Data: 
Mercoledì, 11 Luglio, 2018
Nome: 
Enrico Borghi

 La ringrazio, signora Presidente. Trentanove anni fa, proprio in queste ore, un sicario ingaggiato dalla mafia spegneva la vita di Giorgio Ambrosoli a Milano, quello che, per riprendere le parole dello scrittore Corrado Stajano, venne definito “un eroe borghese”. Giorgio Ambrosoli fu il commissario liquidatore della Banca privata italiana. Venne nominato nel 1974 dall'allora governatore della Banca d'Italia, Guido Carli, e nel suo lavoro di indagatore del crac finanziario di Michele Sindona scoprì un groviglio terribile, un intreccio tra cattiva politica, tra alta finanza, tra massoneria, tra criminalità organizzata che lo fece diventare oggetto di intimidazioni, di pressioni, di tentativi di corruzione. In buona sostanza, gli si chiedeva di accettare e abdicare ad un principio sulla base del quale lo Stato avrebbe dovuto farsi carico dei debiti, delle insolvenze e degli scoperti di quella banca e, conseguentemente, rendere indenne l'autore di quegli intrighi, Michele Sindona, da tutte le conseguenze e da tutti i coinvolgimenti penali. Giorgio Ambrosoli avrebbe potuto fare come si fa purtroppo in molti casi nella pubblica amministrazione: guardare da un'altra parte. Non lo fece e pagò con la vita il senso del dovere.

Signora Presidente, per riprendere, in conclusione, le parole di Isabel Allende che ha scritto che una persona muore solo quando viene dimenticata, noi abbiamo il dovere di non dimenticare questa storia italiana perché per noi, per l'esempio che ci ha dato e per quello che ci dice oggi e quello che può dire alle giovani generazioni di domani, Giorgio Ambrosoli è ancora vivo.