Discussione generale
Data: 
Lunedì, 26 Giugno, 2023
Nome: 
Maria Cecilia Guerra

A.C. 1238

Grazie, Presidente. Voglio dirle, Presidente, che sono rimasta molto colpita dall'intervento della Vice Ministra, che ha detto una cosa che mi ha proprio lasciato interdetta, cioè che questo decreto, che oggi discutiamo, è finalizzato all'inclusione e al lavoro. Invece, io vorrei cercare di argomentare che questo decreto è finalizzato all'esclusione e al lavoro povero e precario e, quindi, proprio al contrario di quello che è stato detto.

Per quanto riguarda la questione dell'inclusione, non si può dire che questo decreto è finalizzato all'inclusione quando l'intervento di riforma, con le cosiddette misure di contrasto alla povertà - che non sono tali, perché tutti gli studi fatti, da studiosi dell'accademia così come dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio parlamentare di bilancio, danno esattamente lo stesso esito -, comporterà che tra i 400.000 e i 500.000 nuclei familiari rimarranno, dopo questo intervento, senza quell'aiuto che prima avevano e che si chiamava reddito di cittadinanza (400.000 o 500.000 nuclei familiari). Come si fa a dire che stiamo includendo?

Invece, stiamo escludendo e di questi 400.000 il 33,6 per cento sono esclusi non perché occupabili, come ci viene detto, ma per mancanza di requisiti familiari. Cosa vuol dire questo? Che non si trovano, perché questa è la loro situazione, in una famiglia in cui ci sia anche un minore, un anziano oltre i 60 anni - e anch'io sono anzianissima, allora, secondo quel criterio - o una persona con grave disabilità. Perché il fatto di avere o non avere in famiglia quel tipo di persona mi rende occupabile o no? Questa è veramente una questione assurda e nessun altro Paese europeo - nessun altro! - usa un criterio di occupabilità che sia legato a condizioni anagrafiche. L'occupabilità è legata alla tua esperienza di lavoro, alle tue caratteristiche psicofisiche, al fatto che tu abbia una qualifica maturata anche attraverso i tuoi studi, al tempo che è trascorso dall'ultima volta che hai avuto un'occasione di lavoro. Questa è l'occupabilità e questa era anche l'offerta congrua di lavoro di cui si discuteva quando ancora si ragionava su questi temi.

Gli altri 100.000 sono buttati fuori perché i vincoli economici, quindi la condizione di povertà, è valutata con criteri più stretti. È inclusione questa? Non so, potrebbe essere. Per esempio, vengono buttati fuori, appunto, circa 100.000 nuclei familiari perché non si tiene più conto della spesa per l'affitto e, quindi, la soglia di reddito familiare per poter entrare è 6.000 euro, mentre prima era di 6.000 euro ma se eri in affitto la soglia saliva a 9.630 euro (adesso non ricordo esattamente l'importo).

Si teneva conto che non è la stessa cosa campare sul reddito se hai la casa o se devi pagare l'affitto. Questa cosa non viene più considerata e 100.000 nuclei familiari sono fuori. Vice Ministro, questa è inclusione (lo chiedo, ovviamente, attraverso il Presidente)? Non mi sembra proprio! Penso, invece, che sia molto, molto grave. In più, se non sei un minore, se non sei un anziano o se non sei una persona gravemente disabile non vieni considerato meritevole di essere aiutato anche se sei in povertà. Allora, succede che se tu hai un figlio maggiorenne che sta studiando, questo figlio ha un peso pari a zero, cioè non viene considerato. Quindi, il tuo potrebbe essere un nucleo familiare povero che non può permettersi che il proprio figlio completi gli studi perché non sei degno di avere un sostegno anche se sei un lavoratore, perché ignoriamo, in questo decreto, che i lavoratori spesso lavorano ma restano poveri, e questo si ricollega - e ci arriverò - alla seconda parte di questo magnifico decreto.

Dicevo di occupabili e di non occupabili. Sempre un'istituzione, che possiamo considerare politicamente neutra e tecnicamente molto attrezzata, che è la Banca d'Italia, nella sua relazione annuale ci dice che ha preso i beneficiari del reddito di cittadinanza, li ha divisi in due gruppi, cioè quelli che continueranno ad avere l'assegno di inclusione e quelli che, invece, saranno fuori dall'assegno di inclusione, ed è andata a valutare i profili e gli elementi che possano caratterizzarli proprio in funzione della loro occupabilità. Ebbene, ci dice che non emerge nessuna caratteristica privilegiata in quelli che stanno fuori rispetto alla possibilità di accesso nel mercato del lavoro, anzi si riproducono, in entrambi i gruppi, quelle caratteristiche che noi già conosciamo, cioè le persone che sono in età da lavoro, che fanno fatica a trovare un lavoro e che sono comprese tra i percettori del reddito di cittadinanza lo sono, generalmente, perché hanno livelli di istruzione decisamente bassi - più del 70 per cento hanno solo la licenza elementare - e perché sono molto distanti dal mercato del lavoro, cioè non hanno lavorato da molto tempo.

Pensate, poi, che il 57,1 per cento di queste persone sono donne. Cioè, avete capito la fregatura? Prima ti dicono di stare a casa ad accudire i figli, a fare la casalinga e così via. Poi, a un certo punto capisci che sei occupabile, che devi andare a lavorare e che non hai proprio niente in mano e questo succede a molte, molte donne, però di questi temi non si tiene alcun conto.

Devo anche dire che c'era uno sforzo, in fase di realizzazione, di costruire delle politiche attive nel nostro Paese. Anche l'ANPAL ha avuto le sue traversie, legate, tra l'altro, a un sistema di divisione delle competenze fra Stato e regioni che crea un caos in questo campo e di cui dobbiamo essere assolutamente consapevoli. Per fare un esempio, tu puoi avere una qualifica professionale riconosciuta in Emilia-Romagna, però quel corso lì se vai a spenderlo in Umbria magari non è riconosciuto perché ci sono altre regole. Queste sono le follie del nostro Paese! L'ANPAL stava finalmente costruendo sia una banca dati uniforme sia una profilazione seria delle persone, anche con risultati apprezzabili. Allora, “giustamente” cosa abbiamo fatto? In un altro decreto - perché, poi, fiore da fiore - è stata chiusa. Cosa c'è al suo posto? Non si sa! Le competenze rientrano al Ministero? Con quali progetti? Con quale diversità? Perché? Sulla base di quali analisi? Non si sa! Questo è veramente atroce. Su problemi così seri uno può prendere delle scelte diverse, ma deve farci capire dove vuole andare e perché chiude quello che c'è proprio nel momento in cui comincia a dare risultati.

Avevamo discusso, quando c'era il reddito di cittadinanza, sulle condizionalità, cioè sul fatto che uno prende il reddito di cittadinanza però se poi gli veniva offerto un lavoro doveva accettarlo. Prima erano tre offerte, poi due offerte e poi un'offerta; vicino casa, lontana da casa, congrua o non congrua. Ma qui il problema è stato tolto a monte, perché se non hai, appunto, le condizioni oggettive, cioè avere qualcuno nel tuo nucleo così come dicevamo prima, sei comunque occupabile, non c'è condizionalità e, quindi, sei fuori. Non sei condizionato ad accettare un lavoro, ma sei fuori e basta e ti arrangi.

Attenzione, perché questo riguarda tutta la fascia delle persone fra i 18 e i 59 anni e questo decreto è assolutamente cieco rispetto al fatto che in quella fascia di età, senza avere le persone tutelate di cui prima nella famiglia, ci sono soggetti che hanno disagi anche gravi di diversa natura, quali disagi psichici, percorsi di marginalità, persone senza fissa dimora che prima accedevano - ma guarda te - al reddito di cittadinanza.

Andate a chiedere agli amministratori comunali, anche ai vostri, cioè agli amministratori dei comuni amministrati dalla vostra parte politica, e vedrete cosa vi dicono, perché si sta scaricando tutto su di loro, senza alcun aiuto in termini di risorse aggiuntive. E' un disagio forte perché è proprio il disagio adulto che sta crescendo in questo Paese e che si è sicuramente accentuato anche dopo la pandemia.

Passiamo all'altro punto, perché non voglio farla troppo lunga, anche perché mi deprimo parlando, e cioè il lavoro, la creazione del lavoro. Cosa creiamo? La scelta fondamentale, numero uno, la bandiera sul lavoro di questo decreto è l'espansione delle possibilità di utilizzare il lavoro a termine.

Il lavoro a termine, nella mia e nella nostra valutazione, non è proprio una bellezza, diciamo che sta diventando una piaga nel nostro Paese. Quindi proprio l'idea che debba essere potenziato ci sembra abbastanza drammatica. I contratti di lavoro a termine avevano avuto un rallentamento dopo la pandemia, ma invece, negli ultimi 2 mesi, ci dicono i dati dell'Osservatorio sul precariato dell'INPS, ma ce lo dice anche la Banca d'Italia, ancora una volta, hanno ripreso a crescere, così come i lavori stagionali e gli intermittenti. In più, nel lavoro a termine c'è anche una straordinaria incidenza del part time, nel 35 per cento dei casi. Nel 2022 la quota dei tempi determinati era il 16,5 per cento, una cifra che purtroppo non è molto dissimile anche da quella di alcuni altri Paesi.

Però sappiamo che proprio il lavoro a termine e il part time costituiscono la fonte primaria della dispersione dei redditi da lavoro dipendente nel settore privato, che è molto aumentata. Cosa vuol dire dispersione dei redditi? Vuol dire diseguaglianze, profonde diseguaglianze sul mercato del lavoro. Queste diseguaglianze sono proprio legate al fatto che si lavora meno settimane rispetto al tempo pieno e rispetto al tempo indeterminato per retribuzioni settimanali più basse, perché il lavoro a termine non è un espediente, una necessità anche, talvolta, quando l'impresa deve far fronte a situazioni eccezionali, ma è un modo per pagare poco e tenere le persone, soprattutto i giovani, soprattutto le donne, in condizioni di ricatto.

Nel 2022 l'occupazione femminile è tornata a crescere, ma è concentrata in prevalenza proprio nei settori dove è più diffuso il tempo determinato, come l'alberghiero e la ristorazione. La quota di giovani che dopo 5 anni ancora si trova da un lavoro a tempo determinato all'altro, dopo 5 anni fa un lavoro determinato dietro l'altro, è il 20 per cento. È una situazione rispetto alla quale bisognerebbe rispondere andando a vederci dentro e a dire: sì, va bene, il tempo determinato ci deve essere.

Può essere un'opportunità per il lavoratore, può essere un'opportunità per l'impresa in una situazione in cui ci sia pressione e in cui non ci siano contratti migliori, come ci sono già nel turismo, dove non ho bisogno di fare il tempo determinato quando ho il lavoro stagionale, che è molto più tutelato, perché dà ammortizzatori sociali, e ammortizzatori sociali più forti. Quando eravamo in tempo di pandemia, Presidente, e ero al Governo come Sottosegretaria del Ministero dell'Economia, abbiamo cercato di dare indennità a tutte le persone che avevano un rapporto con il mercato del lavoro e che si erano trovate, di fronte al lockdown, a perderlo.

A un certo punto, quando pensavamo di avere coperto tutti, sono emersi migliaia di lavoratori nel turismo che non avevamo coperto perché non gli facevano il contratto di lavoro stagionale, ma a tempo determinato, perché il tempo determinato, diversamente dal lavoro stagionale, non ti dà il diritto a essere richiamato nella stagione successiva. Neanche questo diritto, questo minimo diritto, voleva essere riconosciuto. E allora noi cosa facciamo? Su quel settore, dove già sappiamo che la gente è sfruttata, lavora molto di più di quella che è pagata, noi ci mettiamo anche i voucher, diamo la possibilità di allargare ancora i voucher, che vado a comprare in tabaccheria, vado a comprare i lavoratori in tabaccheria.

Un pacchetto di sigarette e 3 ore del lavoro di Mario, un sigaro e 2 ore del lavoro di Maria. Questo è quello che vogliamo, il voucher è proprio la forma massima di mancanza di considerazione e di dignità del lavoro. Il lavoro non si compra a chili e il lavoro si paga. Invece noi avremo anche imprese di una dimensione nel nostro Paese già decorosa, cioè fino a 25 dipendenti, che potranno utilizzare anche in misura superiore i voucher. E se prenderanno, invece, delle persone, gli faranno fare la notte, lo straordinario. Li paghiamo noi, perché gli diamo un bonus che viene messo a carico della collettività. Ma quando mai? Sei tu che usi il lavoratore, che gli fai fare lavoro in orari più difficili, e sei tu che devi pagarlo, non la collettività.

Se in questo Paese non passa il concetto base che il lavoro va pagato, non andremo da nessuna parte. Abbiamo un modello di sviluppo centrato sullo sfruttamento delle persone, sulla compressione del costo del lavoro, che ci rende non competitivi, perché purtroppo siamo in concorrenza con Paesi dove c'è ancora più schiavismo che da noi, un moderno schiavismo, ovviamente, e invece perdiamo il treno dell'innovazione, che ci potrebbe dare molto di più. E allora cosa ha fatto questo Governo? Ha deciso di abrogare la tutela normativa, che preesisteva, rispetto al fatto che almeno quando i contratti a tempo erano oltre i 12 mesi si potesse richiedere che ci fossero delle causali, indicate dalla norma.

La norma è un elemento di tutela per il lavoro. Invece la norma viene tolta, tutto viene affidato alla contrattazione di qualsiasi livello. Ma, attenzione, l'innovazione che sto per dirvi è la più grave di tutti: se per caso i contratti non arrivano in tempo a definire quando, come e perché si può fare il lavoro a tempo, allora il datore di lavoro si può mettere d'accordo direttamente con i lavoratori. Ma perché ci sono invece i sindacati? Perché il lavoratore, quando contratta con il datore di lavoro, non ha la stessa forza contrattuale.

Quello è un mercato in cui ci sono due parti che hanno un potere molto diverso, e quando noi mettiamo l'individualizzazione del contratto, stiamo indebolendo ancora la parte più debole. Questa innovazione non avrà magari una ricaduta enorme, perché i contratti cercheranno di supplire, ma è un'innovazione che proprio dal punto di vista dei principi è gravissima, gravissima. In più, già era brutto, schifosetto, direi, questo decreto, il passaggio parlamentare è riuscito a renderlo anche peggiore, perché nel passaggio parlamentare la maggioranza ha fatto passare due nuove innovazioni.

Una che rende possibile rinnovare i contratti a termine senza causale, anche sotto i 12 mesi. Attenzione, quando permetto la possibilità di rinnovare - già la proroga non mi piaceva molto, ma figuriamoci il rinnovo -, intanto sappiamo che i contratti a termine per il 30 per cento sono di durata inferiore al mese, ma poi ho il lavoratore nelle mani. Conosco molti giovani, proprio qualche giorno fa un'amica di mia figlia è stata licenziata. Non glielo dicevano neanche, ha dovuto vedere che il suo posto di lavoro era già stato offerto. Cercavano una stagista in sostituzione di una che aveva fatto 6 mesi di stage e 5 anni di apprendistato, questo è il modo in cui si guarda al lavoro.

Quindi questa è una situazione che per le donne e per le nostre ragazze è impossibile. Se tu ogni mese, ogni 15 giorni, puoi essere rinnovato, fino a quando vuole il tuo datore di lavoro, potrai mai decidere vagamente di fare un figlio? Ma no, puoi anche non dirlo, ma, appena si vede che sei incinta, sei a casa per sempre, per molto tempo almeno. Poi cosa hanno fatto ancora? Hanno azzerato il contatore. Vuol dire che chi ha dato ha dato, se avevi già fatto mesi e mesi di lavoro a tempo, non vengono più contati, riparte il conto. Hanno ampliato anche il limite del somministrato, e poi vado a chiudere, perché non voglio abusare del vostro tempo, ma sul somministrato voglio dire una cosa che si ricollega a quello che dicevo prima.

Ci sono dei limiti, il 20 per cento della forza lavoro al massimo deve essere in somministrazione, perché altrimenti abbiamo un posto di lavoro in cui le persone non riescono neanche a costruirlo il lavoro, a informarsi sulle condizioni di sicurezza, a fare massa critica per evitare di essere troppo sfruttati. Invece la concezione che sta passando è l'idea che c'è una massa, l'avremmo chiamata in passato un esercito industriale di riserva, un insieme di persone che possono andare, purché facciano qualcosa. Dobbiamo mandarli sul mercato del lavoro a qualsiasi condizione, non devono avere dignità, devono avere l'obbligo a lavorare.

Allora questo limite, che era di cautela, può essere derogato per le persone più deboli, quelle che sono disoccupate da 6 mesi, e sono quindi con una cassa integrazione o con una indennità di disoccupazione da molto tempo, le persone che vengono dal reddito di cittadinanza, quelle che definiamo gravemente svantaggiate. Attenzione, mettiamo lavoratori contro lavoratori, obblighiamo le persone, anche attraverso le nuove regole, incongrue, del nuovo assegno di esclusione, a premere su un mercato del lavoro già fragile, su segmenti particolarmente fragili, ripeto, dove ci sono migliaia e migliaia di donne che accettano di lavorare lì perché magari è vicino casa, perché magari possono fare un orario un pochino più flessibile, invece di dare risposte vere ai problemi.

L'Italia, purtroppo, è l'unico Paese, in Europa, che, grazie a questo Governo, sarà privo di una misura di contrasto alla povertà di tipo universale. Mi dispiace, mi dispiace molto.