A.C. 1632-A e abbinate
Presidente, onorevoli colleghi, Sottosegretaria, negli ultimi anni, purtroppo, come diceva anche l'onorevole Trancassini, il nostro Paese ha vissuto una serie di catastrofi naturali che hanno causato lutti, distrutto intere città e arrecato gravi danni alle economie locali e, in certi casi, persino modificato il territorio.
Dopo questi eventi abbiamo anche visto migrazioni forzate, con molti cittadini costretti a trasferirsi in altre zone, a causa di ordinanze di inagibilità e sempre più spesso, poi, si è diffuso il ricorso alla delocalizzazione di aziende colpite dalle calamità. Questa dinamica, in alcuni casi, poi, per i lunghi tempi delle ricostruzioni, è diventata permanente: purtroppo abbiamo, così, assistito all'aggravarsi dello spopolamento, specialmente nelle aree fragili, come quelle interne e montane, alimentando la desertificazione socio-economica.
Presidente, mi permetta anche una breve parentesi personale: io vengo dalle Marche, una regione che oggi conta ben 5 stati di emergenza attivi. Nel 1971 Carlo Antognini descrisse noi marchigiani con una frase, tanto dura quanto poetica, e disse: essere marchigiani significa vivere in modo tellurico. Privata del suo valore simbolico e metaforico, questa frase è un'amara constatazione e quasi una condanna, direi. Tuttavia, viste le tragedie degli ultimi anni in Italia, possiamo estenderla: oggi, infatti, anche essere italiani, a mio avviso, significa vivere in modo tellurico.
L'Italia è uno dei Paesi più esposti in Europa alle catastrofi naturali, con un alto rischio di terremoti, alluvioni, frane ed eruzioni vulcaniche. Questo livello di pericolo deriva dalla sua conformazione geologica e dalla densità abitativa delle aree vulnerabili: i terremoti sono la minaccia maggiore sia per i danni economici sia per le perdite umane, con il 70 per cento dei nostri comuni a rischio; negli ultimi decenni, però, anche alluvioni ed eventi meteorologici estremi hanno causato danni crescenti, con un aumento di episodi di maltempo.
In questo contesto difficile, con sempre più territori devastati e un numero crescente di cittadini colpiti, si è sviluppata una nuova sensibilità sulla risposta dello Stato sia nell'emergenza sia nel processo di ricostruzione. Negli ultimi anni la gestione delle catastrofi ha portato ad una complessità normativa crescente sia per quanto riguarda le risorse stanziate sia per la gestione della ricostruzione, attraverso decreti urgenti e ordinanze da parte dei commissari e da parte della Protezione civile.
Questa stratificazione normativa ha creato una complessità tale da rendere molto difficile l'applicazione delle leggi: nei disastri che richiedono la ricostruzione queste difficoltà impattano sulla vita di cittadini e imprese, già colpiti, allungando i tempi per tornare alla loro normalità; questa situazione si è ripetuta in ogni sisma, in ogni alluvione o evento climatico estremo.
Come evidenziato anche dall'ex Ministro Fabrizio Barca e oggi ripreso anche nel suo discorso dall'onorevole Trancassini, i cittadini hanno vissuto una profonda incertezza sui loro diritti: sono sorte ingiustizie, alimentando in alcuni casi anche tensioni sociali e raramente è stato garantito il diritto alla partecipazione nei processi decisionali.
Questo contesto ha portato a un aumento della produzione normativa, a un'estensione dei tempi di ricostruzione, a un'incapacità di elaborare strategie di sviluppo integrate ai Piani di ricostruzione. Questa dinamica ricorrente deriva dalla mancanza di una politica nazionale unitaria e coerente, capace di regolamentare in modo uniforme la fase di ricostruzione, nonostante i rischi del territorio italiano. L'assenza di regole chiare e di un sistema consolidato ha avuto un impatto negativo sia sulla vita dei cittadini sia sul futuro dei territori devastati.
Per evitare che questi scenari si ripetano è fondamentale, allora, affrontare la ricostruzione e lo sviluppo in modo da non aumentare le disuguaglianze e garantire il rispetto dei diritti fondamentali. Con questo spirito abbiamo depositato la nostra proposta di legge, a prima firma della nostra presidente di gruppo, Chiara Braga, con l'intento di creare una normativa generale che codifichi procedure e regole certe e uniformi per tutto il Paese: regole applicabili con efficacia alla ricostruzione post-calamità; una normativa che garantisca la partecipazione di cittadini, sindacati, imprese e associazioni della società civile e dell'accademia, oltre ovviamente al coinvolgimento dei nostri amministratori locali e degli enti locali tutti.
Ci apprestiamo, oggi, ad esaminare un provvedimento che cerca di conciliare la nostra proposta con quella della maggioranza e l'ulteriore proposta che è stata presentata dal Governo. Abbiamo scelto di unire le forze, votando a favore dell'abbinamento delle tre proposte, per arrivare, finalmente, ad un codice della ricostruzione.
Il Partito Democratico ha ribadito più volte in Commissione il suo impegno a sostenere con convinzione l'adozione di un codice condiviso, un codice della ricostruzione, però, vincolato a due obiettivi: il primo è quello di garantire velocità e celerità nella ricostruzione; il secondo è quello di garantire l'uniformità delle norme e delle procedure su tutto il territorio nazionale. Ma la complessità del tema richiede un quadro giuridico chiaro, che eviti incertezze e differenze applicative, che danneggerebbero un processo già fragile di per sé.
Durante il processo legislativo abbiamo apprezzato l'atteggiamento collaborativo della maggioranza che, seppur non a sufficienza, ha accolto diversi dei nostri emendamenti, così come noi abbiamo votato a favore di alcuni emendamenti della maggioranza. Tuttavia, è chiaro: il codice che vogliamo non può essere vago o ambiguo, e una delle maggiori insidie è proprio la questione dell'autonomia differenziata. Qui emerge una contraddizione pericolosa.
Come possiamo approvare un testo che dovrebbe garantire l'uniformità nazionale, quando l'autonomia differenziata rischia di minare questo principio? La legge “spacca Italia” darebbe alle regioni poteri legislativi su materie coperte dal codice, creando un conflitto a scapito della ricostruzione. Allora, questa ambiguità abbiamo cercato anche di risolverla con un nostro emendamento soppressivo, al comma 2 dell'articolo 1. Infatti, il comma 2 dell'articolo 1, che riguarda, appunto, gli ambiti di applicazione della legge, prevede che le disposizioni della presente legge si applicano anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano, compatibilmente con i rispettivi statuti di autonomia, e che sono fatte salve, però, altresì, le forme e le condizioni particolari di autonomia attribuite ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione. Il nostro emendamento soppressivo è stato bocciato.
Va detto che il percorso, finora, è stato segnato anche da divergenze profonde, se penso al ruolo dei presidenti delle regioni, alle partecipazioni civiche nei vari organismi, anche agli obblighi - alcuni obblighi - sulla trasparenza, ma è stato segnato anche da una volontà comune, comunque, di dotare l'Italia di uno strumento capace di dare risposte in caso di emergenza. Oggi, però, vediamo un diverso intento: piantare una bandierina, anche accettando un compromesso al ribasso. Ci dà l'idea che sia questo. E lo dico perché siamo partiti da tre proposte, come ho detto prima, dai contenuti anche molto differenti tra loro, ma tutte e tre si basavano su quei due principi, che sono poi stati, in realtà, i due pilastri inderogabili su cui si è lavorato in Commissione: il primo era quello di garantire la celerità nella ricostruzione, come ho detto prima, e il secondo era quello di garantire omogeneità nella ricostruzione a livello nazionale, perché sono queste due esigenze che ci hanno portato a condividere la necessità di dotare il Paese di un codice della ricostruzione.
La domanda ora è: come pensate di garantire omogeneità, se con l'autonomia differenziata ognuno potrà, in realtà, farsi il suo codice? La domanda che ci poniamo è: ha più senso questo provvedimento, se proprio siete voi, di fatto, a scrivere nel testo che la sua applicabilità è fatta salva, appunto, da quello che dicevo prima, ossia dalle condizioni di autonomia attribuite ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione? Guardate, non lo diciamo solo noi. In questi giorni, abbiamo anche visto diverse uscite pubbliche del Ministro Musumeci, che pone l'attenzione sulla Protezione Civile e su quelli che sono i temi delle emergenze.
Allora - e concludo, Presidente -, dico: noi siamo in prima lettura, abbiamo la possibilità di continuare a lavorare in quest'Aula apportando le modifiche di cui il provvedimento necessita. Facciamolo, perché la priorità non è chiudere in fretta per mettere una bandierina, ma è dotare il Paese - come abbiamo detto - di uno strumento normativo che garantisca celerità e omogeneità nazionale in caso di calamità e, soprattutto, dotare il Paese di un nuovo strumento normativo che non richieda deroghe, qualora, purtroppo, dovesse essere necessario utilizzarlo.