Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 28 Ottobre, 2025
Nome: 
Irene Manzi

A.C. 2662

 

Grazie, Presidente. La ringrazio, signor Presidente. Ringrazio anche il collega Sasso per il trattato di pedagogia montessoriana che ci ha appena riservato. Venendo al tema di questo decreto, mi verrebbe da parafrasare un detto comune che dice: fatto di cronaca che hai, decreto-legge che trovi. È un po' nella storia di questo Governo che ha iniziato tre anni fa con il decreto Rave quella che è la tradizione di cavalcare perennemente l'onda del fatto di cronaca. Quel decreto Rave all'epoca fu adottato proprio di fronte a un evento di cronaca e fu praticamente smontato dal Parlamento, proprio perché non se ne avvertiva la necessità o l'utilità. Potrei parlare del decreto Caivano o dei mille decreti sicurezza impropri che avete adottato fino a quello che arriva oggi appunto. Un decreto Maturità che è stato adottato per stare sempre sull'onda della cronaca e sui giornali di fronte alle proteste messe in atto la scorsa estate, in occasione degli esami orali dell'esame di maturità, da parte di alcuni studenti. Condivisibili o meno, quelle modalità di protesta hanno davvero fatto rumore. Hanno fatto rumore per quello che emergeva dal gesto che quei ragazzi avevano messo in atto. Quei ragazzi lanciavano un allarme, un allarme rispetto all'adeguatezza delle modalità con cui si viene valutati, non limitate ovviamente solo all'esame di maturità, rispetto a quello che è un effettivo percorso di crescita che vivono nella loro vita quotidiana e rispetto alle condizioni di disagio che molto spesso si trovano a provare.

In quei giorni sono stati espressi tanti giudizi rispetto a quell'esame e a quel gesto di quegli studenti. Anche voi, colleghi, avrete avuto modo di confrontarvi con docenti e con dirigenti scolastici. Ecco, torno a dire che, condivisibile o meno, quella protesta però poteva rappresentare, per chi siede nelle istituzioni e per chi è più adulto, un'occasione. Poteva rappresentare un'opportunità per aprire davvero un dibattito serio, laico ed aperto invece di dividersi, come spesso siamo portati a fare, in tifoserie. Poteva essere l'occasione per chiamare e per riunire intorno a un tavolo associazioni studentesche, sindacati, famiglie e associazioni professionali del mondo della scuola per migliorarlo quell'esame, perché nessuno di noi ritiene che fosse immodificabile, ma tutt'altro. Certo, i titoli sui giornali magari sarebbero stati minori, ma si sarebbe fatto un vero favore alla scuola, perché si sarebbe avviato un processo democratico e partecipato.

E invece anche questa volta il Governo Meloni e il suo Ministro dell'Istruzione hanno pensato che fosse più utile intervenire con un decreto-legge e cambiare l'esame. Cambiarlo come? Cambiarlo in profondità rivedendone seriamente i meccanismi di valutazione, per riflettere anche sul tema della valutazione? Assolutamente no, sarebbe stato troppo complesso da fare, ci mancherebbe altro. No, si è intervenuto per cambiare nome all'esame, per tornare al rassicurante esame di maturità e, soprattutto, per intervenire per punire - come ci ha ricordato con franchezza il collega Sasso - con una sonora bocciatura quanti, in futuro, si azzardino a contestare le modalità di valutazione non sostenendo o sostenendo in realtà (alcuni di loro l'hanno sostenuto) diversamente l'esame orale. Tra l'altro, quegli studenti al termine del loro percorso non sono stati promossi perché facevano parte di una scuola buonista, tutt'altro. Sono stati promossi perché sul campo, con merito, avevano ottenuto il punteggio minimo (tra l'altro vedendosi ridurre il voto finale dell'esame di maturità alla fine del loro esame).

Ecco, per decreto, state tranquilli, da oggi tutto questo non avverrà più. Si andranno a togliere i meriti tra l'altro a voi tanto cari, acquisiti dagli studenti sul campo, sotto l'egida ovviamente del motto banale e scontato ma che suona tanto bene per il luogo comune, secondo cui i giovani - l'ha detto lei, Ministro - devono riscoprire l'importanza della fatica.

Io non so davvero cosa le abbiano fatto le generazioni più giovani. Lo dico con sincerità e con sincera partecipazione, però davvero non si capisce il senso di un'ennesima punizione introdotta a mezzo norma nell'ordinamento per ottenere un titolo in più sul giornale, in nome del motto “ordine e disciplina”.

Il ministro Berlinguer - che il collega ha ricordato - ci ricordava anche una cosa, pochi anni fa, quando non era più un ministro: che la scuola non è una purga, la scuola non è un processo autoritario imposto dall'alto ma richiede impegno, e questo non lo esclude nessuno, ma deve essere in grado di saper attrarre, di costruire un ambiente che supporta e facilita l'apprendimento, rendendolo accessibile a tutte e a tutti. È una scuola che chiunque sia docente la vive. Vive la bocciatura come una sconfitta e non come la riaffermazione dell'autorità (come ho sentito risuonare in quest'Aula).

Ecco, vive in questo modo quelle proteste e di fronte a quella generazione che c'è là fuori, che chiede partecipazione, che chiede possibilità di partecipare in questo senso e che vive una condizione di ansia e di insicurezza.

Noi avevamo due strade, colleghi: provare a cambiarla sul serio la scuola dando ascolto a quanti quotidianamente al suo interno si impegnano per fare il proprio lavoro e per far funzionare, hanno idee e proposte da poter condividere come le memorie depositate in Senato ci hanno dimostrato (bastava andarle a leggere in questo caso, ma era un'operazione non di banalizzazione, quindi poco praticabile, come sempre) e invece c'era l'altra strada più facile, quella del ritorno al passato e quella calata dall'alto. Si cambia il nome, si riduce il numero dei docenti componenti della commissione d'esame non per finalità pedagogiche ma perché c'è da risparmiare e quindi queste risorse possono servire all'erario e allo Stato e, soprattutto, per ammissione stessa del collega Sasso (che lo ha detto anche in modo piuttosto evidente) si supera un modello di scuola interdisciplinare, la possibilità appunto di sostenere un esame fondato sulla trasversalità della conoscenza (che dovrebbe essere centrale nella formazione dell'individuo) e invece si torna a un modello semplicemente trasmissivo fondato sulle materie.

Ecco, questa è la riforma del decreto maturità e riconosco la bontà di alcuni provvedimenti che sono stati inseriti. Le passerelle, per esempio, tra un percorso e l'altro; le misure relative ad Agenda Sud; i risparmi, perché non sono risorse nuove; quelli che vengono destinati al contratto sono risparmi che il Ministero aveva già nei propri fondi, e vanno bene, ma servirebbero risorse in più però e non lo diciamo solo noi, lo dicono anche trasversalmente tutte le forze sindacali; o le misure relative alla carta docente che sono state ricordate.

Ma questo non basta. Non basta ancora di più di fronte alla sanatoria - l'ennesima sanatoria - relativa ai corsi INDIRE che abbiamo ricordato nei nostri interventi in Aula in questo pomeriggio rispetto a coloro che seguono il percorso del TFA, che pagano e seguono seriamente un percorso di formazione sul sostegno.

Ecco, colleghi, dobbiamo dirvi una cosa, ancora una volta, per l'ennesima volta: mentre voi procedete con riforme pedagogicamente sbagliate ma soprattutto a costo zero, svuotate la scuola di risorse economiche e basta citare i 600 milioni di euro in meno sul triennio della legge di bilancio che è stata consegnata al Senato. Basterebbe citare le promesse (per l'ennesima volta, Ministro, ci avevamo fatto un question time poche settimane fa) relative al costo dei libri e relative alle misure a supporto delle famiglie che avevate annunciato appunto per il secondo anno consecutivo. Basterebbe parlare delle risorse nuove, fresche, che servirebbero per il contratto e non risparmi che vengono ritrovati nelle pieghe del bilancio del Ministero dell'Istruzione.

E invece no. Meglio andare avanti con l'ennesimo decreto-legge a costo zero, che ignora la stagione complessa che la scuola negli ultimi cinque anni ha vissuto e che si porta sulle spalle, la scuola e coloro che ne fanno parte: i docenti, gli studenti, le loro famiglie. Una stagione, quella della pandemia, che ha lasciato strappi profondi nel tessuto relazionale, nella fiducia del futuro, nel senso di sé, nell'ansia e nel senso di inadeguatezza, nella paura del fallimento che gli studenti provano ogni giorno e che vogliono poterci raccontare, vogliono poter condividere con noi.

Quei ragazzi non chiedono scorciatoie, signor Ministro, chiedono partecipazione e ascolto. E rispetto a quella richiesta serve una scuola che insegni loro a stare al mondo, che elimini dal vocabolario la parola fallimento. Perché serve lavorare su quella parola, serve capire e interpretare quello che la pedagogia sperimenta e scrive da molti anni a questa parte. Basterebbe solo che il legislatore abbandonasse l'ossessione normativa ad intervenire ad ogni fatto di cronaca e offrisse gli strumenti economici, gli investimenti necessari per metterla in atto, offrendo dignità al lavoro del docente in termini di retribuzione, di formazione, di qualità del lavoro. E invece questo decreto manca di un'anima, manca di un progetto didattico, di una visione e di un obiettivo se non quello di accendere l'ennesimo dibattito a inizio anno scolastico, e non è questo quello che serve alla scuola. Se per crescere nel futuro… serve un intero villaggio, in quelle aule si trova il futuro del nostro Paese e a loro va dedicato tempo e passione.