A.C. 1189-B
Grazie, Presidente. Mi trovo in una situazione inedita e un po' paradossale perché noi abbiamo una pregiudiziale che è pressoché identica alla pregiudiziale che abbiamo presentato e illustrato nella precedente lettura. C'è stato qualche evento nuovo, ma purtroppo me l'ha già rubato l'oratore precedente: una sentenza della Corte costituzionale, il parere del Consiglio superiore della magistratura, l'intervento delle camere penali. Ma mi chiedo: noi soccombiamo nei numeri, ma, cari colleghi della maggioranza, siete sicuri che questa hỳbris che vi porta a confermare le vostre posizioni senza una correzione minima non sia anche una sconfitta dell'intera istituzione parlamentare, e quindi, in senso lato, anche vostra, che pure sul momento vincete sui numeri? Perché qui stiamo assistendo a una notevole schizofrenia: parliamo di un provvedimento, questo, che è stato imposto al Senato con la fiducia e giusto stamattina facevamo una sessione del Comitato per la legislazione su come evitare l'eccesso di fiducie.
Ci riproponete un testo senza modifiche, ma, in privato, accade molto spesso a noi e a coloro che vengono auditi che una metà della maggioranza ci inviti a presentare ulteriormente le nostre obiezioni, perché sono giuste. Quanto può durare questa doppia verità tra le cose che si dicono in privato e le cose che si dicono in pubblico, di cui, poi, occorrerà rendere conto agli elettori? Viene il dubbio che non si sappia che cos'è un Parlamento: un luogo in cui, è vero, ciascuno di noi viene con il voto di una parte, in cui esiste una disciplina di gruppo, in cui esistono dei contratti di coalizioni, ma esistono anche delle menti che dovrebbero ragionare e ascoltare gli argomenti degli altri, perché altrimenti non è un Parlamento.
Aldo Moro, in un suo noto discorso, presentò un'argomentazione che è valida per qualsiasi assemblea parlamentare e che rivela se un'Assemblea parlamentare funziona o meno. In un discorso del novembre 1977 a Benevento, diceva Aldo Moro rivolto al Partito Comunista, quello che voi siete noi abbiamo contribuito a farvi essere e quello che noi siamo voi avete contribuito a farci essere. Se in un Parlamento non siamo in grado di dirci questo, noi falliamo il nostro compito; non solo noi che perdiamo nel voto, ma anche voi che vincete nel voto. Non è un referendum il Parlamento, non è un gioco a somma zero in cui non c'è nessuna possibilità, anche minima, di compromesso. Per questo preferiamo la democrazia rappresentativa, e la democrazia diretta può essere solo un correttivo; ma se noi la snaturiamo dall'interno e la trasformiamo in un surrogato di democrazia diretta, dove non è mai possibile raggiungere dei compromessi, noi rendiamo superfluo il ruolo di tutti.
Non parlerò qui anche del voto un po' surreale nella Giunta del Regolamento del Senato, dove si è ricorso a un artificio per negare il voto segreto all'Assemblea del Senato. Torno sulla legge: qui, in questa legge, è espressa un'ideologia. In nome di un principio in sé valido e che è altamente condivisibile, la lotta alla corruzione, in questa legge, come in molti altri provvedimenti, a cominciare da quel brutto inizio di legislatura contro le misure alternative al carcere, c'è un'ideologia giustizialista, l'idea che la pena sia solo il carcere, l'idea di qualche magistrato che la carcerazione preventiva tutto sommato sia un bene e che possa essere usata per estorcere confessioni, l'idea che non esistano innocenti, ma solo colpevoli non scoperti. Queste cose sono fuori dalla Costituzione, non da un singolo provvedimento, non da uno schieramento. C'è qualcuno che ancora coltiva la massima di Rousseau, la legge è espressione della volontà generale, e che in nome di una volontà generale, che giustamente vuole la lotta alla corruzione, la concepisce senza limiti. Ma il Consiglio costituzionale francese, in una nota sentenza del 1985, ha smentito Rousseau e ha detto: la legge è espressione della volontà generale soltanto nel rispetto della Costituzione. Qui ci troverete, nel rispetto della Costituzione.