Discussione generale
Data: 
Lunedì, 14 Marzo, 2022
Nome: 
Fausto Raciti

A.C. 243-A

Grazie Presidente. Credo che in premessa sia necessario dire poche cose, ma chiare, sul significato del provvedimento che noi oggi stiamo discutendo. Non si tratta di una legge sulla libertà religiosa - della quale pure ci sarebbe bisogno nel nostro Paese, visto che siamo fermi ancora alla normativa dei culti ammessi – e, nella consapevolezza dei limiti che abbiamo come legislatori in una società liberale, non è stata nostra intenzione con questa legge provare a definire quale sia il confine di ciò che riteniamo islamico e cosa non. Non è stata nostra intenzione entrare in una materia di definizione religiosa dei fenomeni - che non appartiene ai nostri compiti - né cercare di intervenire sull'organizzazione dell'Islam italiano, perché non sono questi gli obiettivi che noi ci siamo dati.

Questa è una legge che ha l'ambizione di creare strumenti per arrivare prima delle Forze dell'ordine e prima del codice penale. È, in altre parole, una legge che ha l'obiettivo di prevenire l'affermarsi di un fenomeno, che le nostre società europee hanno conosciuto, in maniera particolare dagli anni 2000 in poi, che va sotto il nome di radicalizzazione dell'Islam o, per chi preferisse viceversa, di islamizzazione del radicalismo. È un fenomeno presente nelle nostre società, che ha fatto capolino in drammatici fatti di violenza della cronaca europea, rispetto al quale il nostro Paese, con gli strumenti che ha e di cui si dota attraverso questa legge, cerca di arrivare in anticipo, con le armi del dialogo, del confronto e con l'individuazione di un preciso limite. A noi non interessa mettere alla berlina le forme di devozione islamica. A noi interessa evitare e fermare questo fenomeno prima, evitando che un fatto religioso che riguarda miliardi di persone nel mondo e milioni di persone in Europa, possa essere trasformato in un fatto di violenza, possa superare il confine della violenza. Rispetto a questo, noi vogliamo intervenire e vogliamo arrivare prima.

I nuovi strumenti di comunicazione, l'affermazione progressiva dei social network e la destrutturazione delle nostre società hanno portato ad una pericolosissima polverizzazione di questo tipo di fenomeni che richiedono un approccio particolarmente capillare e strumenti integrati che attraversano i luoghi diversi di una società: le scuole e le moschee, ma soprattutto i luoghi in cui questa radicalizzazione si sviluppa, ossia le carceri perché è lì che storicamente ha sedimentato e rischia di sedimentare in futuro un fenomeno che, fino a questo momento, il nostro Paese è stato in grado di contenere e gestire.

Con questa norma, costruiamo uno strumento in più, mettiamo a disposizione del Paese strumenti in più e lo facciamo in una logica di dialogo aperto tra Stato e confessioni religiose; non lo facciamo in una logica di marginalizzazione di una fede, anzi lo facciamo, cercando il pieno coinvolgimento dell'Islam italiano, con la speranza che le pagine oscure che ha vissuto la nostra Europa negli ultimi anni non si ripresentino o si ripropongano più a noi. Spero sia possibile fare questo, arrivando prima e offrendo una via di uscita a chi rischia di trovarsi prigioniero della trappola della radicalizzazione.

Per questo, oltre ai percorsi di prevenzione, come ha detto, in precedenza, il relatore Fiano, prevediamo percorsi di deradicalizzazione che consentano il passo indietro rispetto a scelte che ancora non si sono manifestate nella loro forma violenta e il recupero e la reintegrazione di coloro i quali finiscono nella trappola della propaganda jihadista e del proselitismo sia che esso sia mosso da grandi organizzazioni e grandi network internazionali, sia che sia mosso da quelli che le reti antiradicalizzazione in Europa si limitano a chiamare leader, cioè coloro i quali si pongono nella posizione di chi deve educare e aprire la strada alla violenza.

La norma che oggi discutiamo apre il punto di osservazione anche a forme di radicalizzazione di altra natura, ossia a forme di radicalizzazione che hanno a che fare non con la radicalizzazione religiosa, ma con la più tradizionale radicalizzazione ideologica o politica, alla quale tra l'altro siamo più abituati; con riferimento alla radicalizzazione, ancora una volta, il tema non è la profondità di una scelta, ma la disponibilità a fare ricorso alla violenza nel nome di una scelta, che è un'altra cosa. Anche questi sono fenomeni che, purtroppo, il nostro Paese, più di ogni altro Paese europeo, probabilmente, conosce in maniera approfondita per aver attraversato anni in cui la radicalizzazione politica ha minacciato di compromettere o ha compromesso la stabilità democratica del nostro Paese. Nel corso degli anni, ci siamo dotati di strumenti repressivi molto forti che hanno dimostrato tutta la loro brutale efficacia.

Anche da questo punto di vista, manca però una cultura della prevenzione, una politica della prevenzione, strumenti della prevenzione che, con questa norma, cerchiamo di offrire alla nostra Repubblica.

Per queste ragioni, e mi avvio a concludere, esprimo soddisfazione per il lavoro che è stato svolto in una logica - attenzione - di dialogo parlamentare.

Nel percorso che abbiamo costruito in sede di Commissione affari costituzionali, anche con riferimento agli aspetti più delicati di questa norma, non vi è stato mai il confronto di chi ha cercato di imporre la propria verità e il proprio punto di vista agli altri, ma vi è stata la continua ricerca di una sintesi, di un punto di equilibrio. Un punto di equilibrio, molto difficile, tra il rispetto dei nostri poteri e di quelli dello Stato, in una società liberale, e la necessità di costruire strumenti che evitino in Italia la diffusione di fenomeni - che, nel resto d'Europa, sono all'ordine del giorno e sono stati parte dell'agenda di discussione pubblica - e di altre forme di radicalizzazione che oggi, probabilmente, non abbiamo così presenti, ma che sono attive e operanti, anche alla luce di un quadro internazionale, all'interno del quale alcuni messaggi ideologici e alcune forme di radicalizzazione stanno probabilmente attecchendo nelle nostre società più di quanto noi stessi siamo disposti ad ammettere.