenta: una cultura di fondo negazionista del clima che cambia e cinica perché votata alla ricerca del potere che strumentalizza una tragedia e non all'assunzione di responsabilità per rispondervi.
I dati e le tragedie servono per capire, per ragionare, per intervenire. Tutti ormai conosciamo cos'è successo: un'area con cumulate di pioggia con una media di 500 millimetri per circa 1.600 chilometri quadrati (quanto piove in circa 8 o 9 mesi), aree con piogge sopra i 200 millimetri per un'estensione di 20.000 chilometri quadrati e, ancora, 4 miliardi di metri cubi caduti di acqua, una quantità d'acqua che si fa fatica solo a immaginare. Eventi ripetuti (2 e 3 maggio, 16 e 17), 23 corsi d'acqua esondati contemporaneamente, 68.432 alloggi coinvolti, 1.105 frane.
E allora, prima di tutto, prima del “grazie” a chi ha lavorato, a chi ha spalato e anche a chi ha cantato per darsi coraggio di fronte a questo fatto epocale, il primo pensiero di fronte a questa tragedia non va alla polemica politica, ma va alle 17 vittime, a quei nomi e cognomi che valgono tutto, alle famiglie e agli amici; a loro va il nostro cordoglio.
E poi c'è il “grazie” ancora ripetuto a chi c'è stato, a chi c'è, ai volontari della Protezione civile, alle Forze dell'ordine, alle donne, agli uomini e ai ragazzi in particolare dell'Emilia-Romagna. Grazie ai Vigili del fuoco, agli operai, ai tecnici, ai presidenti di regione, al presidente di regione Bonaccini, ai comuni, ai sindaci, specie quelli dei comuni più piccoli, quelli di montagna, che sono ancora tutti lì, a differenza di chi è passato da quelle parti due mesi fa e non si è più visto.
Sono state date 30 allerte, 160 centri operativi comunali, 7 sale operative provinciali, oltre 13.700 giornate uomo di volontariato, 54 centri di prima accoglienza; 46.000 sono stati gli sfollati in 36 ore, con 54 punti di accoglienza; 7.000 ancora sono in autonoma sistemazione, ci sono 7.000 persone ancora fuori.
Una vittima vale tutto, ma, forse, ha ragione chi dice che, se di fronte a tutto ciò che è successo non ci fossero stati la gente, la struttura di una società come quella emiliano-romagnola, il suo civismo solido e concreto, forse le conseguenze sarebbero state molto più gravi.
Ora siamo in Aula, sono passati ormai 3 mesi e non si è visto un euro da parte dello Stato per le popolazioni colpite. Un euro, Presidente! Arrivano due decreti, che sono insufficienti, inadeguati, costruiti per pezzi e non con una visione. Ma, ancora prima, arriviamo in Aula, come tutti possono ben vedere, con una postura istituzionale della maggioranza, del Governo - e lo dico da uomo delle istituzioni e anche come Partito Democratico, che è stato fin troppo giudicato per il suo senso di responsabilità - e di molti suoi membri (non tutti) improntata al doppio registro. Sì, perché non si comprende bene l'inadeguatezza dei provvedimenti, se non si valuta per come è stata la postura istituzionale che ha ispirato questi decreti.
Un doppio registro: ancora si era dentro la dimensione emotiva che, da un lato, la Presidente Meloni dialogava con regioni ed enti locali e visitava luoghi anche con qualche video di troppo, con qualche militante ultras che diceva “c'è solo Giorgia”; dall'altro lato, mentre la Presidente Meloni mostrava la sua vicinanza, fin da subito, ancora con le strade allagate di fango, con ancora nelle orecchie le parole disperate di chi non aveva più una casa dove andare, sono partiti attacchi scomposti, polemiche pretestuose, accuse. I fatti e i numeri si sono, poi, incaricati di renderle ridicole quelle accuse, dalle nutrie che hanno provocato 4 miliardi di metri cubi di acqua, alle risorse negate per la navigazione sul fiume Po. Un tentativo politico volto ad attaccare una terra, i suoi amministratori, il suo presidente di regione e i sindaci che stavano facendo un lavoro encomiabile con la gente.
Da parte di alcuni esponenti di Governo c'è stato un proliferare di dichiarazioni e di accuse tanto infondate quanto mirate, per un attacco politico che nulla aveva a che fare con la ricostruzione.
Pensate alla ricostruzione, non pensate alla regione, non pensate alle elezioni. Pensateci quest'altro anno alle elezioni! La ricostruzione, perché sia efficace, non deve essere ideologica, né politica, né per la maggioranza né per l'opposizione; e provocherà danni per chi è stato colpito non incardinare la struttura commissariale sulle articolazioni dello Stato, a partire da quelle presenti sul territorio, ossia gli enti locali, la regione, insieme alla rete territoriale attiva, che conosce il territorio.
Si è scelto di annunciare il coinvolgimento dei territori e di non volerlo attuare. Guardate che, senza codificare i meccanismi e le procedure che definiscono ruoli e funzioni degli attori territoriali, non c'è nessun commissario che possa raggiungere obiettivi e vincere battaglie, con un incarico poi di un anno. A Figliuolo va la nostra stima, ma la struttura che gli è stata data è completamente inadeguata.
Attenzione, però, avevamo usato una parola che può suonare dolce; è una parola identitaria, ma sa essere anche tenace: amarcord. Ci ricordiamo cosa è stato fatto e cosa non è stato fatto per le nostre terre; ci ricordiamo che non si può far passare il tempo con la speranza di dimenticare l'Emilia-Romagna; ci ricordiamo il colpevole ritardo della nomina del commissario (siamo ormai a 3 mesi e nulla è partito) e ci ricordiamo che è colpevole non tenere insieme l'emergenza con la ricostruzione, con la volontà politica di non coinvolgere gli attori locali; ci ricordiamo uscite e prese di posizione che andavano da “il commissario non è così importante” a “il Governo non è un bancomat” e ci ricordiamo che attaccate i sindaci accusandoli di cifre sovralimentate. I danni sono lì. Ci ricordiamo perché troverete in Aula puntuali le nostre proposte; ci ricorderemo che, per foga politica e obiettivi politici, avete deciso di accantonare misure lucide e utili, come il credito d'imposta, la rateizzazione delle utenze dopo la scadenza della proroga, la proroga del bonus 110 per cento per chi è colpito, il sostegno ai lavoratori precari.
E, poi, i danni. Guardate che quei danni non sono una stima casuale: sono il frutto di una rete territoriale di imprese, di associazioni di categorie e sono il frutto di relazioni con le prefetture e con la Protezione civile. Se avete un'altra stima dei danni, tiratela fuori; se non l'avete, rispettate quella che viene da chi ha lavorato, da chi è sul campo, dalla Protezione civile, dai tecnici, dai criteri per rilevare i danni.
E i danni parlano chiaro: 1 miliardo e 900 milioni sono per le spese già sostenute per i primi interventi di somma urgenza e urgenti, 500 milioni sono stati anticipati dai sindaci, 1 miliardo e 400 milioni sono quelli in via di cantierizzazione, 2 miliardi e mezzo sono per la ricostruzione vera, 2 miliardi e 100 milioni sono per le imprese, 70.000 mila sono gli edifici colpiti, 9.542 si stima sia il numero delle imprese colpite, 943 milioni per i danni ad esse e 1 miliardo e 100 milioni per le imprese agricole. Vedete - e ho finito, Presidente - il decreto-legge n. 61 parlava di 2,2 miliardi, sono 1,6: 200 per il Fondo per l'emergenza, già speso tutto con 500 milioni anticipati dai sindaci. Il decreto-legge n. 88, 2 miliardi e mezzo: solo 120 milioni per il 100 per cento degli indennizzi. Quale 100 per cento degli indennizzi? Come faranno, i sindaci e le imprese, a ricostruire i territori? Ecco, allora, il punto: non ci relegheremo al ruolo di critica distruttiva o di demagogia populista che denuncia inadeguatezze per ricavarne visibilità. Ci asteniamo su questo decreto - minimo, insufficiente e inadeguato - perché pensiamo alla disperazione di chi ha perso tutto. E diciamo che ci siamo e che ci saremo, e che il nostro ruolo non è quello di acuire lo scontro politico, ma proporre soluzioni che riprenderete nei primi provvedimenti utili e nelle leggi di bilancio. Infatti, se è vero, come ha detto qualcuno, che la politica è uscirne insieme, di fronte alle tragedie diventa un dovere morale. Per questo, noi ci asterremo, per attenerci a questo dovere morale, per stare vicino all'Emilia-Romagna ed incalzare questo Governo, che è scappato da quella tragedia.