A.C. 303-387-624-692-780-784-A
Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, nonostante la gravità di quanto avvenuto oggi in Aula, con le parole indegne dell'onorevole Donzelli che hanno paralizzato i nostri lavori, siamo felici di dare finalmente il via libera alla costituzione della Commissione antimafia.
È stato ricordato che la prima fu istituita con una legge del 1962. A me ha sempre colpito un dettaglio, che non è un dettaglio: quella legge portava la firma di Ferruccio Parri, padre della patria, eroe della liberazione dal nazifascismo. Non è un dettaglio e non credo sia un caso. Per chi, come me, viene dal cuore della Sicilia e ha preso coscienza del mondo sotto le bombe del 1992 e 1993, la lotta alla mafia è lotta di liberazione.
Quello spirito muoveva i capilega, alcuni dei quali avevano fatto la Resistenza, che nel dopoguerra in Sicilia si battevano per i diritti dei contadini e per la legge, e per questo si scontrarono con la mafia e vennero massacrati senza giustizia e senza verità.
È per la profonda fedeltà alle istituzioni repubblicane nate da quella lotta che hanno perso la vita tanti servitori dello Stato, magistrati, Forze dell'ordine, giornalisti e, diciamolo, politici della politica più nobile, più degna, rappresentata da uomini come Pio La Torre e Piersanti Mattarella (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). È questa la nostra storia e non permetteremo a nessuno, nemmeno all'onorevole Donzelli, di infangarla in quest'Aula.
Se dovessimo fare un bilancio di questa guerra di liberazione e di questi sessant'anni di antimafia istituzionale, possiamo certo dire con orgoglio che la mafia non ha vinto, ma dobbiamo ammettere con onestà che non ha nemmeno perso.
Il 16 gennaio l'arresto di Messina Denaro ha rappresentato un momento importante di questa lotta. Ecco perché va rinnovato il ringraziamento al ROS dei Carabinieri, al procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e al suo sostituto che per anni ha coordinato le indagini, Paolo Guido, un magistrato che non avete visto in prima serata in televisione e che meriterebbe un elogio speciale anche per la sobrietà, per l'alto senso delle istituzioni trasmesso con la sua compostezza. Quella compostezza mancata a qualche Ministro, che ha rivendicato per sé un ruolo che non ha avuto.
Tuttavia, il contesto di quella cattura e ciò che sta emergendo sulla latitanza sollevano interrogativi sui quali la magistratura sta indagando e che anche la politica ha il dovere di affrontare. Intorno a Messina Denaro c'era più che un sistema criminale.
Era un sistema sociale di protezione che coinvolgeva pezzi di società e di politica che, con ogni evidenza, ancora oggi instaurano con la mafia una certa reciprocità di favori. Imprenditori dell'eolico, della distribuzione, professionisti e massoni, una borghesia mafiosa, come è stata definita. Il medico di Campobello di Mazara che lo seguiva era anche un uomo politico. Il referente di questo sistema è stato un ex senatore trapanese, Antonio D'Alì. Dare il via libera alla nuova Commissione antimafia deve avere un valore anche per tutto questo. Ci sono, però, anche altre ragioni, alcune reazioni all'arresto destano preoccupazione.
Nel corso di questi anni c'è stato un calo di tensione politica nei confronti della lotta alla mafia, è inutile nascondercelo. Oggi, dopo la cattura, si corre il rischio che settori di opinione pubblica non avvertano più la minaccia urgente delle mafie soltanto perché non sparano e non uccidono come un tempo.
Un giornale ha titolato: “Cosa Nostra addio, l'emergenza è finita”. Purtroppo non è così e c'è persino il rischio che emerga una rappresentazione fuorviante di una mafia esclusivamente legata a un peculiare contesto territoriale, ad antichi vincoli e statuti di omertà e prepotenza. Matteo Messina Denaro, invece, è stato un boss di transizione tra la vecchia mafia stragista e quella che ha stabilito nuove alleanze nell'ombra, in una vasta area grigia che ha riciclato denaro insanguinato e avviato nuovi business in Sicilia, al Nord e all'estero. Nei giorni dell'arresto del capomafia siciliano è passato in sordina l'arresto di 15 imprenditori a Giussano, in Brianza, legati alla mafia, che avevano messo le mani sugli aiuti pubblici durante la pandemia.
Dopo gli anni della rimozione non si passi all'assuefazione, perché c'è sempre una convivenza di vecchio e nuovo nel proliferare delle mafie. La mafia è insediata, al Sud come al Nord, nell'edilizia, nelle energie rinnovabili, nella grande distribuzione, nella logistica e nei trasporti, nella sanità privata e nel ciclo dei rifiuti. È riapparsa nelle campagne con l'intimidazione violenta per esercitare l'intermediazione impropria e, dopo la crisi, torna prepotente dai nostri commercianti con il racket e l'usura. È inserita nel circuito del gioco d'azzardo e delle scommesse online, espande le sue attività mediante l'utilizzo di valute virtuali.
Ora si sta attrezzando per mettere le mani sugli appalti pubblici legati al PNRR, e per questo vuole penetrare nelle istituzioni a tutti i livelli. Allora abbiamo tutti una responsabilità: non rendere questo un passaggio rituale. Rilanciamo insieme il lavoro della Commissione e il suo ruolo, che non è inseguire o, peggio, sovrapporsi allo straordinario lavoro di magistratura e Forze dell'ordine. È chiamata a un lavoro diverso, politico, comunque scrupoloso; ci deve portare a comprendere i meccanismi che hanno portato alla profonda compenetrazione tra industria della malavita ed economia, ma che sappia portare avanti anche un'opera costante di distinzione, perché, come diceva Leonardo Sciascia, se tutto è mafia, niente è mafia. La rottura dell'unità e della coesione che le forze politiche devono avere tutte sulla lotta alla mafia oggi è stato un fatto grave.
Abbiamo il dovere di ricostruirla, e noi del Partito Democratico ne abbiamo dato prova anche in questi minuti, così come nel lavoro della Commissione. Voglio ringraziarli tutti i componenti della I Commissione, e la relatrice, l'onorevole Bordonali, per la disponibilità ad accogliere un testo unificato dell'opposizione. È un testo che recepisce alcune innovazioni presenti nella nostra proposta e in quella dell'onorevole Cafiero De Raho, che voglio ringraziare. Abbiamo ampliato i campi di azione della Commissione rispetto alle precedenti.
Non ripeterò tutte le innovazioni, che vanno dal PNRR alle frodi sui fondi europei, al lavoro sulle nuove monete digitali e, soprattutto, a porre maggiore attenzione sulle crescenti intimidazioni dei giornalisti, perché la precondizione per combattere le mafie è saperle riconoscere e il lavoro della libera informazione, delle inchieste va difeso, preservato. È un lavoro prezioso, così come lo è la tradizionale formazione antimafia che dalle scuole dovremmo sempre più portare nelle amministrazioni pubbliche, nei nuovi percorsi di formazione dei funzionari pubblici.
Abbiamo voluto richiamare le zone di contiguità tra mafia e massoneria, confermate dalla vicenda trapanese e che la Commissione, presieduta dall'onorevole Bindi nella XVII legislatura, aveva affrontato sfidando resistenze e reazioni scomposte. Ci sono innovazioni che riguardano anche il funzionamento della Commissione, a partire dal lavoro dei comitati e dall'esigenza di un regolamento che disciplini meglio le operazioni di verifica sulle liste dei candidati alle elezioni. Pensando a quello che avrei detto qui oggi, mi venivano in mente le parole di tanti martiri, eroi dell'antimafia, ma ho voluto richiamare il primo Presidente del Consiglio italiano dopo la Liberazione, Ferruccio Parri, proprio per richiamare quel dovere di unità politica che oggi è stato infranto e che qui siamo chiamati a ricostruire (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Anche questa è una nostra responsabilità: unità politica, nonostante ci caratterizzi una profonda diversità di vedute sugli effetti di alcune misure nella lotta ai poteri criminali. Ciò che sta emergendo sulla vita del latitante Messina Denaro dovrebbe portare a un repentino ripensamento delle decisioni del Governo sull'utilizzo del contante, così come l'evidenza di quella zona grigia dovrebbe suggerire di non indebolire gli strumenti investigativi, come le intercettazioni nei confronti di tutti i reati spia di mafia. C'è una domanda di mafia in certi comparti dell'economia e in certi meccanismi di accumulazione indebita di ricchezze e questa domanda di mafia arriva a pezzi di politica. Lo abbiamo visto in Sicilia, alle elezioni amministrative regionali, e la storia d'Italia ci insegna che anche questo Parlamento non ne è immune. Certo, sono queste stesse Aule che hanno eretto il recinto dell'azione penale antimafia, con un armamentario repressivo che il mondo ci invidia, a partire dalla confisca dei beni, e che oggi siamo chiamati a difendere. E noi lo faremo, perché porta anche il nome di Pio La Torre! Ma, per noi, la lotta alla mafia è molto altro. È anzitutto lotta per un'economia giusta, per una cultura dei diritti e non dei favori, per salari dignitosi, lavoro buono con contratti regolari, servizi pubblici dignitosi, erogati da un'amministrazione rigenerata, presenza capillare delle istituzioni, cura del territorio e dell'ambiente. Su tutto questo non saremo d'accordo, forse ci divideremo, ma oggi abbiamo il dovere di fare un pezzo di strada insieme. Abbiamo tutti il dovere di combattere le mafie “a testa alta”, come recita il titolo della mostra dedicata ai nostri eroi antimafia, ma soprattutto dobbiamo avere il coraggio di saperla vedere, anche quando è vicina, anche quando si nasconde in mezzo a noi. Per tutte queste ragioni e per altre, che non ho potuto richiamare, dichiaro il voto favorevole del Partito Democratico alla costituzione della 12° Commissione antimafia.