Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 20 Luglio, 2020
Nome: 
Vincenza Bruno Bossio

A.C. 1056-A

Mi sembra che già le relatrici abbiano spiegato, a parte la passione dell'onorevole Mollicone, che stiamo discutendo del testo unificato di proposte di legge che prevedono l'istituzione, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, di una Commissione parlamentare d'inchiesta - con le caratteristiche naturalmente della Commissione parlamentare di inchiesta, quindi niente di nuovo rispetto a questa Commissione parlamentare di inchiesta - sulla diffusione massiva di informazioni false. Nessun “Ministero della verità” e nessun obbligo di comparire, a meno che non si pensi che la presidenza alla minoranza piuttosto che alla maggioranza possa effettivamente modificare lo spirito di questa Commissione.

Lo spirito di questa Commissione è scritto chiaramente nell'articolo 2 e nei compiti che sono assegnati all'articolo 2, che già hanno anticipato le relatrici: un primo gruppo conoscitivo in merito all'attività di disinformazione e ai suoi fini ed effetti - stiamo parlando di disinformazione, questo è importante, non fake news - e invece un altro secondo gruppo che vuole valutare l'adeguatezza degli strumenti, esistenti proprio per contrastare questa disinformazione, ed eventualmente valutare l'opportunità di proporre l'adozione di iniziative per prevenire, oltre che per contrastare.

Naturalmente, rispetto al primo gruppo, alla Commissione è affidata in effetti la necessità di indagare sui meccanismi che generano la diffusione massiva di informazioni e contenuti falsi, non verificati, dolosamente ingannevoli e, guardate, più che sui media tradizionali, per i quali rimangono fondamentalmente gli strumenti di controllo disciplinati dalla normativa vigente, soprattutto sulle attività di disinformazione che passano attraverso le reti social e le piattaforme tecnologiche.

Ed è a questo punto importante condividere la definizione di disinformazione, che io credo debba essere quella della Commissione europea, ovvero: l'attività di disinformazione è un'informazione, rivelatasi falsa o fuorviante, concepita, presentata e diffusa a scopo di lucro e per ingannare intenzionalmente il pubblico. Infatti, sempre la stessa Commissione europea pensa che l'obiettivo della disinformazione sia quello di distorcere, falsando i fatti, per disorientare i cittadini e per minare la fiducia nelle istituzioni e nei processi politici consolidati. Quindi, giustamente, noi affrontiamo l'attività di disinformazione collegata al concetto tipico del post moderno di post verità, ovvero di una verità costruita non su basi oggettive ma in conseguenza di - come afferma il nostro professor Nicita, che è sostanzialmente un autorevole membro, fino all'altro giorno, dell'AGCOM - una relazione di complicità, emozione e reciprocità, tra chi, di volta in volta, parla o ascolta; ovvero non si tratta di una mera bugia, ma piuttosto della verità desiderata da chi la professa e raccoglie.

Ci troviamo, guardate, sia sul web sia su altri mezzi, spesso di fronte a novelli eristi, che professano le loro post verità, infarcite di argomentazioni speciose. Agli eristi non interessa minimamente, secondo la vecchia filosofia sofista, quale sia la tesi da confutare o affermare: l'importante è affermarla, anche usando falsificazioni; non si cerca la verità, si cerca di far fuori l'avversario, magari soprattutto politico. Questo è un altro punto importante: le notizie politiche false sono le più virali. In effetti, la tecnica è diventata il soggetto di questa storia e il web prende il posto delle piazze, ma spesso senza offrire la verità. Facciamo un esempio: non si capisce perché, ad esempio, sui media e sui social non venga mai data la stessa eco alle sentenze che proclamano l'innocenza di persone incriminate, o ancora peggio arrestate durante operazioni giudiziarie e retate a strascico, costruite con gli stessi criteri di fake news virali e artefatte per conquistare le prime pagine dei giornali, con grave nocumento della reputazione individuale e spesso senza neanche poi rispettare il diritto all'oblio.

La rete Internet ha certamente rivoluzionato il modo con cui comunichiamo e ci informiamo, e io sono per sottolineare il valore di questi nuovi scenari e di questa sfida alle democrazie liberali che ha aperto la rete sul piano della libertà e della partecipazione alla vita civile. È cresciuta la capacità di ciascuno di noi di interagire con gli altri, di esprimere le proprie opinioni, di raccogliere informazioni senza bisogno di rivolgersi per forza ai media tradizionali. Oggi, però, proprio a causa di deliberata attività di disinformazione, la libertà della rete e le occasioni di maggiore partecipazione che questa offre alla vita sociale sono seriamente minacciate dalle informazioni false e dai discorsi d'odio che si diffondono online. Lo stesso ideatore del World Wide Web, in una lettera aperta scritta in occasione della celebrazione del CERN di Ginevra, ha lanciato un grido d'allarme sull'uso del web per diffondere le fake news. Quindi, l'assenza dei meccanismi di controllo e di responsabilità, che sono invece legalmente previsti per gli editori tradizionali, accentua la facilità di produrre questo genere di notizie. Le tradizionali barriere d'ingresso che caratterizzano l'industria della formazione tradizionale crollano. Il pluralismo informativo e la libertà di informazione - lo sappiamo bene - costituiscono i principi essenziali della società democratica e rappresentano il presupposto imprescindibile per l'esercizio del diritto alla libertà di espressione. Proprio per questo possiamo dire che - e lo dico con le parole del presidente dell'Ordine dei giornalisti, che è venuto in audizione presso le nostre Commissioni riunite - come sistema giornalistico, dice Verna, noi siamo vittime e testimoni di un inquinamento dell'infosfera, che sta stravolgendo la stessa idea di informazione e di valore della comunicazione come collante sociale. Abbiamo già detto, nei media tradizionali responsabilità editoriale e reputazione costituiscono due capisaldi del sistema dell'informazione professionale, che forniscono trasparenza e garanzie, però si è passati da un modello in cui le informazioni venivano fornite da un insieme definito di fonti ufficiali, all'attuale ambiente disintermediato e reintermediato da piattaforme algoritmiche. Questo è il problema, e lo diceva e voglio rispondere anche all'onorevole Mollicone, che poneva il problema delle piattaforme: i meccanismi di proliferazione della disinformazione non sono quelli del singolo, ma sono basati su algoritmi che danno priorità alla pubblicazione delle informazioni in base al modello aziendale delle piattaforme e dal modo in cui tale modello privilegia i contenuti sensazionalistici, che in genere hanno più probabilità di attrarre l'attenzione e di essere condivisi tra gli utenti. D'altra parte, il modello pubblicitario online odierno, digitale, dipende dal numero di click e premia i contenuti virali: in questo modo si agevola l'inserimento di annunci pubblicitari sui siti web che pubblicano contenuti sensazionalistici, che fanno a loro volta leva sull'emotività dell'utente.

In tale contesto, oltretutto, l'automatismo dei sistemi di compravendita di pubblicità, che è senza adeguate misure di trasparenza, consente di vendere target allo scopo di massimizzare le impression servite o i click sui banner pubblicitari, piuttosto che sui contenuti. Le piattaforme online, dunque, che distribuiscono contenuti, in particolare i social media ma anche i motori di ricerca, hanno un ruolo fondamentale nella diffusione e nell'amplificazione della disinformazione online. Finora queste piattaforme non sono riuscite a intervenire adeguatamente: alcune di esse hanno adottato alcune misure, però questo aumento della disinformazione è diventata una fonte di preoccupazione, tanto negli Stati membri che nell'Unione europea. È del giugno 2017 che il Parlamento europeo ha invitato la Commissione ad analizzare nel dettaglio la situazione attuale e il quadro giuridico vigente relativo alle notizie false; così come a marzo 2018 il Consiglio europeo ha dichiarato che le reti sociali e le piattaforme digitali devono garantire pratiche trasparenti e piena protezione della vita privata e dei dati personali dei cittadini. Quindi, è necessario promuovere adeguati cambiamenti nella condotta delle piattaforme. Ci si aspetta sempre di più che le piattaforme online non solo rispettino gli obblighi giuridici dettati dal diritto nazionale della Ue - e sappiamo che spesso queste piattaforme non sono europee -, ma che agiscano anche con adeguata responsabilità alla luce del loro ruolo. In tale contesto, sempre la Commissione europea, a settembre 2018, ha pubblicato il Codice di buone pratiche e recentemente alcune società tecnologiche - Google, Facebook, Twitter, Microsoft, Mozilla - hanno presentato alla Commissione il primo rapporto annuale sulle politiche adottate per contrastare le false informazioni e i discorsi d'odio.

Tutto ciò può considerarsi meritorio, ma ancora non ha risolto efficacemente il problema; tant'è che la Commissione sta oggi analizzando la questione anche nell'ambito del Digital Services Act, che dovrebbe essere approvato nel corso del 2020. Quindi, la dimensione del fenomeno è tale da consigliare un intervento che abbracci la generalità degli Stati membri. Naturalmente, e finisco, tutto questo deve avvenire anche dentro un quadro di promozione dell'istruzione e dell'alfabetizzazione mediatica: se non c'è, tra i cittadini, uno sviluppo delle competenze critiche e digitali lungo tutto l'arco della vita, soprattutto tra i giovani, non si può rafforzare la resilienza delle nostre società rispetto alla disinformazione, e quindi sviluppare invece abilità, competenze digitali, dall'alfabetizzazione informatica alla creazione di contenuti digitali, fino alla sicurezza online e al benessere digitale. Così come è sempre più necessario e, come richiesto sempre dall'Ordine dei giornalisti e della Federazione nazionale della stampa, sostenere il giornalismo di qualità come elemento essenziale di una società democratica che contrasti sostanzialmente questi rischi e generi un ambiente mediatico pluralistico.

Così come è molto positivo che il Governo italiano sia il primo che in Europa ha costituito, su iniziativa del sottosegretario Martella, che è qui presente, un'unità di monitoraggio per contrastare la disinformazione, per esempio in materia di COVID-19. Dentro questo quadro, dunque, l'auspicio è che l'istituzione di questa Commissione d'inchiesta superi le polemiche, come in parte è avvenuto nelle Commissioni, e possa offrire l'occasione di un'attenta analisi di soluzioni e preludere all'introduzione di regole e meccanismi più idonei a contrastare efficacemente il fenomeno. Per questo, per procedere in tale direzione, la futura Commissione potrà certamente acquisire ogni elemento utile per una più compiuta valutazione e per disegnare un meccanismo di contrasto efficace al fenomeno in stretto coordinamento con le istituzioni nazionali, europee e internazionali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)