A.C. 3683
Grazie, Presidente. Tra pochi giorni, in tutta Italia, si celebrerà la ventiduesima Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Il suo epicentro sarà a Locri, e questa Giornata, ancora una volta, sarà organizzata, promossa, da Libera e dalle associazioni che compongono questa grande rete; una grande rete che, però, è animata, da sempre, da centinaia di familiari che hanno perso i loro cari a causa della violenza mafiosa. Vorrei soffermarmi, Presidente, colleghi, su alcuni aspetti che ritengo importanti di ciò che l'Aula sta per compiere con questo voto. Il primo: il 21 marzo come nasce ? Come nasce nella storia di questo Paese ? Credo che ci sia una scena, che sta nella memoria di molti di noi, che fotografa bene il bisogno nascente, direi insorgente, di quello che, poi, sarebbe stato il 21 di marzo. È Nino Caponnetto: Nino Caponnetto dopo la strage di via D'Amelio; Nino Caponnetto che esce dalla sala ardente dove erano composti i corpi di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta; Nino Caponnetto che, a un giornalista che lo insegue, quasi afferrandosi al braccio di quel giornalista, sussurra le parole: è tutto finito, ormai è tutto finito. Ecco, qualche giorno dopo, quello stesso Nino Caponnetto, con grande coraggio, il coraggio dell'umiltà e del rigore morale, tornerà in televisione per dire: scusate, è stato un momento di cedimento, non è finito proprio niente; dobbiamo reagire, dobbiamo farlo insieme, dobbiamo farlo subito. Sono passati 25 anni da quel bisogno di reazione che nasceva da un dolore lancinante, che ha sfiorato la disperazione e che, invece, ha prodotto un'ulteriore ondata di ribellione, organizzata e consapevole, a tutti i livelli, istituzionale, politico, sociale. Il bisogno di non perdersi di vista e di aiutare questo Paese a scrivere una storia migliore, liberata dalle mafie. A livello istituzionale, tra le tante scelte, ricordo quella di Giancarlo Caselli di chiedere il trasferimento proprio in quella procura, a Palermo, dopo le stragi. Ricordo il presidente Violante, che in quel frangente guidava la Commissione parlamentare antimafia, e quanto fu importante quella relazione. Ricordo don Ciotti, che, con Rita Borsellino, sorella di Paolo, cominciò questo faticoso cammino per non dimenticare, per non disperare, per organizzare la reazione culturale e democratica in questo Paese, insieme a tanti.
E, allora, il 21 di marzo nacque per raccogliere questo bisogno, declinandolo soprattutto in due sensi: il primo, non ci possono essere vittime di serie A e vittime di serie B. Quante volte ci siamo ricordati in questi anni che proprio nel 1993, nel 1994, poi arriverà il 1995, la prima edizione del 21 di marzo, nella commemorazione delle stragi, Capaci, via D'Amelio, e poi le stragi del 1993, venivano spesso ricordati soltanto o soprattutto i nomi di quelli che giustamente erano ritenuti gli eroi nazionali, Falcone, Borsellino, e altri nomi non venivano mai ricordati. Quei familiari si fecero carico di rappresentare quel dispiacere, quell'ingiustizia, perché un popolo che riconosce soltanto gli eroi, che sono solo alcuni e non tutti gli altri e non ciascuno, si fa un danno, oltre che arrecare una sofferenza a coloro che non vengono mai rammentati.
Ecco, non possono esserci vittime di serie A e vittime di serie B. Ogni storia, ogni donna, ogni uomo deve essere ricordato, ogni bambino, con la sua identità, perché è proprio la memoria di tutti e di ciascuno che ci restituisce l'insopportabilità delle mafie nel nostro Paese. Questo il primo significato del 21 di marzo, che, infatti, non è la giornata che commemora questo o quel morto, ma è la prima giornata di primavera, per metterli tutti sullo stesso piano e dire, nella memoria di tutti e di ciascuno, la seconda cosa importante, e cioè che la memoria non ha senso di per sé, se non provoca, se non produce, se non pretende l'impegno a trasformare la realtà, quella realtà di violenza che ha provocato quelle morti.
Ecco perché memoria e impegno, ecco perché il 21 di marzo, primo giorno di primavera, ecco perché tutti e ciascuno, quelli che giustamente sono ricordati come eroi per il nostro Paese e quelli che più difficilmente vengono ricordati, ma che non hanno meno dignità e ci aiutano a comprendere che cosa sia il nostro Paese. Oggi, però, noi facciamo una cosa speciale: attribuiamo al 21 di marzo, che ha questa storia, un significato istituzionale; approviamo una legge che fa diventare il 21 di marzo, Giornata nazionale della memoria delle vittime delle mafie e dell'impegno per questa memoria, parte del calendario repubblicano. Credo che questo sia uno degli atti politici più importanti che il Parlamento possa fare, perché, quando un Parlamento decide cosa ricordare, compie un atto di alta politica.
Infatti, decidere, attraverso una legge, cosa valga la pena ricordare e perché significa contribuire alla scrittura dell'identità di un popolo, significa contribuire all'autocoscienza nazionale. E noi, con questa legge, lavoriamo per fissare un «salva con nome», un promemoria per tutti noi, soprattutto per noi che stiamo qui dentro le istituzioni, che serve a dirci e a dire che cosa siamo e di che cosa abbiamo bisogno.
Che cosa dice all'identità del nostro Paese la legge che istituisce il 21 marzo come Giornata nazionale della memoria per l'impegno delle vittime di mafia ? Dice che in questo Paese c’è un problema irrisolto, che ha a che fare con la cultura del potere, che ha a che fare con la gestione del potere: perché non possiamo parlare di mafia in qualunque accezione, senza riflettere sulla cultura del potere, sul modo di organizzare il potere in questo Paese. Fissare nel calendario repubblicano questa giornata significa legarci un fazzoletto al dito e rammentarci che abbiamo un problema ancora da risolvere, e da risolvere fino in fondo; che il sangue di tutte queste vittime ha prodotto dei cambiamenti, ha già prodotto dei risultati, ha prodotto un sussulto di responsabilità, leggi che hanno trasformato
e potenziato la capacità dello Stato di contrastare la violenza delle mafie, la loro capacità criminale. Penso alle leggi successive al 1992, penso ad alcune buone norme che abbiamo approvato in questa legislatura e ad alcune norme importantissime che ancora devono essere perfezionate; penso alla riforma del codice antimafia, che questo ramo del Parlamento ha approvato nel novembre 2015 e che attende che il Senato se ne curi e lo licenzi, piuttosto rimandandolo ancora una volta alla Camera.
Ma se questo è parte dell'impegno che discende, soprattutto per noi che lavoriamo dentro le istituzioni, dall'istituzione del 21 marzo come Giornata nazionale, voglio ancora dire e concludere cosa spero che non sia l'istituzione, attraverso la legge, di questa Giornata della memoria e dell'impegno. Spero che non diventi una sorta di atto di pacificazione senza pace; spero che non diventi un atto di pacificazione senza giustizia e senza verità. Come a dire: sono centinaia i morti ammazzati dalle mafie; per molti di questi non esiste verità sul piano giudiziario e sul piano storico, oltre il 70 per cento di quei delitti ancora oggi sono senza verità e senza giustizia; però, sapete che c’è ? Istituiamo la Giornata nazionale della memoria e dell'impegno, e quindi state tranquilli, fatevene una ragione, in qualche modo ricomponete il vostro dolore. Ecco, questa legge io spero e credo che quest'Aula così la intenda: non può essere un pari e patta, non può essere «in questo Paese manca ancora tanta verità e tanta giustizia, soprattutto su quei delitti che c'entrano con le mafie, ma evidentemente non solo con le mafie; fatevene una ragione, mettetevi l'anima in pace».
No: questa legge – e ho finito, Presidente – è un ulteriore impegno che tutti noi ci prendiamo, per fare della memoria verità e giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).