A.C. 1049-A
Grazie, Presidente. Oggi siamo chiamati a votare un provvedimento che istituisce la Giornata nazionale contro la denigrazione dell'aspetto fisico delle persone, il cosiddetto body shaming. Ci tengo innanzitutto a ringraziare la collega Semenzato per il lavoro svolto in Commissione nell'ambito dell'intergruppo parlamentare su body shaming e disturbi alimentari, che ha permesso di arrivare a un testo condiviso. Grazie Martina. Il body shaming che, come tutti ormai sappiamo, significa letteralmente far vergognare del proprio corpo, non è solo una battuta infelice o un atto isolato di bullismo, è una vera e propria violenza sistemica, propria di una cultura che affonda le sue radici in secoli di storia in cui il corpo, soprattutto il corpo delle donne, non è mai stato davvero proprio, ma è stato guardato, controllato e regolato da altri. Ma chi decide cosa è normale?
Chi ha il diritto di dire quale corpo è giusto? Pensiamo ad alcune figure che hanno cambiato il mondo e che nel corso della loro vita hanno subito scherno, derisione o esclusione, proprio per il loro aspetto fisico e per ciò che li rendeva diversi. Albert Einstein da giovane fu deriso per il suo modo di parlare lento e impacciato, per il suo aspetto trasandato e disallineato agli standard del tempo. Frida Kahlo trasformò le sue cicatrici, il dolore e la disabilità in un linguaggio artistico universale, così come Stephen Hawking che, con un corpo paralizzato, ha continuato a far viaggiare l'intelligenza umana tra le stelle.
Oggi molti ragazzi e ragazze si confrontano con un mondo che sembra dire: non vali se non corrispondi a un modello. Ma quale modello? Eppure la storia ci insegna che sono proprio le differenze, le imperfezioni, i tratti unici a generare cambiamento, innovazione, bellezza vera. Quando si colpisce il corpo con lo scherno, la derisione, la violenza simbolica o quella reale, non si sta semplicemente criticando un aspetto esteriore, si sta cercando di delegittimare una persona nella sua interezza, nella sua voce.
Non è solo una questione di aspetto, è una questione di potere, di controllo, di narrazione sociale. Ed è per questo che il body shaming non è solo l'insulto, la goliardata da ragazzi, né una questione di mera estetica o insensibilità individuale. È una violenza figlia di un ordine sociale e culturale che, tra le altre cose, interpreta il corpo non come espressione della propria singolarità e identità, ma come un oggetto da inquadrare e giudicare. Riconoscere il valore del corpo significa riconoscere il diritto ad esistere, ad essere presente nello spazio pubblico, ad avere una voce.
Questo è ancora più evidente quando il body shaming si intreccia con il genere, con l'età, con la disabilità, con l'orientamento sessuale o con il colore della pelle. I dati parlano chiaro: un adolescente su tre ha dichiarato di aver subito body shaming. Il 20 per cento delle donne italiane afferma di esserne stata vittima e, secondo un'indagine, il 36 per cento delle donne ha un rapporto negativo con il proprio corpo. Tra le ragazze adolescenti, le persone con disabilità e chi vive in condizioni di marginalità questa percentuale cresce ancora di più.
In casi estremi il body shaming è correlato a disturbi alimentari, depressione, isolamento, comportamenti autolesivi. Dietro queste cifre ci sono persone, storie di vita, sofferenze silenziose che interpellano anche la responsabilità della politica, la responsabilità di ognuno di noi, perché il body shaming non è un problema privato, ma una questione pubblica, sociale. È uno dei tasselli della piramide di violenza, spesso della violenza di genere, uno dei primi gradini, quelli più invisibili, di un processo che normalizza il controllo, il giudizio e la svalutazione attraverso il corpo.
Una piramide che si regge su stereotipi, modelli inaccessibili e narrazioni a volte esterne, imposte, fin dall'infanzia, attraverso media, pubblicità, scuola e perfino relazioni familiari. Ed è importante dirlo chiaramente: questa cultura fa male a tutti, anche agli uomini, ai ragazzi intrappolati in un'idea rigida di virilità che non ammette fragilità o imperfezioni. Combattere il body shaming significa anche decostruire un immaginario che segna ruoli e gerarchie in base all'aspetto, alla conformità ad un modello. In questo contesto, istituire una Giornata nazionale ha un valore simbolico importante, ma il simbolo deve diventare impegno quotidiano.
Servono politiche educative serie; percorsi educativi nelle scuole per aiutare i ragazzi e le ragazze a riconoscere la diversità dei corpi come un valore; percorsi di formazione degli insegnanti, degli operatori scolastici. Penso alla necessità di garantire l'accesso universale ai servizi di supporto psicologico per i giovani, perché la salute mentale passa anche dalla capacità di accettare il proprio corpo, di viverlo senza vergogna e senza paura. Permettetemi di rivolgermi direttamente ai più giovani, a chi sta crescendo in un tempo che promette libertà, ma impone standard feroci.
Il nostro tempo, in cui l'apparenza è diventata una moneta, dove ogni immagine di sé può essere giudicata, dove ogni corpo può essere esposto, commentato, svalutato. So che, a volte, sembra che il valore dipenda da un like, da una taglia, da quanto si riesce ad assomigliare a qualcosa che non si è in quel momento, e questo può far male. Vorrei dire una cosa, senza slogan: la vostra unicità non è un difetto, è una risorsa. Non siete voi a essere sbagliati. E chi vi deride, chi vi schiaccia, chi vi fa sentire inadeguati spesso lo fa perché ha paura della libertà che rappresentate.
Perché la libertà è contagiosa e disarma chi ha costruito la propria sicurezza su modelli vuoti. Accettarsi non vuol dire accontentarsi. Significa conoscersi per davvero: non è facile. Nessuna legge vi proteggerà completamente da tutto questo, ma una legge può dire da che parte stiamo. Può creare spazi in cui parlare, ascoltare, educare. Può essere un inizio. La nostra società ha bisogno di autenticità, di libertà, non di conformità. Ha bisogno delle vostre storie, della vostra energia e anche delle vostre fragilità. E oggi, se vi sentite fuori posto, sappiate che spesso chi cambia davvero le cose ha cominciato proprio da lì: dal sentirsi fuori posto, dal non conformarsi per forza, dal portare avanti idee e pensieri altri.
È per questi motivi che, a nome del nostro gruppo, annuncio il voto favorevole su questa proposta di legge: un passo nella giusta direzione. Ora sta a tutti noi renderlo concreto.