A.C. 1877
Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'ennesimo decreto per riportare sotto controllo il superbonus conferma il sostanziale fallimento delle misure decise precedentemente dal Governo Meloni e il fatto che i conti pubblici siano fuori controllo.
Il superbonus, ma anche altre materie come, ad esempio l'energia, è stato più e più volte modificato in questa legislatura con successivi e diversi provvedimenti normativi. In proposito abbiamo parlato di “interventi a puntate”, li abbiamo chiamati “interventi Netflix”, che ostentano tutta l'inadeguatezza e la superficialità del Governo. Una cosa è certa, che in questi 18 mesi la Premier Meloni e il Ministro Giorgetti non sono riusciti a gestire in modo ordinato ed efficace il riordino degli incentivi per la riqualificazione degli edifici.
Il testo che arriva oggi all'esame della Camera viene da uno scontro esplicito in Senato all'interno della maggioranza, per cui, in definitiva, è prevista una spalmatura su dieci anni delle spese sostenute a partire dal periodo d'imposta in corso e fino all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
In sostanza, quindi, un intervento retroattivo, a partire dal primo gennaio 2024, riguardante - appunto - il superbonus, diviso finora in quattro rate, il bonus barriere architettoniche e il sisma bonus, divisi invece in cinque rate.
Per tutti questi sconti fiscali, le detrazioni del 2024 in futuro saranno insomma decennali. Va sottolineato che, mentre l'allungamento dei tempi da 4-5 anni a 10 anni non toccherà le imprese e le banche che hanno acquistato i crediti fiscali, ad essere colpiti saranno i contribuenti che li utilizzano direttamente nelle loro dichiarazioni dei redditi e senza averli mai ceduti.
Insieme alla circostanza di aver sganciato il destino delle detrazioni (normalmente usate dai titolari dei lavori) da quello dei crediti fiscali (ceduti invece ad imprese e ad intermediari), l'aspetto grave, il vulnus profondo è quello di aver introdotto una norma retroattiva di questa portata, calpestando uno dei principali principi costitutivi del nostro ordinamento giuridico, che è quello del patto tra Stato e cittadini.
Ciò quando proprio i cittadini e le imprese da tempo non hanno fatto altro che chiedere regole certe e stabili per gestire nel modo migliore l'uscita dal bonus 110 per cento.
Il fiasco delle misure salva-conti si è ripercosso anche nell'esplosione del deficit 2023, previsto al 5,3 per cento dalla NADEF, ma impennatosi al 7,2 per cento a consuntivo, essenzialmente proprio a causa degli extracosti del superbonus.
Secondo aspetto: nel 2024 la situazione complessiva dei conti pubblici sta rapidamente peggiorando rispetto alle previsioni iniziali proprio del Governo stesso. Pesa il trascinamento della coda del superbonus ma anche un andamento dell'economia più debole rispetto alle ottimistiche - forse fin troppo - stime dell'Esecutivo e, paradossalmente, la brusca frenata dell'inflazione, che comprime la dinamica del PIL nominale.
Se a tutto questo aggiungiamo l'entrata in vigore, dall'anno prossimo, del nuovo Patto di stabilità europeo, il quadro che emerge è decisamente preoccupante. È tempo che il Governo faccia i conti con la realtà: servono scelte molto più coraggiose sia sulle entrate, abbandonando la politica lassista sul fronte dell'evasione fiscale, ma anche sulle spese.
Il Governo Meloni in questi mesi ha fatto cassa sui pensionati e sui poveri, ma una vera spending review delle spese vere dell'amministrazione centrale non è mai partita. Serve, in particolare, un riordino più coraggioso degli incentivi per l'edilizia sostenibile, come quello di passare ad un meccanismo di erogazione diretta di spesa con un tetto annuale predeterminato, adottando criteri più selettivi e mirati di accesso alle agevolazioni, indicando una strada ragionevole per incentivare in modo finanziariamente sostenibile la riqualificazione energetica e sismica del patrimonio immobiliare italiano, anche alla luce della direttiva europea casa green.
Serve altresì evitare scelte estemporanee, come quelle che penalizzano le aree terremotate del Paese. È insopportabile questa discriminazione tra cittadini di serie A e cittadini di serie B, a seconda dei terremoti che si sono susseguiti negli anni nel nostro Paese. Alcune nostre proposte, proprio sulle aree terremotate, sono volte a rendere omogenea la disciplina della ricostruzione per tutte le aree del Paese. Ancora oggi, infatti, esistono differenze e discriminazioni territoriali inspiegabili che, in presenza delle calamità naturali, non consentono a tutti i cittadini della Repubblica di applicare le stesse norme. Mi riferisco, in particolare, ai nove comuni colpiti dal terremoto di Santo Stefano il 26 dicembre 2018 in Sicilia. Anche in sede di conversione di questo decreto-legge abbiamo formulato diverse proposte per applicare al terremoto che ha colpito l'Etna nel 2018 le stesse norme previste nel terremoto del Centro Italia: una diversità di trattamento inspiegabile di fronte a situazioni uguali per famiglie, imprese e cittadini; in particolare, chiediamo che venga esteso l'intero articolo 1-sexies del decreto-legge n. 55 del 2018, vigente per i territori di Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche, colpiti dal sisma del 2016, in modo da regolarizzare le lievi difformità realizzate con interventi di manutenzione straordinaria - pressoché ininfluenti dal punto di vista volumetrico - e da portare a definizione e completamento le pratiche di condono, numerosissime, ancora pendenti negli uffici comunali perché mancanti del certificato di idoneità statica, il CIS, che è un documento essenziale per la definizione delle domande di sanatoria e - ahimè - non può più essere redatto per i fabbricati strutturalmente danneggiati dal sisma. In sostanza, per consentire un'effettiva accelerazione della ricostruzione in quei territori, bisogna dare la possibilità di ricostruire anche ai fabbricati con pratiche di condono ancora pendenti.
Un'altra nostra proposta prevede una modifica dell'importo delle competenze tecniche riconosciuto per ogni contributo erogato. Trattasi, nello specifico, dell'articolo 57 comma 4 del decreto-legge n. 104 del 2020, vigente anch'esso per i territori colpiti dal sisma del 2016 nel Centro Italia. L'estensione dei benefici di questo comma consentirebbe di riconoscere, per ogni contributo erogato, compensi per i professionisti secondo i criteri sanciti dal Ministro di Giustizia col decreto n. 140 del 2012, che prevede esplicitamente ed espressamente un abbattimento del 30 per cento. Tale previsione correggerebbe l'importo che attualmente percepiscono i professionisti a titolo di competenze tecniche: il sistema attuale, infatti, è particolarmente gravoso per gli interventi di piccola e media entità con la naturale conseguenza che le maggiori somme, necessarie per soddisfare le esigenze dei professionisti, finiscono per ricadere inevitabilmente sui proprietari degli edifici danneggiati, spesso impossibilitati a farne fronte.
Il terzo intervento che chiediamo è quello della stabilizzazione per il personale che in questi anni è stato formato - precisamente per le 40 unità di personale - secondo le procedure previste anch'esse per il terremoto del centro Italia. Signor Presidente, come già esposto, ad oggi la ricostruzione dei territori colpiti dal sisma di Santo Stefano procede con notevole ritardo. Il numero di istanze presentate dai cittadini, a fronte delle ordinanze di inagibilità, è pari a poco più del 35 per cento: quindi, poco più di un cittadino su tre si è avvalso della possibilità di attivare la procedura di ricostruzione. Un altro dato che fa riflettere è che sono state esitate soltanto la metà tra le istanze nella categoria più diffusa, quella della ricostruzione e riparazione di immobili.
Di fronte a questi dati mi chiedo - e lo dico alla rappresentante del Governo - che Stato è uno Stato che non tende la mano alle popolazioni in difficoltà: viene così meno il principio solidaristico previsto dalla nostra Costituzione.
Noi non consentiremo che quelle popolazioni e quei comuni vengono lasciati soli nella ricostruzione, senza risorse e senza procedure adeguate. I dati che abbiamo esposto non ammettono diverse interpretazioni se non quella del sonoro fallimento da parte del Governo sulla procedura di ricostruzione. A distanza di cinque anni e mezzo dal sisma - che ha messo in ginocchio Fleri ed i comuni di Zafferana, Santa Venerina, Aci Sant'Antonio e Acireale e, per porzioni meno significative, Aci Catena, Trecastagni, Viagrande, Milo e Aci Bonaccorsi -, il bilancio sulle procedure di ricostruzione è magrissimo. L'annunciata posizione della fiducia da parte del Governo questo pomeriggio è l'ennesimo “no” alle nostre proposte di equiparazione rispetto al terremoto del Centro Italia: ma è un no che non ci fermerà.
A partire dal prossimo testo, coerente con queste materie, riproporremo gli emendamenti per chiedere giustizia ed equità per le popolazioni dell'Etna. Noi, signor Presidente, non ci fermeremo.