Presidente, è stato ricordato già dalla relatrice il percorso dal quale nasce questa proposta di legge, che oggi arriva in Aula; e sono particolarmente contenta che il mio partito abbia potuto contribuire a scrivere un testo che poi è stato condiviso. Quindi ringrazio ovviamente la relatrice per il lavoro che ha svolto, e mi unisco ai ringraziamenti a tutti i commissari della VII Commissione, che insieme hanno lavorato, anche in tempi piuttosto celeri, cercando però di trovare un'intesa su un tema che in realtà è all'ordine del giorno da un po' di tempo: sono state ricordate le proposte parlamentari, è stata ricordata la proposta di iniziativa popolare, mi fa piacere ricordare l'impegno dei comuni italiani, di ANCI che ha lanciato una raccolta firme in tutta Italia per coinvolgere i cittadini sull'importanza di questo tema, ovvero dell'educazione civica nelle scuole.
Non cominciamo da zero, perché il percorso col quale sin dai primi anni Duemila è stato reintrodotto a scuola l'insegnamento dell'educazione civica appunto viene da lontano, e perché soltanto nell'ultima riforma della scuola, che è stata approvata dai nostri Governi, era stato rafforzato il senso delle competenze civiche di cittadinanza; con questa proposta di legge si va a sistematizzare un lavoro che nel tempo tutte le forze politiche avevano fatto proprio. Perché è così importante oggi discutere qui insieme, con una comunità di intenti (credo sia apprezzabile), di educazione civica? Anzitutto per il significato della parola “educazione”: perché se educazione non è riempire un secchio ma accendere un fuoco, noi dobbiamo anzitutto capire che cosa la scuola fa nel 2019; in un tempo nel quale - lo hanno già detto alcuni dei miei colleghi - le informazioni disponibili sono miliardi: oggi un ragazzino ha a disposizione più informazioni di quante ne avesse il Presidente Clinton alla Casa Bianca. Quindi questo cambia radicalmente il ruolo della scuola: il ruolo della scuola non è più soltanto il trasmettere nozioni, che pure resta parte del suo compito, sicuramente parte del suo compito, ma diventa anzitutto lo sviluppo del pensiero critico, cioè la capacità di selezionare le informazioni che sono vere, prima di tutto, utili in secondo luogo. E questo è un compito importantissimo e delicatissimo, che cambia anche il senso della figura dell'insegnante, che non è più soltanto colui che conosce qualcosa e lo trasmette, ma è colui che insieme alla comunità educante aiuta i ragazzi a crescere da cittadini attraverso lo sviluppo del pensiero critico.
Ed ecco quindi che l'educazione civica diventa disciplina fondamentale, la disciplina delle discipline, diventa quello a cui tutti gli insegnanti hanno il diritto, prima che il dovere, di essere formati, perché è l'unico canale attraverso il quale l'insegnante oggi, nel 2019, può fare bene il proprio mestiere. A prescindere dalla disciplina che poi andrà ad insegnare, che si tratti di letteratura italiana, della matematica, di una lingua straniera, quello che più conta oggi è essere consapevoli del proprio ruolo, che è completamente nuovo rispetto al passato, e che è appunto non più soltanto trasmettere nozioni, ma aiutare lo sviluppo del pensiero critico. Siamo - ci dicono i filosofi della politica - nel tempo della democrazia cognitiva, nel quale cioè per essere cittadini bisogna conoscere il mondo nel quale ci muoviamo, e quindi a maggior ragione è importante il ruolo che in questo senso esercita la scuola.
Quindi nessun paternalismo. Ho sentito parlare giustamente di episodi di bullismo, di episodi che purtroppo finiscono sui giornali, nei confronti dei quali noi spesso ci poniamo come distanti, come qualcuno che ha qualche cosa da rimproverare ai nostri ragazzi, con quel paternalismo che di solito nasconde invece una mancanza di fondo: perché quegli episodi purtroppo sono il riflesso di una società che non ha avuto sufficienti maestri, persone in grado di accompagnare la crescita di questi ragazzi. Purtroppo quegli episodi sono il frutto di quello che noi adulti non abbiamo saputo fare a sufficienza, che si tratti della scuola, delle famiglie, della società intesa a 360 gradi. Ma neanche nessun giustificazionismo: ovviamente non c'è giustificazione per quello che accade, per quegli episodi, per quello per cui i nostri ragazzi oggi finiscono sulle pagine dei giornali. Ma c'è l'assunzione di un senso di responsabilità: finalmente la politica si assume una responsabilità, che è quella di dare linee guida e di tenere insieme la società, dalla scuola alle famiglie, passando naturalmente per le responsabilità individuali, in un'ottica però che sia la condivisione dei valori, e quindi la formazione dei cittadini.
E per questo tale percorso oggi assume un'importanza particolare. Come Partito Democratico abbiamo insistito affinché ci fosse un articolo dedicato alla Costituzione, perché naturalmente nessuna educazione civica si può fare a scuola se non si parte dalla Carta costituzionale, dalla nostra carta d'identità. Per sapere dove vuoi andare devi anzitutto sapere dove sei, o meglio chi sei, e la Carta costituzionale ci dice esattamente questo: chi è il cittadino italiano, quali sono i suoi diritti, quali sono i suoi doveri e qual è la grandezza di questa Repubblica, nella quale i padri costituenti che provenivano da famiglie politiche diverse, spesso anche in contrasto fra loro, trovarono un'intesa nello scrivere appunto una carta d'identità nella quale tutti i cittadini italiani possono e devono riconoscersi. Troppo poco la si insegna a scuola!
Ovviamente i programmi fanno sì che gli insegnanti spesso debbano inseguire quello che poi all'esame di maturità è richiesto sapere, spesso la ristrettezza dell'orario scolastico impedisce di ampliare invece quello che dovrebbe essere il giusto studio della Costituzione italiana. E allora queste 36 ore siano l'occasione per ricordare ai nostri ragazzi chi siamo, e quindi per stabilire insieme dove possiamo e dove vogliamo andare.
Poi, certo, è un'importanza cruciale - diceva bene la collega Aprea - il tema dell'educazione al digitale. L'avevamo inserito nella legge n. 107 del 2015 proprio perché ci rendevamo conto che l'educazione aveva un buco, un vulnus fondamentale: non si può fare scuola senza dedicarsi a quel pezzo che ormai non è più il virtuale, ma che fa parte della vita reale, a trecentosessanta gradi, non solo dei ragazzi ma anche degli adulti, e poi perché dal digitale passa il diritto fondamentale al lavoro, che è appunto l'articolo 1 della nostra Costituzione. Oggi noi sappiamo che i lavori che domani esisteranno non esistono, e passeranno da quelle competenze digitali che sempre di più devono essere sviluppate a scuola. E abbiamo bisogno di insegnanti che per primi ne siano resi edotti, che abbiano il diritto di essere formati a quel digitale che semplicemente non esisteva quando loro hanno vinto magari un concorso per diventare insegnante.
Quindi, prima di tutto il lavoro, lo sviluppo di competenze digitali che consentano ai nostri ragazzi di accedere al lavoro, quel diritto che gli è garantito dalla Costituzione, e poi l'essere cittadini. Non si può esercitare il diritto alla cittadinanza senza sapere che cosa si muove sopra la nostra testa, senza sapere che spesso quello che ci arriva come informazione dipende da algoritmi che sono stati scritti altrove, senza rendere accountable, cioè responsabili di quello che fanno, i grandi attori del digitale, i grandi monopolisti del digitale. Perché i nostri ragazzi lo facciano, c'è bisogno che sappiano come si muove la democrazia, come Facebook agisce, come Google agisce, come i grandi del web agiscono e rischiano di condizionare le loro scelte. Altrettanto importante è citare l'ambiente, la tutela dei beni culturali, il fatto cioè che siamo tutti responsabili e corresponsabili di quello che abbiamo ricevuto e che, quindi, dobbiamo riconsegnare alle generazioni che verranno; poco ci è stato insegnato, dobbiamo insegnarli oggi ai ragazzi.
Noi proporremo alcuni piccoli emendamenti in Aula a questa proposta, perché crediamo che tra i punti deboli ci sia anzitutto quello delle coperture. Una proposta così forte, così ampia, ha bisogno di una voce di spesa, ha bisogno che il Governo e il Parlamento dimostrino di voler davvero investire - e non solo a parole - sull'educazione civica. Quindi, noi proporremo di investire di più sulla formazione. Anche se si è preso dal fondo della legge n. 107 del 2015 per investire sulla formazione - ben venga -, proporremo però di aumentare gli stanziamenti.
Chiudo dicendo questo: questa legge mette insieme le responsabilità della politica, la responsabilità della famiglia e quella della società, credo sia per questo molto importante. Ricordiamoci, però, al netto di quello che oggi noi diremo e ripeteremo in quest'Aula, che la cosa più importante è quella che disse il Presidente Pertini: i ragazzi non hanno bisogno di sermoni, i ragazzi hanno bisogno di buoni esempi, e a volte la politica questi buoni esempi non li dà. Cominciamo dall'educazione civica qui dentro, e la faremo meglio anche nelle nostre scuole.