A.C. 1295
Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, relatore, Ministro, rappresentanti del Governo, oggi è il 16 ottobre 2023, lo hanno ricordato il relatore e il primo intervento. Sono trascorsi 80 anni dal giorno del rastrellamento degli ebrei di Roma, quel giorno in cui, dalle primissime ore, la morsa nazifascista si strinse intorno alla comunità ebraica romana, partendo dalla periferia fino al centro, fino al Portico d'Ottavia, al Ghetto. Un'operazione pianificata nel minimo dettaglio per non lasciare scampo, il sabato nero del Ghetto di Roma. Vennero catturate 1.259 persone, tra loro 207 bambini, anche un neonato, destinato a nascere e morire in pochi giorni. Tra loro anche Carolina Milani, che non era ebrea ma che assisteva Enrichetta De Angeli, che era molto malata e che non volle lasciare da sola. La accompagnò ad Auschwitz fino alla morte, con lei nei treni, nei carri bestiame che portarono tutti e tutte loro allo sterminio. Al loro arrivo nel campo di concentramento, 820 prigionieri furono inviati immediatamente alle camere a gas e altri 196 furono invece selezionati come lavoratori schiavi. Di tutte e tutti loro tornarono solo 16 persone, 15 uomini, Michele Amati, Lazzaro Anticoli, Enzo Camerino, Luciano Camerino, Cesare Di Segni, Lello Di Segni, Angelo Efrati, Cesare Efrati, Sabatino Finzi, Ferdinando Nemes, Mario Piperno, Leone Sabatello, Angelo Sermoneta, Isacco Sermoneta e Arminio Wachsberger, e un'unica donna, Settimia Spizzichino, numero di registrazione 66210, nata due volte, il 15 aprile del 1921 e poi il 15 aprile del 1945, quando venne liberata dagli angloamericani nel campo di concentramento di Bergen Belsen. Dopo 18 mesi di inferno aveva 24 anni e pesava appena 30 chili. Sono passati 80 anni oggi e ogni anno che passa in più deve rafforzare il nostro impegno per coltivare la memoria di ciò che è stato. Una memoria che non è fatta solo di date, che non è fatta solo di numeri ma che è fatta anche di nomi e, dietro ciascun nome, c'è una persona, c'è una vita, c'è una famiglia.
Lo abbiamo ricordato anche ieri in una staffetta per la memoria che ha attraversato la città, partendo proprio dal ponte Settimia Spizzichino fino al Portico d'Ottavia, passando di fronte a ogni portone, passando di fronte a ogni luogo che ci richiamava questa storia. È stata una grande emozione vissuta personalmente insieme alle tantissime iniziative che sono promosse in questo momento da una grande collaborazione istituzionale.
Penso che la nostra iniziativa di oggi si leghi idealmente alle tantissime iniziative in corso in tutta questa settimana nella città, che sono frutto di un'iniziativa promossa da Roma Capitale, con il contributo del Ministero dell'Interno, in collaborazione con la comunità ebraica di Roma, la Fondazione Museo della Shoah e l'UCEI. Questa iniziativa è resa possibile da un finanziamento straordinario concesso grazie a un emendamento presentato durante l'ultima manovra finanziaria dal nostro collega Claudio Mancini e grazie al sostegno di tutte le forze politiche.
Vi è stata una grande collaborazione istituzionale che avrà un coronamento nelle prossime ore quando, alle 16,30, dalla piazza del Campidoglio fino al Portico d'Ottavia ci sarà una grande manifestazione e, poi, ci sarà la possibilità di essere uniti in quel luogo tutti e tutte in un momento così importante per la storia di questa città. È un'occasione di memoria, sicuramente. Noi dobbiamo costruire il ricordo di un orrore di cui non abbiamo foto, perché perfino i nazisti vollero nascondere al mondo l'orrore di quella giornata, non documentando, come erano soliti fare, le proprie azioni. Forse lo fecero perché sarebbe stata la prova di una promessa tradita, di quella promessa di 50 chili di oro per evitare quello che poi, invece, decisero di fare. Però, restano sicuramente le memorie dei sopravvissuti, restano le memorie di chi è scampato a quel rastrellamento e lo ha fatto sicuramente grazie alla capacità di donne e uomini che hanno saputo, in pochi minuti, trovare il modo di sottrarsi ma anche grazie all'impegno di romane e romani che non si sono arresi all'orrore e che hanno rischiato la vita propria e della propria famiglia per salvare un amico, un collega, un vicino, nascondendoli, facendo il possibile per sottrarli a questa furia. Non ci sono stati, infatti, solo gli italiani che hanno venduto ai nazifascisti per pochi spiccioli la vita degli ebrei, non ci sono stati solo loro in quel giorno e nei giorni a seguire. Ogni volta che il nostro sguardo incontra una pietra d'inciampo datata oltre il 16 ottobre, dobbiamo pensare al fatto che dietro ciascuna di quelle morti c'è spesso la mano di un cittadino che ha scelto di collaborare con lo sterminio, ma ci sono anche i giusti che meritoriamente vengono ricordati dai Civici Giusti, che raccontano le storie di quelle chiese, di quei palazzi, di quei magazzini e di quei sottoscala della nostra città dove, durante l'occupazione, hanno resistito e hanno aiutato delle persone a salvarsi. Quei luoghi, i luoghi dell'orrore, segnati dalle pietre d'inciampo, e i luoghi della speranza, segnati dai Civici Giusti, sono disseminati per la capitale e ci portano a pensare quanto Roma sia e debba essere un immenso museo a cielo aperto della memoria.
Di questo immenso museo a cielo aperto il Museo della Shoah è un elemento indispensabile. Il disegno di legge in esame riconosce, infatti, l'importanza della costruzione nella nostra capitale di un Museo della Shoah, è un fatto storico. Voglio ringraziare il Governo per la scelta di destinare 10 milioni di euro al coronamento di questo grande progetto. Ripetendo quanto hanno detto tutti prima di me, il Ministero partecipa alla Fondazione Museo della Shoah, costituita nel 2008, e finanzia con 10 milioni di euro l'allestimento e il funzionamento del Museo, a decorrere dal 2026, con 50.000 euro annui, dettando poi disposizioni riguardanti la copertura finanziaria e la sua gestione. Stiamo parlando veramente di un progetto atteso da tanti anni, lo dico anche con una certa emozione come parlamentare e come romano. Intervengo oggi con, al mio fianco, la presidente di gruppo in Commissione cultura Irene Manzi, Michela Di Biase, Paolo Ciani. È veramente una grande emozione per tutto il nostro gruppo essere qui, perché conosciamo l'origine di questo progetto.
Già nel 1998, sotto la guida di Francesco Rutelli, si era dato avvio a una progettazione ed erano state individuate le prime possibili localizzazioni. Poi, la scelta forte, fortissima, di grandissimo valore politico, di Walter Veltroni nel 2005, quando viene collocato definitivamente nell'area intorno a Villa Torlonia. Penso che abbia un grande valore il fatto che, oggi, questo percorso, questa storia, questa storia di impegno vengano coronati da un Governo di destra, guidato da Giorgia Meloni, a testimonianza di come non ci debbano essere su questo tema differenze e distanze ma ci debba essere un lungo percorso di collaborazione.
HA un valore anche la scelta di questa collocazione, lo ha ricordato il relatore Federico Mollicone nel suo intervento. Come è stato annunciato, sono partiti i lavori, sono partiti i cantieri. Ma dove sono partiti? Sono partiti lì, a pochi passi da quella che era la residenza di Mussolini, per non dimenticare mai neanche le nostre responsabilità, le responsabilità del fascismo e degli italiani, non di tutti, fortunatamente. Lo abbiamo detto, ci sono i giusti, ci sono gli eroi, c'è la resistenza, e dobbiamo sempre di più coltivarne il ricordo positivo.
Ma c'è una responsabilità politica e storica italiana anche nell'orrore dell'Olocausto, che non può essere dimenticata. Lo ha ricordato anche la senatrice Cecilia D'Elia intervenendo al Senato, ricordando le parole del progetto firmato dagli architetti Luca Zevi e Giorgio Tamburini. Da chi lo ha disegnato, non a caso, è stato pensato come una scatola nera, perché la Shoah è un suicidio culturale e civile dell'Europa. Il progetto di sterminio degli ebrei e delle altre minoranze è un suicidio perché attaccare gli ebrei e tutte le minoranze, come i rom, i sinti, i portatori di handicap e i cittadini affetti da malattie mentali, è negare i valori europei.
Questa scatola nera è una scatola nera di cui abbiamo tutti bisogno. È naturalmente un'iniziativa che va a collocarsi insieme a tante altre iniziative, agli altri musei che esistono, dalla Fondazione
Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara al Memoriale della Shoah di Milano. Abbiamo bisogno di più memoria e anche della capacità di dialogare insieme. Sicuramente, si realizza e si corona un percorso oggi, ma resta sullo sfondo una grande domanda. Penso che, se noi dobbiamo dare un senso anche al fatto che tra le tante iniziative che si svolgono fuori da quest'Aula ci sia anche un momento di confronto parlamentare, oggi, qui, è anche per affrontare questa domanda, che non guarda al passato, che guarda al futuro.
Non potranno rispondere solo le istituzioni: sarà il compito della Fondazione, sarà il compito delle istituzioni che la sosterranno, sarà il compito della comunità ebraica, di tutta la comunità cittadina romana, di tutto il mondo culturale del nostro Paese. Adesso che i cantieri sono partiti e il museo aprirà, dobbiamo rispondere alla domanda di cosa fare di un Museo della Shoah nel nuovo mondo in cui stiamo entrando, che stiamo vivendo e che stiamo attraversando, come fare qualcosa di utile per debellare quell'odio antiebraico che esiste e resiste, nonostante tutte le iniziative della memoria che abbiamo fatto in questi anni.
Perché noi ce l'abbiamo messa tutta, da punti di vista diversi, con storie diverse, per cercare di mettere in campo qualcosa che potesse debellare quest'odio, ma se c'è un aspetto che non può essere contestato da nessuno dell'attacco di Hamas, che ce lo ha ricordato nel modo più drammatico e doloroso, è questo fatto del numero di morti più alto in un solo giorno dall'Olocausto ad oggi, in un solo giorno, nello Stato di Israele, e l'obiettivo che ha portato a questi morti, a questa immane carneficina, al di là dei modi e dei metodi che ricordano pagine scure, nere del nostro passato, c'è quell'obiettivo: la distruzione dello Stato di Israele e del popolo ebraico. Non sconfiggere Israele, ma distruggere Israele. È un qualcosa che esiste e resiste, nonostante tutto, nonostante la democrazia, nonostante la libertà, nonostante le nostre iniziative, nonostante tutto quello che abbiamo fatto, nonostante la memoria, nonostante tutti i musei, nonostante tutti i film, nonostante tutte le canzoni, nonostante tutti i momenti in cui abbiamo cercato di costruire un antidoto a questo male, un antidoto a questo odio.
E noi abbiamo un dovere storico; Pietro Terracina - ieri, in questa staffetta per la memoria, in bicicletta siamo passati per Monteverde, dove lui era scampato al rastrellamento, ma poi non alla deportazione, da cui era tornato, unico della sua famiglia - ci ricordava che la memoria è un filo tra presente e futuro. Ecco, noi a questa domanda dobbiamo dare una risposta e il Museo della Shoah nasce per dare una risposta a questa domanda: cosa dobbiamo fare di più di quello che abbiamo fatto fino a oggi per cercare di curare le ragioni di quella malattia, che non abbiamo ancora superato, nonostante la Shoah - e parlo come umanità -, cosa dobbiamo fare per realizzare davvero quelle due parole che ciascuno di noi sente nel cuore ogni volta che vede un'immagine, che gli ricorda quel punto più nero e più basso della storia dell'umanità, quelle due parole, quel “mai più”, che però bussa ancora alle nostre porte.
Noi questo “mai più” lo dobbiamo costruire insieme, senza divisioni politiche tra maggioranza e opposizione, tra destra e sinistra, perché sono i valori della nostra Costituzione. Come ci ha ricordato anche oggi Nicola Zingaretti, raccontando una pagina di vita personale, e nel raccontarci questa sua esperienza di vita ha ricordato l'importanza di sconfiggere la cultura dell'odio, questi valori, sono scolpiti nella nostra Carta costituzionale: l'importanza del nostro articolo 3, l'importanza di quello che noi abbiamo voluto dare come senso di direzione al nostro futuro. Però, quel male c'è ancora, dobbiamo combatterlo e il Museo della Shoah nasce per questo.