A.C. 2285
Grazie, signor Presidente. Il decreto Ilva, come è stato peraltro ricordato, è diventato una specie di appuntamento annuale; una tradizione di cui, però, credo che nessuno in quest'Aula dovrebbe andare fiero, perché vuol dire che, se ci troviamo ogni anno qui a rinnovare il decreto, resiste, direi maledettamente resiste, la piaga dell'Ilva a Taranto, con tutti i suoi drammi di natura industriale e sociale.
In questo momento, come è noto, Ilva è interessata da una nuova operazione di compravendita, e tutti ci auguriamo, evidentemente, che questa volta si possa arrivare a un lieto fine, che però non può essere chiaramente solo la firma sull'ennesimo contratto di acquisto, perché questa storia i tarantini e gli italiani l'hanno già vissuta e vorremmo evitare, francamente, per il futuro, che si ripeta. Ci piacerebbe che il nuovo acquirente non fosse un “Mittal 2, la vendetta”.
Chi comprerà l'azienda dovrà dare garanzie certe e solide soprattutto di essere nelle condizioni di investire per garantire quella transizione ambientale che può portare un'industria strategica per il nostro Paese a produrre acciaio in maniera compatibile con l'ambiente, senza più provocare gli immani lutti e drammi sociali che ha provocato, perché altrimenti sarà un capitolo, l'ennesimo capitolo di una storia che abbiamo già visto e che, ripeto, come ho già detto, speriamo non si ripeta.
Faccio queste premesse perché il territorio tarantino, ma in realtà credo qualunque parlamentare pugliese presente in quest'Aula, vive questo passaggio con estrema frustrazione, perché, come è noto, a parte qualche velina di palazzo o qualche notizia di stampa, nessuno di noi sa nulla di come sta andando la trattativa per la vendita di Ilva, e ci sembra quantomeno paradossale che il territorio e i suoi rappresentanti siano tenuti fuori totalmente dalle informazioni relative all'avanzamento. Non credo, onestamente, che sia un comportamento che il territorio pugliese, in particolare quello tarantino, meriti.
Tuttavia, se il buongiorno si vede dal mattino, questo provvedimento non è certamente un buon viatico, anche per quello che potrà succedere in futuro. Perché, da un lato, ci si limita a ridurre e a sottrarre ancora risorse al cosiddetto patrimonio destinato, che, come è stato anche ricordato, dovrebbe essere destinato appunto alle opere di ambientalizzazione, e quindi con il paradosso straordinario, direi persino incredibile, che le somme che sono da destinare all'ambientalizzazione continuino a essere utilizzate per consentire all'impianto di produrre, in un loop storico che davvero è estremamente particolare e peculiare. In un luogo dove è stato fatto un processo per inquinamento del ciclo alimentare e dove si suppone o si immagina si debbano spendere soldi per un'ambientalizzazione e per un recupero di un'area martoriata, si continua ad alimentare lo strumento che perpetua quell'inquinamento.
Mi sembra una totale e completa follia, una pagina vergognosa, credo, per tutto il Paese, non evidentemente solo per una parte politica. Credo che la politica in genere abbia enormi responsabilità, tutta, per la vicenda di Ilva. Si è detto anche che il decreto recupera alcune delle linee e dei principi della sentenza della Corte di giustizia del 24 giugno scorso, ed è vero perché si prevede l'aggiornamento dei criteri per la valutazione di danno sanitario e la si fa rientrare anche nella procedura di riesame dell'AIA, però in una modalità del tutto peculiare, su cui tornerò a breve.
Intanto torniamo un attimo a questo patrimonio destinato, che, per evitare confusioni - lo ricordo a quei pochissimi interessati che sono in quest'Aula -, deriva sostanzialmente dal sequestro di un'ingente quantità di denaro alla famiglia Riva, con l'obiettivo dichiarato di utilizzare quelle risorse per l'ambientalizzazione e per consentire di bloccare il ciclo di inquinamento che ha portato a conclamate situazioni di drammaticità di natura sanitaria.
Nel corso delle audizioni tenute al Senato su questo decreto i commissari straordinari, però, ci hanno offerto un quadro davvero desolante dell'utilizzo di queste risorse, un miliardo e 164 milioni di euro. Di quel miliardo e 164 milioni, 325 milioni sono stati utilizzati per l'ambientalizzazione, e questa somma sale a 410 semplicemente perché una parte dei lavoratori sono stati pagati con quei soldi per lavorare per Ilva, ma per fare attività di ambientalizzazione interne alla fabbrica. Per il resto, con questi ulteriori 250 milioni che autorizzate in questo decreto, siamo arrivati a 550 milioni di euro, attraverso i quali la fabbrica continuerà a produrre.
Quindi il Governo - questo dobbiamo dircelo in maniera chiara, lo dico anche ai miei colleghi dell'opposizione - conferma una scelta: la produzione, anche con impianti obsoleti, deve andare avanti per far sì che chi compra possa farlo alle condizioni migliori dal punto di vista industriale - questo deve essere chiaro -, indipendentemente dal fatto che la fabbrica sia in grado o meno di interrompere il ciclo di inquinamento che ha provocato in questi anni. Ho la netta impressione che la Presidente Meloni si sia dimenticata che Ilva ha causato un inquinamento della catena alimentare con conseguenze direi ormai permanenti su uomini, animali e piante.
Però, torniamo al tema delle autorizzazioni, perché è un tema peculiare che merita di essere approfondito. Intanto occorre ricordare che l'AIA, quella attraverso la quale l'azienda sta ancora funzionando, è scaduta soltanto ad agosto 2023, cioè quasi due anni fa. Le nuove norme, quelle che stiamo esaminando, cercano di tradurre in legge i rilievi fatti dalla Corte UE e, peraltro, avanzati più volte in varie sedi dalla regione Puglia, perché si procede finalmente all'aggiornamento del decreto ministeriale che definisce i criteri metodologici da seguire per la redazione della VDS, ossia la valutazione del danno sanitario, includendo finalmente criteri predittivi, cioè quei criteri che, grazie al progresso della scienza, consentono di predire il rischio per la salute nei casi come quello di Ilva, con inquinamenti durati nel tempo. L'AIA, poi, dovrà essere - e questo lo dice il provvedimento - redatta alla luce dei risultati della VDS, facendo in modo che l'autorizzazione integrale ambientale tenga conto degli elementi di valutazione sanitaria. Infine, si chiede al gestore dell'impianto - e questo è il passaggio più interessante - nelle more di predisporre una valutazione di impatto sanitario in attesa dell'aggiornamento dei criteri della VDS.
Però, queste pur corrette previsioni sembrano viziate da diversi aspetti tecnici, che abbiamo cercato di correggere in tutto l'iter di esame del provvedimento. Il primo e più importante - credo in assoluto il più significativo - è che la regione e, in particolare, ARPA, Ares e le ASL sono completamente escluse dall'ambito di valutazione del rapporto della VDS. Francamente, questo è un errore incomprensibile e preoccupante, considerato il contributo che, spesso in assoluta solitudine, gli organi regionali hanno offerto in questa lunga agonia di Ilva o con organi che, come è noto, si sono occupati, in maniera direi quasi esclusiva in alcuni casi, delle tematiche relative all'Ilva, che hanno realizzato studi con alcuni tra i più importanti istituti di ricerca mondiali e che hanno dimostrato - e anche questo è un dato incontrovertibile di cui il Governo non tiene conto - che c'è una diretta corrispondenza tra l'incremento, per esempio, delle patologie oncologiche o addirittura l'aumento delle malattie dello spettro autistico con le emissioni e con l'inquinamento della catena alimentare a Taranto.
In secondo luogo - e questo è l'altro elemento che desta inquietudine -, la VIS, che, come ho detto, sostituirà la VDS nel breve periodo in cui verranno aggiornati i criteri, fa riferimento esclusivamente ai criteri del decreto legislativo n. 155 del 2010, che, però, riguardano in maniera esclusiva gli aspetti di qualità dell'aria. Dunque, mi chiedo come sia possibile - ma veramente questa è una questione di buonsenso, devo dire - immaginare che quei criteri, quelli relativi all'inquinamento dell'aria, siano sufficienti per descrivere e per inquadrare un inquinamento la cui natura chiaramente non è solo legata all'aria ma è un inquinamento che, come è stato detto e come è stato dimostrato in sentenze, in atti depositati e in perizie di tutti i tipi, ha già compromesso la catena alimentare. Quindi, è una mancanza di lungimiranza e di prospettiva che è incomprensibile, salvo che, come ho detto, non serva a consentire all'acquirente di non avere l'impiccio di andarsi a impelagare con procedimenti autorizzativi o di valutazione troppo complessi, perché il concetto rimane sempre lo stesso: si accomodi qualcun altro al posto di Mittal e cerchiamo di far entrare questo qualcun altro senza arrecargli troppo disturbo.
Io voglio soltanto leggere, perché è importante, quanto ha detto l'Istituto superiore di sanità rispetto alla VIS presentata dagli attuali commissari di Acciaierie d'Italia (è brevissimo): “Il rischio sanitario è stato gravemente sottostimato, poiché gli scenari emissivi analizzati non includono alcuni inquinanti rilevanti per la salute pubblica. Inoltre, la valutazione dell'esposizione per via orale, che dovrebbe stimare il possibile impatto della contaminazione sulla catena alimentare, è risultata carente e limitata a pochi contaminanti e alimenti”. Questo lo dice l'Istituto superiore di sanità ed è la stessa conclusione a cui è arrivata la VDS della regione Puglia nel 2024.
A questo punto, come ho detto, il dubbio che si voglia consentire al fantomatico acquirente di non avere troppi ostacoli, di non frapporre troppi ostacoli e, quindi, di andare a vendere la merce rappresentata da Ilva nel modo più rutilante possibile diventa quasi una certezza e ritornano, devo dire con grande tristezza, in mente alcuni scenari confusi e anche misteriosi che hanno accompagnato le trattative fra l'allora Ministro Fitto e Mittal, con quei patti segreti e concessioni alla multinazionale franco-indiana. In quel caso a Mittal fu consentito di proseguire l'agonia produttiva di Ilva fregandosene in maniera chiara dell'ambiente, in un balletto umiliante fra un Ministro, Raffaele Fitto, che sottraeva a un altro Ministro, Urso, il dossier, salvo poi scappare a Bruxelles con la sua valigia carica di fallimenti e quella confusione non è mai stata chiarita dal Governo. Questo provvedimento appare, in maniera inquietante, preordinato proprio ad autorizzare un assetto produttivo indipendentemente dal fatto che esso sia realmente compatibile con l'ambiente.
Per questo motivo, peraltro, alcuni soggetti, tipo l'Istituto superiore di sanità, possono dire la loro, ma senza che questo parere sia minimamente vincolante, e altri, come la regione Puglia, devono stare fuori da quel tavolo, non devono entrare in contatto con la procedura di valutazione, perché - ripeto - possono creare danni alla trattativa che, in questo momento, è l'asset principale su cui il Ministro Urso cerca di fondare la vendita di Ilva.
In sede di esame, sia alla Camera sia al Senato, abbiamo avanzato decine di proposte emendative, tutte strettamente mirate a migliorare questo testo e a garantire - lo diciamo in maniera chiara - non la chiusura di Ilva - non la chiusura di Ilva! - ma la possibilità che finalmente Ilva produca acciaio, che è strategico per il Paese, in maniera rispettosa dell'ambiente e senza ammazzare i tarantini. Emendamenti per correggere le richiamate storture di tipo tecnico, affinché le procedure di valutazione siano davvero capaci di incrociare i rischi per la salute e per l'ambiente, emendamenti per ripristinare le risorse sottratte alle bonifiche e garantire, comunque, altri soldi per gestire la fase di transizione per la cessione, emendamenti per coinvolgere gli enti locali, emendamenti per trasformare in legge le confuse dichiarazioni del Ministro Urso rispetto alla partecipazione dello Stato nella nuova società, emendamenti per rendere più sicura la fabbrica per tutti coloro che ci lavorano, emendamenti per rendere cogente l'impegno che tutti noi abbiamo preso con Taranto per la decarbonizzazione, perché, a prescindere dal livello di produzione, un fatto è innegabile: è proprio il ciclo integrato, è proprio la presenza del carbone che rende quell'azienda incompatibile col territorio. Questa cosa prima la capite e prima riusciamo a ripartire con un impianto che - ripeto - è strategico per il nostro Paese.
Tutti questi emendamenti ça va sans dire sono stati respinti e lo scenario devo dire che è molto fosco, perché la strategia è fatta da un Ministro che passerà alla storia per essere quello del calo della produzione industriale ininterrotto da 24 mesi, ma soprattutto - questo consentitemi di dirlo, perché riguarda anche la Puglia - è lo stesso Ministro che ha consentito a ENI di liquidare la chimica di base e poi lo stesso giorno ha fatto un comunicato stampa rutilante in cui aderiva alla rete degli Stati europei per promuovere e tutelare la chimica di base (un Ministro quanto meno confuso). L'obiettivo, quindi, è la cessione di Ilva col minimo di garanzie per il territorio e per l'ambiente e il massimo di rassicurazioni per chi acquisterà. Buona fortuna a tutti.ste