Grazie, Presidente. Care colleghe e cari colleghi, negli ultimi anni la costante riduzione della natalità ha portato il tasso di fertilità del nostro paese ben al di sotto del livello di sostituzione generazionale. Questa situazione sta generando pesanti conseguenze per l'Italia e per l'Europa. Infatti, il nostro continente risulta essere l'unico al mondo in cui la popolazione continua a decrescere. Un declino demografico che si accompagna all'invecchiamento della popolazione, come ci mostra l'edizione 2024 del report Demography of Europe di Eurostat.
Il rapporto evidenzia un significativo calo del tasso di natalità nell'Unione europea, passato da 10,6 nati per mille persone nel 2008 ad addirittura solo 8,7 nel 2022. Una drastica e drammatica riduzione. Questo declino è stato riscontrato in 22 Paesi dell'Unione tra il 2002 e il 2022, con solo quattro Stati membri che hanno registrato un aumento e con la Bulgaria che invece è rimasta stabile.
Nel 2022 i tassi di natalità più alti sono stati registrati a Cipro (1,2), in Francia (10,7), in Irlanda (10,5) e in Svezia (10), mentre i tassi più bassi sono stati in Italia (6,7), Spagna (6,9) e Grecia (7,3). Il tasso di natalità in Italia è in particolar modo allarmante, perché significativamente inferiore rispetto alla media europea: una condizione che impone, oggi, la necessità di affrontare una sfida demografica rilevante per il nostro Paese. Inoltre un dato rilevante che emerge è che la percentuale di persone con più di 65 anni è aumentata dal 16,2 per cento nel 2003 al 21,3 per cento nel 2023, indicando un invecchiamento della popolazione europea.
L'aspettativa di vita è anch'essa in crescita, passando da 77,7 anni nel 2003 a 81,5 anni nel 2023; un dato ovviamente di per sé positivo, ma che si incunea in una dinamica demografica non semplice, come appena descritto. Per non parlare delle proiezioni sul futuro che ci dicono che nel 2100 il 30 per cento della popolazione del Vecchio Continente avrà più di 65 anni. In questo quadro, uno degli elementi più critici è che, stando a questi dati, in Italia per avere un rimpiazzo generazionale ogni coppia dovrebbe avere in media 2,1 figli: dagli anni Settanta, in Italia, ogni donna ha meno di 2 figli e dagli anni Ottanta ha meno di 1,5 figli.
Ad oggi i dati dell'Istituto nazionale di statistica indicano che il tasso di fecondità è pari a 1,24 nascite per donna; il rapporto tra popolazione anziana e popolazione giovane in Italia è pari a 182,6 anziani ogni 100 giovani. Nel complesso cosa ci dicono dunque questi dati? Che l'Italia è diventata un Paese che invecchia e in cui non si fanno figli, con un rapporto tra la popolazione degli over 65 e quella degli under 15 in costante aumento. Il dramma in questo è che, alla diminuzione della popolazione più giovane, corrisponde un forte aumento della componente anziana, che nel medio e breve termine avrà pesanti conseguenze, non solo nel sistema di welfare del nostro Paese, ma anche sul sistema sanitario, aumentando l'incidenza di patologie croniche e le richieste correlate di assistenza costante.
Per governare questi fenomeni e contrastare la criticità connessi al cambiamento demografico servono politiche strutturali che affrontino, con scelte forti ma ragionate, attente e intelligenti, la complessità del fenomeno, che non può e non deve essere trattato in chiave ideologica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Il contrasto della denatalità è, infatti, parte centrale di una strategia complessiva che va tenuta assieme alle politiche per l'invecchiamento attivo, alle politiche di intervento per le persone autosufficienti e all'introduzione di sostegno alle giovani famiglie.
Per incentivare la genitorialità non servono allora slogan propagandistici, a cui il Governo ci ha abituato, ma servono servizi pubblici e garantiti, serve aiutare le persone e le coppie, in un quadro di parità e di egual sostegno. Serve, allora, assicurare alle giovani coppie interventi per conciliare la vita lavorativa e la vita familiare; in particolare, servono interventi diretti per le neomamme, visto che, in Italia, una donna su 4 perde il lavoro con l'arrivo del primo figlio; serve il congedo di paternità obbligatorio. Un aspetto, questo, che è cruciale per la natalità, perché aumenta il capitale umano a disposizione per una nuova vita e libera energie per la coppia, che può così gestire il neonato con un'attenzione maggiore ed una qualità del tempo migliore.
Il declino della genitorialità, in generale, non è comunque riconducibile a un solo fattore, ma è la conseguenza di un intreccio articolato di ragioni culturali e materiali, che passano anche dalla percezione di insicurezza, dal timore del futuro o le aspettative di felicità con le quali le persone si devono confrontare: è che su queste cose che un Governo serio dovrebbe intervenire.
Un altro aspetto legato al calo demografico è lo spopolamento dei territori: le aree rurali e montane sono particolarmente colpite da questo problema, con una riduzione della popolazione che porta alla chiusura di scuole e servizi essenziali. Questa situazione crea un circolo vizioso, dato che la mancanza di servizi porta ulteriori persone ad abbandonare queste aree, aggravando ulteriormente lo spopolamento. L'Italia è un Paese di piccoli comuni: circa 5.500, il 70 per cento, degli 8.000 comuni esistenti ha meno di 5.000 abitanti; circa 2.000 comuni, circa il 25 per cento, meno di 1.000 abitanti.
In questo scenario l'immigrazione sta limitando gli effetti sociali ed economici dello spopolamento, dell'invecchiamento demografico e il degrado ambientale derivante dall'abbandono delle terre.
Gli immigrati tendono ad avere tassi di natalità, sebbene inferiori rispetto al passato, più elevati rispetto alla popolazione locale e potrebbero contribuire ad aumentare il numero di abitanti. Al primo gennaio 2023, i cittadini stranieri in Italia erano 5.308.000, rappresentando solo il 9 per cento del totale, ma contribuiscono notevolmente a sostenere la natalità del nostro Paese. Nel 2023 i bambini nati da entrambi i genitori stranieri sono stati 50.000, corrispondenti al 13,3 per cento di tutti i nati; il numero è ancora maggiore, se si considerano anche i nati da un solo genitore straniero; senza gli immigrati la nostra piramide demografica diventerebbe ancora più squilibrata.
Per questi motivi, istituire una Commissione parlamentare sulle tendenze demografiche ci sembra una buona opportunità per affrontare questa sfida a patto che, lo ripetiamo, non si scada in derive ideologiche e non la si usi per veicolare messaggi politici, che usano la natalità per creare o rafforzare consenso, spesso in chiavi anche anacronistiche e lesive dei diritti individuali e non per affrontare seriamente la questione.
Gestire la complessità del fenomeno in Italia va fatto, dunque, attraverso un'analisi rigorosa dello stato del Paese, individuando un Piano strategico integrato che promuova politiche di contrasto alla denatalità: un Piano serio, chiaro, lineare e - come dicevamo - ragionato e che porti ad un concetto chiave che va oltre, appunto, l'ideologia. La maternità infatti è una scelta, non un destino: le donne non sono uteri viventi, Giorgia Meloni se ne faccia una ragione di questo concetto.
Nessuna discussione sulla denatalità deve avvenire con l'intento di arretrare rispetto al cambiamento portato, nella vita di donne, dalle battaglie sull'autodeterminazione, dalla maternità come scelta, dalla separazione tra sessualità e maternità. Non stiamo parlando delle singole scelte di genitorialità, pensiamo piuttosto al modo di essere delle nostre società, ai legami che strutturano il mondo in cui viviamo. Diventare genitori, anche attraverso le tecniche di procreazione medicalmente assistita o adottando, prendendosi cura dei figli altrui, è una scelta che va oltre la logica costi-benefici: è su questo che bisogna lavorare ed è su questo che deve lavorare, a nostro avviso, la Commissione, perché diventare genitori non può essere né un obbligo né un lusso.
Per prima cosa bisogna combattere le diseguaglianze sociali e di genere: le persone fanno più figli dove c'è più occupazione femminile, parità di genere, condivisione del lavoro di cura e servizi per l'infanzia, dove il progresso e le libertà non lasciano spazio al patriarcato.