Relatore
Data: 
Lunedì, 29 Novembre, 2021
Nome: 
Paolo Lattanzio

A.C. 2372-A

Presidente, sottosegretario Sasso, colleghi e colleghe, il provvedimento su cui oggi iniziamo la discussione nasce da una proposta di legge, atto n. 2372, a prima firma Maurizio Lupi, ma - e qui è il primo dato - è stato sottoscritto da colleghi e colleghe di tutti i partiti, da Graziano Delrio a Valentina Aprea, Gabriele Toccafondi e, ancora, dai colleghi Casa, Garavaglia, Frassinetti, Palmieri e tanti altri. Questo è un dato importante, credo, perché si tratta di una proposta largamente e trasversalmente condivisa, ma questo approccio largo che abbiamo utilizzato per lavorare in Commissione cultura su tale proposta di legge, fino ad arrivare all'incardinamento e, quindi, a trattarla quest'oggi in Aula, non è il frutto soltanto di una convergenza spontanea, legata, magari, a una visione convergente su alcuni piccoli aspetti, alcune sensibilità su un tema innovativo come quello che stiamo trattando, ma nasce da un lavoro che viene da lontano e che ha nell'Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà il soggetto promotore che, in tempi non sospetti, ben prima della pandemia da COVID-19, aveva iniziato a lavorare su questi temi, presentando due proposte di legge che univano in maniera trasversale i diversi partiti, anche andando oltre lo schema di quello che a suo tempo era il Governo “Conte 2”. Tengo a sottolineare questo passaggio, perché - come anche il lavoro apprezzabile svolto in Commissione cultura, che è già stato in molti casi un laboratorio politico di sperimentazione, di dialogo e di alternanze - significa che sul tema della scuola è possibile dialogare, è possibile farlo in maniera costruttiva, è possibile farlo entrando nel merito di temi importanti e di sensibilità sui quali la scuola italiana ha mostrato, negli anni, una qualche forma di mancanza di aggiornamento rispetto al livello europeo ed è possibile farlo, soprattutto, dialogando in maniera assolutamente costruttiva con il Ministero, come è stato fatto, con l'obiettivo di arrivare ad approvare una proposta di legge in tempi brevi, perché puntiamo a che sia operativa già per l'anno scolastico 2022-2023, con l'obiettivo, per una volta, di non inseguire, di non andare a traino di eventi che sono molto più avanti rispetto a noi, ma con l'idea, anzi, di guidare il cambiamento.

Oltre a questa nota politica, anche dal punto di vista dei contenuti della proposta, che oggi, iniziamo a discutere, è importante sottolineare il lavoro di studio e di approfondimento condotto - in parallelo con molte iniziative anche pubbliche - con la Fondazione per la Sussidiarietà del professor Giorgio Vittadini. Sicuramente, quanto è accaduto, anche con riferimento alla scuola italiana, con lo scoppio della pandemia da COVID-19, non ha fatto altro, da un lato, che esasperare e far emergere, in maniera ancora più ampia, tutta una serie di disuguaglianze, di gap e di problemi che già erano presenti e, dall'altro, rendere chiaro ed importante come aspetti e tratti comportamentali, che diventavano anche educativi, quindi, relazionali, stessero acquisendo centralità ed importanza. Pensiamo, uno su tutti, al termine “resilienza”, oggi sin troppo abusato, ma che negli ultimi anni ha rappresentato un tratto caratterizzante non più solo l'atteggiamento individuale, ma che anche quello collettivo, indispensabile anche all'interno delle comunità scolastiche.

La proposta iniziale del collega Lupi è stata trattata e rivista, anche dopo lo scoppio della pandemia, dalla VII Commissione in sede referente. Quindi, ciò che proponiamo oggi all'Assemblea è una versione aggiornata della proposta di legge originaria che ha mantenuto intatto sia il campo largo che ha discusso - e auspico si andrà a votare in maniera uniforme la proposta di legge - sia, al tempo stesso, i contenuti, che sono stati anche migliorati sia nella fase emendativa sia nella fase precedente attraverso il confronto con i gruppi.

Il premio Nobel James Heckman, premio Nobel per l'economia, ci ha ricordato in diversi passaggi che è necessario superare in maniera definitiva il meccanicismo e il funzionalismo della scuola attuale, per aprirsi a ciò che lui chiama character skills e alle sfide del contesto relazionale e culturale in cui un ragazzo è inserito. Quindi, diventa indispensabile insegnare non le sole nozioni, ma è necessario introdurre la conoscenza e la competenza che porta alla riscoperta di persone, relazioni e valori che permettono agli studenti e alle studentesse di affrontare in maniera maggiormente completa e consapevole non soltanto la scuola ma la sfida che il mondo attuale globalizzato ci pone davanti, di cui la scuola fa parte.

La finalità primaria di questa proposta è quella di abilitare l'utilizzo e la valorizzazione delle competenze non cognitive nella scuola italiana attraverso una sperimentazione strutturata e inclusiva, che parta dalla scuola primaria e che punti a incentivare, sperimentare, verificare e migliorare quello che di fatto è un modo nuovo di guardare alla didattica e agli studenti, attraverso un approccio educativo che intende valorizzare le competenze extradisciplinari, che rappresentano una componente sempre più importante e preziosa sia della personalità degli individui moderni e delle loro relazioni sia della loro capacità di approcciare in maniera moderna il mondo del lavoro.

E qui sciogliamo il primo grande nodo. Ovviamente, non stiamo parlando dell'introduzione nella scuola italiana di una nuova disciplina - è meglio ribadirlo sempre, perché per i non addetti ai lavori può risultare un discorso un po' scorbutico e poco chiaro -, ma stiamo promuovendo e istituendo una sperimentazione triennale che si basa sull'utilizzo di metodologie didattiche e di approccio alla didattica in relazione con gli studenti. Quindi, un qualcosa che prescinde o, meglio, che taglia in maniera trasversale le diverse discipline.

Le non-cognitive skills rappresentano un tema che, per quanto consolidato nel dibattito scientifico a livello internazionale, manca ancora di una codificazione definitiva in Italia e di un approccio sistematico nella scuola italiana (che infatti si avvicina ad una sperimentazione), all'interno della quale prevale un atteggiamento molte volte spontaneistico e non strutturato - anche di grande qualità ma, appunto, spontaneistico e non strutturato - che rischia anche di diventare vittima di posizioni eccessivamente ideologiche su questa disciplina, cosa che non ci appartiene e che come Intergruppo non abbiamo mai fatto, tanto che l'abbiamo sottoposta alla visione e alla revisione dei diversi partiti proprio perché crediamo che sia un aspetto innovativo che necessiti, in qualche modo, di essere formalizzato e strutturato e sul quale necessariamente il Ministero dell'Istruzione debba mettere un cappello, che non è soltanto l'avvio della sperimentazione ma anche l'onore e l'onere di redigere delle linee guida che vadano a fotografare cosa c'è stato, cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato, affinché poi - auspichiamo - il risultato diventi strutturale all'interno dell'universo scuola e della sua normativa.

La proposta mira a riportare l'attenzione sulla necessità di sviluppare negli studenti e nelle studentesse le competenze non cognitive fin dai primi gradi di istruzione in virtù dei benefici che sembrano arrivare dal punto di vista sia educativo sia relazionale. Si intende, come vedrete a breve dall'illustrazione dei singoli articoli, coinvolgere con un luogo di indirizzo, come dicevo, proprio il Ministero dell'Istruzione. Ritengo che l'approvazione di questa proposta di legge possa far compiere un importante salto in avanti alla scuola italiana, mantenendola saldamente ancorata al futuro.

La letteratura internazionale utilizza una terminologia che molte volte denota già l'effervescenza di un determinato campo.

Faccio alcuni esempi: il professor Williamson, della facoltà di scienze sociali dell'università di Stirling, nel Regno Unito, utilizza, ad esempio, il termine social emotional learning (acronimo SEL), in cui vengono ricomprese tutte le soft skills e capacità di vita, diciamo, all'interno delle quali ci sono qualità personali spesso descritte come dimensioni non accademiche e non cognitive dell'apprendimento, che possiamo provare a individuare in un corollario di attitudini e di approcci quali la capacità di autocontrollo, di benessere, la perseveranza, la resilienza, la mentalità aperta, l'intelligenza sociale, il carattere e tutto ciò che deriva dalla fusione psico-economica della psicologia positiva con l'economia comportamentale.

A sua volta, il dipartimento di salute mentale dell'OMS aveva definito le life skills come quelle abilità che portano a comportamenti positivi e di adattamento, che rendono l'individuo capace di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni. Su questo possiamo citare la capacità di gestire le emozioni, la gestione dello stress, la comunicazione efficace, l'empatia, il pensiero creativo e quello critico, la capacità di prendere decisioni e quella di risolvere problemi (il problem solving).

Se facciamo lo sforzo di immaginare la nuova scuola che si sta delineando a seguito della pandemia da COVID-19, ci rendiamo conto come molte di queste competenze e di queste attitudini siano assolutamente fondamentali per riuscire a uscire dalla crisi e come, d'altra parte, queste facciano parte, già in maniera innata, spontanea, di quanto avviene nell'ambito scuola, dove, su questi aspetti, si sviluppa il confronto. Perché, allora, proporre una legge? Per incentivare e valorizzare la scuola italiana, affinché questo avvenga in tutte le aree del Paese e, quindi, laddove non ci sono ancora sperimentazioni, affinché queste possano arrivare, e per provare ad avere una partenza strutturata, che permetta anche, in seguito, di valutare ciò che è successo, poiché sappiamo che il tema della valutazione è fondamentale al termine di ogni sperimentazione.

Da parte sua, l'OCSE, nelle conclusioni del documento del 2015 dal titolo Skills for Social Progress, ha evidenziato che per aiutare le persone ad affrontare le sfide del mondo moderno i responsabili politici devono pensare in modo più ampio e considerare una vasta gamma di capacità, dove le abilità sociali ed emotive sono importanti quanto quelle cognitive.

In questa sede ho piacere di citare due contributi che arrivano dal già citato premio Nobel Heckman e dal professor Vittadini. Le diverse dimensioni delle non-cognitive skills sono fra loro collegate. La crescita della stabilità emotiva, della coscienza di sé, della capacità relazionale e del desiderio di cooperare, così come la fiducia e la tenacia nel voler raggiungere il risultato desiderato, sono tutte dimensioni che emergono all'interno di un cammino che il giovane o l'adulto fanno di fronte a fatti e dati di realtà. Quindi, sono competenze e attitudini che vanno a delineare sia la vita dello studente - del giovane soprattutto - all'interno dell'universo scuola sia la sua capacità di proporsi in maniera completa all'interno del mondo del lavoro al quale si affaccia.

Infine, strutturare maggiormente l'approccio alle non-cognitive skills significa guardare agli studenti come a persone a tutto tondo, in formazione, in un ambiente educativo in grado di valorizzare anche queste competenze. Dato che, parlando di competenze, ci riferiamo alle abilità di cooperare, di intessere e curare relazioni interculturali, di saper gestire dinamiche di gruppo e di saper lavorare sulla propria emotività, emerge, in maniera chiara, come queste possano essere anche uno strumento in più per contrastare le disuguaglianze, le difficoltà di socialità e relazionalità e quelle forme di analfabetismo emotivo e relazionale che, purtroppo, sentiamo citare molto spesso.

È chiaro che si tratta di un investimento che, come tutti quelli fatti sulla più giovane età, non dà, e non darà, risultati immediati a sei mesi o a un anno, ma costituisce un atto di semina da coltivare senza approcci fideistici - è ovvio -, ma con un rigoroso impegno pedagogico. Si tratta, in sostanza, di rafforzare l'investimento su studenti e studentesse guardando al loro futuro e ad una società moderna, aperta e inclusiva che abbiamo il dovere, tanto più in questa fase - speriamo - di uscita dalla pandemia, non solo di immaginare, ma anche di costruire.

Passando al contenuto del provvedimento, questo prevede innanzitutto l'avvio, a partire dal prossimo anno scolastico (quindi, dal 2022/2023), di una sperimentazione nazionale triennale per attività finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive nei percorsi delle scuole di ogni ordine e grado, ma anche nei percorsi dei CPIA, cioè i Centri provinciali per l'istruzione degli adulti, e in quelli degli IeFP, ossia i percorsi di istruzione e formazione professionale, proprio a dimostrazione e valorizzazione di quanto questo approccio sia utile e importante, indipendentemente dall'ordine, dal grado e dal tipo di scuola della quale si parla.

Oltre alla sperimentazione, la proposta prevede un'attività di formazione dei docenti. In dettaglio, l'articolo 1, comma 1, chiarisce che il fine è favorire una cultura della competenza, integrare i saperi disciplinari e le abilità fondamentali e migliorare il successo formativo, prevenendo analfabetismi funzionali, povertà educativa e dispersione scolastica. A tal fine, si prevede che il Ministero dell'Istruzione, a partire dal prossimo anno scolastico, 2022-2023, favorisca lo sviluppo delle competenze non cognitive nelle attività educative e didattiche delle scuole statali e paritarie di ogni ordine e grado, con un intervento diretto volto all'incentivazione, sperimentazione e analisi delle buone pratiche in campo.

In base all'articolo 2, il Ministero dell'Istruzione è chiamato a predisporre un piano straordinario di azioni formative rivolto ai docenti delle scuole di ogni ordine e grado, da attuare a partire sempre dall'anno scolastico 2022-2023. Ribadisco questo passaggio con grande piacere, perché si guarda all'innovazione nella scuola italiana, partendo dai docenti, si guarda a un approccio innovativo per gli studenti, ma che non può prescindere da un'innovazione dell'approccio che i docenti stessi sono chiamati a mettere in campo e ciò è particolarmente importante oggi, dato che la pandemia da COVID-19 ha evidenziato, anche sul piano educativo e dell'insegnamento, molte zone di inadeguatezza, certo preesistenti alla DAD, ma che la didattica a distanza ha reso evidenti e macroscopiche nel nostro Paese. Per questo, l'introduzione delle non-cognitive skills non può prescindere dal ruolo fondamentale, aggiornato, moderno e inclusivo di tutti i docenti e le docenti e del loro modo di approcciarsi, nel 2021, alla didattica scolastica. Lo stesso articolo 2 prevede che la formazione in questione sia organizzata dal Ministero, con la collaborazione dell'INDIRE, delle istituzioni scolastiche, nonché delle università e degli enti accreditati per la formazione. Questo proprio perché, essendo il tema estremamente fluido, per quanto centrale, nel dibattito pedagogico a livello internazionale, crediamo sia assolutamente importante ampliare il bacino di coloro che potranno valutare e collaborare con tale sperimentazione.

Per il finanziamento della formazione dei docenti, sempre l'articolo 2 dispone che si provvede, a decorrere dal 2022, nell'ambito delle risorse del Piano nazionale di formazione, di cui all'articolo 1, comma 125, della legge n. 107 del 2015, “la buona scuola”. Ricordo brevemente che l'articolo 1, commi 124 e 125, della suddetta legge ha previsto che la formazione in servizio dei docenti di ruolo sia obbligatoria, permanente e strutturale; le attività di formazione devono essere definite dalle singole istituzioni scolastiche, in coerenza con il primo piano triennale dell'offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento della scuola, sulla base delle priorità nazionali indicate dal Piano nazionale di formazione e adottate, con cadenza triennale, del Ministero. Ricordo che per l'attuazione di questo piano è autorizzata la spesa di 40 milioni di euro annui dal 2016.

Tornando al testo, all'articolo 3, ai commi dall'1 al 6 e al comma 8, viene disciplinata la sperimentazione nazionale nei percorsi scolastici che, come detto, deve iniziare dal prossimo anno scolastico e proseguire per un triennio. La norma dispone che la sperimentazione sia finalizzata all'individuazione delle competenze non cognitive il cui sviluppo è più funzionale al successo formativo dei discenti, con riferimento alla specificità nazionale e al contesto di vita; questo è un passaggio importante, perché non possiamo pensare che le competenze non cognitive siano un prontuario pronto all'uso, ad ogni latitudine e in ogni contesto, ma è indispensabile che siano calate in maniera chiara nella società italiana e nel contesto italiano, perché anche gli aspetti multiculturali possano essere valorizzati, approfonditi e approcciati. Per capirci: una delle più importanti competenze non cognitive venne individuata nella capacità di essere estroversi. Non è detto – lo sappiamo – che questo rappresenti un tratto caratteriale positivo in alcune culture, in particolare dell'Estremo Oriente.

D'altra parte, la norma dispone che la sperimentazione sia finalizzata anche all'individuazione di buone pratiche relative alle metodologie e ai processi di insegnamento che favoriscano lo sviluppo delle competenze non cognitive, nonché dei criteri e degli strumenti per la loro rilevazione e successiva valutazione delle stesse, all'individuazione di percorsi formativi innovativi che favoriscano il recupero motivazionale degli studenti, con specifico riguardo alla dispersione scolastica, sia essa esplicita, ma anche implicita, e alla verifica dell'impatto dello sviluppo delle competenze non cognitive sul miglioramento del successo formativo e sulla riduzione della povertà educativa. La sperimentazione è svolta, ai sensi del DPR n. 275 del 1999, ossia del regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche.

Tornando alla proposta di legge - e mi avvio verso la chiusura -, si prevede che i criteri generali per la sperimentazione siano definiti con decreto del Ministro dell'Istruzione, adottato sentito il Consiglio superiore della Pubblica istruzione e si prevede già che la valutazione dei progetti sarà stabilita, attraverso il Ministero, da INDIRE e Invalsi.

La partecipazione delle scuole alla sperimentazione è autorizzata con decreti dei direttori degli uffici scolastici regionali competenti e le scuole dovranno utilizzare le risorse dell'organico dell'autonomia, quindi senza la previsione di ore di insegnamento eccedenti.

In base all'articolo 1, comma 2, al termine della sperimentazione nazionale nei percorsi scolastici e sulla base dei risultati, il Ministero dell'Istruzione dovrà adottare linee guida per lo sviluppo delle competenze non cognitive. Le linee guida dovranno individuare, ove non già previsti, specifici traguardi per lo sviluppo delle competenze e obiettivi specifici di apprendimento.

L'articolo 4 dispone la sperimentazione nazionale anche nei percorsi già citati di istruzione per gli adulti e tecnici.

Il testo in esame, infine, prevede la sperimentazione anche negli IeFP. In questo caso, trattandosi di materia di legislazione regionale, i requisiti e le modalità di partecipazione delle strutture interessate alla sperimentazione devono essere stabiliti con decreto del Ministero dell'Istruzione, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni.