Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 20 Giugno, 2018
Nome: 
Gianluca Benamati

AC 675

 

Come già è stato detto, questo decreto che stiamo convertendo è, direi, un decreto di correttezza; il Governo Gentiloni, come è successo anche con l'Autorità, con l'ARERA, lascia, ponendo uno scambio termini nella gestione commissariale di Alitalia, spostando a ottobre di quest'anno il termine della gestione, e posticipa i tempi per la restituzione del prestito ponte che, voglio ricordare a me stesso e non a qualche collega, è stato ed è uno strumento essenziale nel garantire la sopravvivenza nella fase commissariale di questa realtà industriale, di questa compagnia, e lo fa per lasciare al nuovo Esecutivo tutto il tempo che serve per acquisire informazioni e maturare una scelta consapevole sul destino di Alitalia. Alitalia che, signora Presidente, è una vicenda modello, paradigmatica nella storia di questo Paese; nella mia esperienza parlamentare, non cortissima, questa è la terza volta che mi occupo di una crisi Alitalia.

L'Alitalia nasce nel 1946, attraversa la ricostruzione del Paese, il boom industriale, come simbolo dell'Italia nel mondo e di efficienza e puntualità, all'epoca. Cominciano le difficoltà negli anni Ottanta, nei primi anni Novanta, quando la politica e decisioni sbagliate – è già stato detto -, da un punto di vista industriale, cominciano a distaccare il destino di questa compagnia, della nostra compagnia, allora, di bandiera, dal destino delle grandi compagnie europee. Il crollo del traffico dei primi anni Duemila, in conseguenza degli attacchi terroristici di New York, la mancata fusione con KLM, fanno precipitare la situazione sino a che, nel 2007, si verifica la madre di tutti gli errori. Il Governo Prodi aveva trattato con la Francia, con l'Air France una fusione aziendale che avrebbe dato luogo al più grande vettore europeo, uno dei maggiori player mondiali; a fronte di un miliardo e 700 milioni di costo per Air France e di ingresso dello Stato italiano insieme allo Stato francese nel capitale di quel grande vettore mondiale, la politica decide di costruire una cordata di imprenditori italiani che poco sapevano di volo, tranne forse avere volato essi stessi qualche volta e, quindi, nasce la Compagnia Aerea Italiana che parte addossando al pubblico tutti i costi, parliamo di alcuni miliardi, mettendo fuori sette o ottomila persone e dando allo Stato un obolo di un miliardo. Lì, nasce l'errore che ancora oggi stiamo pagando (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico); lì, c'è il germe di questa crisi, perché quella compagnia - e lo dico per i più smemorati, in quest'Aula - quella compagnia che doveva produrre utili ha prodotto un miliardo e mezzo di perdite, in alcuni anni. E anche l'ingresso di Etihad, un partner industriale, è stato fatto perché, viva Dio, si rendeva necessario che qualcuno capisse qualcosa di strategie industriali di volo; forse col senno di poi, non era il partner migliore, ma il mondo è andato avanti e oggi ci troviamo a discutere di altre situazioni.

Allora, lo dico onestamente, la situazione di Alitalia io la fotografo solo con un numero, non con tanti bilanci, non con tanti ricavi, non con tante perdite. Nel 1990 la compagnia di bandiera, allora, su un mercato di 50 milioni di passeggeri ne trasportava 25, la metà; nel 2017, su 177 milioni di passeggeri ne ha trasportato il 15 per cento; questo è il fallimento vero di questo sistema industriale.

E, allora, due osservazioni, signora Presidente, la prima l'ho sentita già in interventi che ci hanno preceduto: è finito il tempo di Alitalia? C'è uno spazio per un'azienda di questo tipo, un'azienda di volo in Italia? La nostra risposta è “sì”, lo è stata coi fatti, lo è stata con l'avvio della procedura di amministrazione straordinaria, nel credere ancora una volta che ci sia una possibilità e un mercato per una compagnia aerea domestica che abbia in Italia i suoi scali logistici, che faccia del nostro Paese il centro delle sue attività. Lo crediamo, perché, naturalmente, il nostro è un grande Paese industriale, turistico e manifatturiero, perché le esigenze dei voli a lungo raggio, nel nostro Paese, non sono soddisfatte dalla disponibilità diretta; lo crediamo perché una compagnia di questo tipo ha un mercato e può dare un sostegno all'economia, all'economia turistica, industriale e di servizi del nostro Paese, può essere un vettore di sviluppo, oltre che di trasporto aereo. Ma qui dobbiamo fare i conti con il mondo, è semplice chiuderci in noi stessi, ma il mondo è cambiato in questi anni, i grandi vettori europei sono diventati aggregazioni internazionali: la Lufthansa un grande polo, la British Airways un altro, l'Air France un altro ancora. Con quel mondo dobbiamo fare i conti, non con nazionalizzazioni anacronistiche. Dobbiamo costruire qualcosa che sta nel mondo e che non costi ancora ai contribuenti italiani.

E qui c'è la seconda delle osservazioni che volevo fare, signora Presidente, e riguarda l'Alitalia come banco di prova. Questo - ho detto - è un decreto-legge di correttezza, perché rimette nelle mani del nuovo Esecutivo gialloverde la scelta su quello che sarà il futuro di questa Compagnia. E qui devo dire che chiamiamo direttamente nell'agone il Ministro Di Maio, il Ministro che ha riunito nelle sue mani, giovani ma possenti a quanto pare, sia il Ministero dello sviluppo economico che il Ministero del lavoro. E dico che questo Ministro è il più importante di questo Governo, e non tanto per avere combinato questi due dicasteri, e non tanto perché ovviamente vediamo il suo competitor, la sua controparte, all'interno del Governo, senatore Salvini, sempre sui giornali, ma diciamo che è il Ministro più importante perché ha in mano le chiavi del futuro di questo Paese, perché è in quei ministeri e nelle scelte che esso farà che si declinerà il futuro nel nostro Paese.

Noi abbiamo letto, come molti, il contratto di Governo, ovvero l'accordo che sostiene la coalizione fra la Lega e il MoVimento 5 Stelle e in questo accordo ci sono tante cose, tante cose che riguardano tanti settori, signora Presidente. Secondo noi c'è una grande mancanza, però, ed è la politica industriale, che non viene citata all'interno di quel documento. Per noi, per un gruppo politico come il nostro, per un gruppo parlamentare quale quello nostro, per cui l'industria e la manifattura sono stati, sono oggi e devono rimanere elementi portanti dell'economia italiana, questa non è una mancanza da poco.

Credo che manchi una ‘visione Paese', lo dico, signora Presidente, per suo tramite, al Ministro Di Maio oggi non presente, perché questo è un Paese che vive aperto al mondo. Acquistiamo materie prime, le trasformiamo, le rendiamo al resto del mondo come prodotti finiti. Così, nei secoli, si è gestita la prosperità e la ricchezza di questa nazione, di questo popolo e di questa terra. Quando ci siamo chiusi in noi stessi, siamo stati poveri ed emarginati.

L'ultimo esempio, signora Presidente, sono stati gli anni Cinquanta e Sessanta: un Paese piagato dalla guerra, un Paese ancora agricolo. I nostri padri, con la grande opportunità del mercato unico europeo, sono diventati la fabbrica d'Europa, hanno inondato l'Europa e il mondo di automobili, di televisori, di frigoriferi e di tutti gli elettrodomestici possibili. Siamo stati cinesi ante litteram del mondo e abbiamo dato a noi, i nostri padri hanno dato a noi, benessere e prosperità. Cerchiamo di non dimenticare queste lezioni, mentre parliamo di dazi, di muri in economia, di ritorsioni commerciali, cerchiamo di non dimenticare chi siamo e dove andiamo.

E Alitalia, quindi, dicevo, è un banco di prova per una soluzione di politica industriale, che, nell'attesa di vedere dispiegata come programma coerente, ci può dare delle indicazioni. Noi abbiamo in mente soluzioni che stanno sul mercato, che sfruttino il grande bacino di mercato interno di passeggeri, che sostengano lo sviluppo del Paese, che salvaguardino l'occupazione, parliamo di 20 mila famiglie, e che non costino al contribuente.

Quindi, queste sono le ragioni che chiediamo al Governo: lavoro, crescita, anche su Alitalia, e quando il Governo farà delle proposte, noi lo incalzeremo nelle Commissioni permanenti che vanno a nascere: noi saremo lì a discutere di lavoro, di occupazione e di crescita, perché queste sono le ragioni fondanti del nostro partito e del nostro gruppo politico