A.C. 559-B
Grazie, Presidente. Con il nuovo articolo 375 del codice penale, che ci accingiamo ad approvare definitivamente, decidiamo di sanzionare severamente il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, al fine di impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale, imbrogli le carte, depisti, cioè metta chi indaga e chi giudica su una pista falsa, che porta lontano dalla verità. L'approvazione benedetta da parte del Parlamento di un simile nuovo reato è di per sé inquietante, perché proprio la necessità condivisa di introdurre questa nuova fattispecie impone il bisogno di fare i conti con una questione presupposta: per quale motivo un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio dovrebbe imbrogliare le carte al fine di impedire, sviare o ostacolare un'indagine o un processo penale ?
Possiamo immaginare alcune risposte: perché fuori di sé. Immaginiamo un pubblico ufficiale che, in preda ad una grave depressione o ai fumi dell'alcol, distrugga l'importante prova di un delitto; sarà, probabilmente, dichiarato incapace di intendere e di volere. Oppure possiamo pensare che sia un corrotto o che sia sotto ricatto, oppure possiamo pensare che questo pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio sia intraneo all'organizzazione criminale contro la quale si sta procedendo. In questo caso, peraltro, si apprezzerebbero le parole messe in capo alla descrizione della fattispecie: «salvo che il fatto non costituisca più grave reato».
Immaginiamo questo pubblico ufficiale che imbrogli le carte perché fa parte dell'organizzazione mafiosa o dell'organizzazione terroristica oggetto delle indagini; ma, allora, per lui la situazione sarebbe ben più grave. Ma c’è una quarta risposta ipotetica: perché qualcuno più in alto gli ha chiesto di farlo. Questa, che è la risposta più dolorosa, più pericolosa, rimanda ad una questione complicata e delicata: la ragione di Stato, in tutte le sue declinazioni e deformazioni. Esiste una ragion di Stato superiore alla ricerca della verità, soprattutto di fronte a un omicidio o, addirittura, a una strage ? Per alcuni, probabilmente, sì. Il mantenimento dell'ordine, anche nella sua versione deteriore e ipocrita, laddove si consideri, come ordine da difendere, la rendita di posizione di qualche combriccola altolocata oppure la posizione pretesa da qualche nuova combriccola rampante. In questa prospettiva si collocano diversi episodi che hanno segnato la storia repubblicana e hanno lasciato aperti interrogativi molto gravi. Qualche esempio: viene ucciso il prefetto di Palermo, Carlo Alberto Dalla Chiesa. La magistratura avrebbe bisogno di leggere i dossier sui quali il generale sta lavorando, ma forse quei dossier, resi noti in processo, potrebbero inguaiare troppe persone. Fatto sta che qualcuno riesce a introdursi nell'abitazione palermitana del prefetto, Villa Pajno, aprire la cassaforte, svuotarla e portarsi via la chiave, che ricomparirà al suo posto soltanto qualche giorno dopo.
Viene ucciso il direttore degli affari penali del Ministero di grazia e giustizia, Giovanni Falcone. La magistratura avrebbe bisogno di acquisire integralmente le memorie informatiche dei vari computer che Falcone adoperava, ma, anche in questo caso, qualcuno riesce a introdursi addirittura nello studio di Falcone presso il Ministero, che era stato posto sotto sequestro, e manipolare in più riprese la memoria del computer, che non era stato sequestrato. Viene ucciso il procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino. Alla magistratura servirebbe eccome leggere gli appunti contenuti nell'agenda rossa, che, però, qualcuno si incarica di far sparire dalla scena del delitto. Regie unitarie ? Convergenze tra interessi diversi ? Indicibili accordi ? Sappiamo soltanto che la partita per la verità non è finita e possiamo soltanto augurarci che nulla di tutto ciò che è purtroppo paventabile sia, in realtà, mai successo, perché, diversamente, quel particolare ingrediente della credibilità dello Stato, che è la sua affidabilità, sarebbe radicalmente compromesso.
Tornano alla mente le parole che adoperò poche settimane fa, in quest'Aula, il Ministro degli affari esteri Gentiloni, parole che mi colpirono e mi commossero, quando, intervenendo sull'assassinio di Giulio Regeni e parlando dell'Egitto, disse: l'unica ragion di Stato è la verità. Ecco il punto: soprattutto in casi di omicidi o di stragi, lo Stato non ha altra ragion d'essere che non sia l'affermazione della verità, costi quello che costi, con buona pace di ordini da non destabilizzare, ordini che pretendano di stabilizzarsi, convergenze o indicibili accordi. Di fronte all'assassinio, lo Stato non può che cercare accanitamente la verità, punto.
L'ordine che nasce dalla verità ristabilita e dal sopruso punito è sempre migliore di qualunque altro ordine possibile. Così, Presidente e colleghi, mi avvio a concludere sottolineando alcuni auspici relativi alle questioni sottese alla nuova norma penale che stiamo per approvare. Il primo auspicio: le condotte descritte dal nuovo articolo 375, sia pure sul piano delle ipotesi, possono tradursi, in concreto, nella manipolazione dei collaboratori di giustizia, inducendoli a dire il falso o a tacere il vero. Possono tradursi nella manipolazione dei testimoni di giustizia, per esempio mantenendoli in condizioni di precarietà tale, durante il programma di protezione, da indurli a non rendere la testimonianza o a chiedere la fuoriuscita dal programma. Così come un altro ambito in ipotesi sensibile all'inveramento di simili condotte è l'ambiente carcerario, e in particolare quelle sue articolazioni deputate alla gestione dei cosiddetti 41-bis. Per questo, sempre alta dovrà essere l'attenzione nostra nel mettere chi opera in questi delicati segmenti dell'amministrazione dello Stato nelle migliori condizioni di farlo, e altrettanto alta l'attenzione da parte degli organismi parlamentari preposti nel mantenere un monitoraggio continuo.
Secondo auspicio: tra i, aperte virgolette, documenti comunque utili alla scoperta del reato, chiuse virgolette, possiamo a pieno titolo annoverare anche i trattati di cooperazione giudiziaria e di estradizione, perché, quando questi ci sono e vengono applicati, la giustizia procede in un certo modo, quando non ci sono, « no».
Per questo auspico che il Governo renda operativo quanto prima il Trattato di cooperazione giudiziaria con gli Emirati Arabi Uniti dove notoriamente, e comodamente, risiedono diversi delinquenti italiani.
Terzo, c’è un fatto che ci ha recentemente sconvolto, la tragica morte del colonnello Omar Pace, stimato nell'ambiente investigativo per le sue straordinarie capacità informatiche, tanto utili soprattutto in alcuni procedimenti penali ancora aperti. Su questo episodio la procura di Roma ha aperto un fascicolo, auspico che quanto prima si possa fare piena luce su questo accaduto.
Quarto e ultimo auspicio, Presidente e colleghi, con cui termino il mio intervento. Considerata la grande stima che nutriamo nei confronti delle nostre forze dell'ordine, dei servizi di informazione e della nostra magistratura, auspico che il nuovo articolo 375 diventi più che altro un monito figlio di un passato che non vogliamo si ripeta più (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle) !