A.C. 2285
Signor Presidente, onorevoli colleghi. È la terza volta, nel giro di appena due anni e mezzo, che questo Governo interviene sull'ex Ilva e, a parte il secondo commissariamento, purtroppo la solfa pare essere sempre la stessa: gettare altri soldi per garantire la continuità produttiva di una fabbrica che è ormai vecchia e nociva. Per di più, lo si fa ingenerando il solito disgustoso paradosso: proprio i soldi che dovevano servire alle bonifiche vengono sottratti ai loro fini, per permettere di inquinare ancora.
Con questo decreto, l'ho detto prima in fase emendativa, si arriva a 550 milioni di euro tolti al patrimonio destinato e agli interventi di ambientalizzazione.
Ripeto per chiarezza, perché evidentemente alcuni colleghi non lo hanno ascoltato bene: del totale di 1.100.000.000 di euro sequestrati ai Riva per ripristinare i danni fatti, l'esatta metà è stata utilizzata per altri scopi per cui erano stati sequestrati. Anzi, per uno in particolare: continuare a produrre con le stesse modalità inquinanti che ne hanno giustificato il sequestro agli stessi Riva.
Alle bonifiche - lo hanno chiarito i commissari in audizione al Senato - sono andati appena 400 milioni, poco più di un terzo del totale. La verità è che quella dell'ex Ilva ha smesso di essere una questione nazionale ed è diventata una semplice vicenda di palazzo, il cui esito sarà deciso nelle segrete stanze di qualche Ministero sulla base di decisioni e obiettivi che a tutti noi restano sconosciuti, e anche questo decreto, che poteva essere l'occasione per disvelare una discussione franca, non è stato, evidentemente, un'occasione raccolta.
Da quando è stato avviato l'iter per la cessione dell'azienda, il Parlamento, il Paese e Taranto scoprono le novità di quanto accade semplicemente dagli articoli di giornale. Nel frattempo, il Governo latita e nell'opinione pubblica ci si deve accontentare di qualche velina e dichiarazione del Ministro Urso. Insomma, state scrivendo una storia fatta di omissioni e silenzi, e questi silenzi - mi riferisco ai colleghi della maggioranza e al Governo - prima o poi finiranno per ritorcersi contro il Paese, e quei pochi fatti che finora abbiamo visto vanno nella direzione opposta a quella auspicata. Un esempio: quanto questo Governo ha fatto sull'accordo stipulato per il DRI, ossia quell'impianto per la produzione del preridotto di ferro, di cui evidentemente qualche cranio disabitato ha dimenticato l'esistenza. Il DRI è o era uno dei presupposti per cui si stava investendo un miliardo di euro, messo dal Governo Draghi, per consentire una graduale, ma decisa decarbonizzazione degli impianti.
Da mesi non ne sappiamo più nulla, il DRI è, di fatto, scomparso dai radar, a fronte del fatto che si era svolta anche una gara per individuare il soggetto che avrebbe dovuto realizzare l'impianto, ma il Governo pare non parlarne più. D'altronde, l'obiettivo - lo abbiamo ripetuto a più riprese in queste settimane - non sembra più assicurare la transizione a fonti green della produzione siderurgica, la priorità è diventata un'altra: dobbiamo sbarazzarci dell'acciaieria, poco importa se dal giorno dopo l'ex Ilva riprenderà a ricoprire Taranto con una coltre di polvere rossa, che evidentemente pochi hanno avuto modo di vedere; poco importa se moriranno altre persone e si ammaleranno altri bambini, come una recente indagine pubblicata su riviste scientifiche di primissimo piano ha potuto acclarare. Poco importa, perché il Governo Meloni ha deciso che bisogna chiudere la pratica, e così sarà, le promesse fatte sono destinate a restare tali. Peraltro, questa mattina la Presidente del Consiglio ha avuto anche l'ardire di affermare che la decarbonizzazione deve essere sostenibile e deve servire a ridurre le pericolose dipendenze strategiche con l'estero.
Ci vuole coraggio ad affermarlo, signor Presidente, perché allo stesso tempo ci pare si stia stendendo un tappeto rosso ai concorrenti azeri. Un segnale chiaro lo state dando in queste settimane: ci serve il vostro gas, prendetevi l'Ilva. Poi però bisogna considerare le conseguenze di ciò che si fa, e una delle ripercussioni è proprio aumentare quella stessa dipendenza strategica con l'estero che oggi pomeriggio, a detta della Presidente del Consiglio, si vuole diminuire. Sì, perché il Governo azero è il proprietario di quella industria che vorrebbe rilevare le quote dell'ex Ilva, e il cui capitale sociale è interamente posseduto da quel Governo, che è fortemente legato a quello che pare oggi essere diventato - non si capisce bene per questo Governo - un quasi amico, e cioè Putin.
Il futuro di questa fabbrica, insomma, pare segnato e questo decreto, che si fa beffa delle procedure di valutazione del danno sanitario, ne è una prova lampante, perché l'Ilva continuerà sulla strada del carbone e l'Italia dovrà rassegnarsi, come è successo anche con la chimica di base, a dipendere da terzi per alimentare la sua industria nazionale. Almeno sulle parole del Ministro Urso, rispetto alla partecipazione dello Stato nella nuova società, ci aspettiamo quella corrispondenza tra promesse e fatti che non riuscite praticamente mai ad assicurare.
Ci auguriamo che riusciate ad essere consequenziali almeno questa volta. Noi, se voi intraprenderete questa strada, ci saremo, come abbiamo detto sin dal primo momento. Ci auguriamo che la presenza dello Stato italiano funga da garanzia per tutti coloro che si aspettano dei progressi e delle rassicurazioni. Ce lo auguriamo per davvero. Dopodiché, però, lo Stato deve dimostrarsi in grado di tutelare i deboli in tutta questa vicenda. I lavoratori in primis, perché delle trattative non sappiamo nulla, ma ancor meno sappiamo sui piani occupazionali e sulla ricollocazione di eventuali esuberi.
Non sappiamo quali saranno i livelli produttivi e non sappiamo di conseguenza quanti dipendenti potranno essere assorbiti dalla nuova società. Eppure, sarebbe vostro dovere informare quelle migliaia di lavoratori su quale sarà il loro futuro. Una cosa è certa, Presidente, noi non permetteremo più che questa ennesima transizione si trasformi in un altro salto nel vuoto e che il prezzo di questo passaggio di consegne venga ancora una volta pagato dai lavoratori dell'ex Ilva.
In secondo luogo - ma è il fulcro dell'intera vicenda - c'è il tema ambientale. Questo decreto è il simbolo dell'indifferenza di questo Governo rispetto alla tutela di beni superiori come l'ambiente e la salute delle persone. È un provvedimento che usa la peggiore delle ipocrisie: con la scusa di dare attuazione a quella sentenza europea che ha dato ragione ai cittadini tarantini, state creando le condizioni per truccare le carte e permettere al nuovo acquirente di produrre ben al di là dei limiti di sostenibilità ambientale e sanitaria. È in questo modo - l'unico a vostro avviso - che si deve leggere l'esclusione di tutti gli organi tecnici delle regioni coinvolte dalle attività di valutazione del danno sanitario.
Ed è sempre e solo così che si può intendere il ruolo minore e ininfluente a cui avete relegato l'Istituto superiore di sanità, quello stesso istituto che, appena qualche settimana fa, ha detto che il rischio sanitario risulta inadeguato per sottostima rispetto a quanto prodotto dagli stessi commissari di Stato. E allora, come si può credere nella buona fede di chi cerca continuamente degli escamotage per superare vincoli ambientali e sanitari? Come si fa, Presidente, a pensare che il futuro di Taranto e dei tarantini sia in buone mani con chi chiude entrambi gli occhi davanti a questa vergogna? Tre anni fa, il rapporto del Consiglio per i diritti umani dell'ONU ha incluso l'area di Taranto tra le zone di sacrificio.
Voi non solo non state facendo nulla per migliorare il futuro di quella comunità, ma addirittura negate che lì vi sia un sacrificio, che lì si muoia per una fabbrica che è potenzialmente tossica e che lì si possa nascere con delle malformazioni e vivere molto, molto meno di quanto si dovrebbe. Raccontate una realtà che semplicemente non esiste. Allora intendiamoci, Presidente. Qui bisogna avere rispetto per la sofferenza di persone che hanno portato sulle spalle, per decenni, tutto il peso di quello che era un affare di Stato.
Qui bisogna ritrovare la dignità di riconoscere il loro sacrificio e rispettare le promesse che sono state fatte sulla decarbonizzazione, sulle bonifiche e sul lavoro. È intollerabile che l'ex Ilva sia di interesse strategico solo e soltanto quando c'è da derogare alle norme e alla difesa dei diritti. Se Taranto, se l'Ilva è di interesse nazionale deve essere di questo Parlamento e di questo Governo tutelare diritti costituzionalmente inalienabili come la salute, l'ambiente e il lavoro.