A.C. 2333-A
Grazie, Presidente. Prendo la parola in quest'Aula con la consapevolezza che siamo chiamati, oggi, a confrontarci su un tema che tocca profondamente la vita delle nostre imprese e la sostenibilità. Tocca profondamente la sostenibilità del nostro sistema economico e tocca anche la stessa visione di Stato che noi vogliamo dare.
Siamo, infatti, di fronte ad un provvedimento che ridisegna il perimetro delle responsabilità, pubblica e privata, di fronte ai rischi derivanti dalle calamità naturali. Il decreto-legge che ci apprestiamo a convertire interviene sull'obbligo introdotto dalla legge di bilancio del 2024 di stipulare polizze assicurative contro i danni derivanti da eventi catastrofali. Un obbligo che viene ora differito temporalmente: confermato al 31 marzo 2025 per le grandi imprese, posticipato al 1° ottobre per le medie imprese e al 31 dicembre per le piccole e micro imprese. Questo provvedimento nasce da un'esigenza indiscutibile: costruire un sistema di gestione del rischio sostenibile ed equo, in grado di poter garantire la continuità delle attività economiche anche in caso di eventuali eventi naturali avversi. Una esigenza tanto più pressante in un Paese come il nostro caratterizzato da fragilità territoriali crescenti, da un dissesto idrogeologico in costante peggioramento e da un rischio sismico che interessa ampie porzioni del territorio nazionale.
Ma è proprio qui nel cuore dell'intento dichiarato che si annida il paradosso che non possiamo ignorare. Si costruisce un sistema che scarica sulle spalle delle imprese private il peso della prevenzione senza che lo Stato abbia compiuto la sua parte nella prevenzione. Si pretende cioè un atto di responsabilità da parte dei soggetti economici senza che ci sia un'assunzione di responsabilità pubblica nell'investimento strutturale e per la messa in sicurezza del territorio. Difatti, è come se questo Governo, di fronte ad una casa che perde acqua dal tetto, decidesse di distribuire ombrelli ai proprietari, anziché riparare appunto quel tetto. Una logica che capovolge il principio di sussidiarietà, chiamando i privati a colmare lacune che hanno origine in una linea politica che nega investimenti nelle infrastrutture di protezione civile, nella pianificazione territoriale, nel contrasto al dissesto idrogeologico. Una linea politica che da una parte nega i cambiamenti climatici, mentre dall'altra obbliga le imprese ad assicurarsi contro gli eventi catastrofali che sono dovuti proprio a quei cambiamenti climatici.
Il gruppo del Partito Democratico ha affrontato l'esame di questo decreto con spirito costruttivo, consapevole dell'importanza del tema e della necessità di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di tutela e la sostenibilità del sistema. Abbiamo presentato emendamenti puntuali frutto di un ascolto attento anche delle categorie interessate, delle amministrazioni locali e degli esperti del settore. Alcuni di questi contributi - devo riconoscerlo - sono stati accolti e hanno permesso di migliorare il testo originario. È stato chiarito, ad esempio, che l'obbligo assicurativo si applica solo ai beni con titolo edilizio regolare o con sanatorie in corso, un elemento necessario per evitare situazioni paradossali che avrebbero potuto verificarsi nel nostro complesso sistema edilizio.
Abbiamo ottenuto che venisse estesa la possibilità di adesione anche attraverso forme consortili e associative, introducendo elementi di flessibilità che potranno ridurre l'impatto economico soprattutto per le realtà più piccole. Sono progressi significativi, ma ancora inadeguati rispetto alla portata delle problematiche che questo provvedimento continua a presentare. Restano infatti esclusi dalla copertura assicurativa fenomeni che sono ormai tutt'altro che rari nel nostro Paese. Penso alle bombe d'acqua che flagellano con frequenza crescente i nostri centri urbani, penso ai fenomeni di subsidenza che interessano vaste aree della Pianura Padana, l'acqua alta che minaccia non solo la città di Venezia, ma numerose località costiere. Sono eventi che gli studi scientifici indicano in aumento sia nella frequenza che nell'intensità a causa dei cambiamenti climatici. Eppure, con la miopia di chi sembra vivere in una realtà parallela si è scelto di escluderli dal perimetro dell'obbligo assicurativo.
Ma il punto più critico, quello che rivela la contraddizione profonda di questo decreto, riguarda la mancata istituzione di un Fondo nazionale per la prevenzione dei rischi che avevamo proposto con convinzione. Un Fondo che avrebbe potuto finanziare interventi strutturali di messa in sicurezza del territorio, riducendo così, nel medio e lungo periodo, anche il costo delle polizze assicurative per le imprese. È qui che si manifesta la visione distorta di questo Governo. Si continua a scaricare sulle imprese l'onere di coprire i rischi che richiederebbero una risposta pubblica sistemica. Si preferisce imporre un obbligo ex post piuttosto che investire ex ante nella prevenzione.
La Presidente Meloni sembra oramai vittima della rassegnazione tipica di chi, non essendo in grado di articolare soluzioni, adotta un approccio esattoriale ai problemi complessi, come quello delle catastrofi. Vi è poi l'aspetto che concerne l'impatto differenziato di queste norme sulle diverse zone del nostro Paese. Il meccanismo introdotto dal decreto non contempla l'eterogeneità territoriale del rischio, non valuta che in Italia coesistono regioni ad alto rischio sismico, territori esposti a fenomeni alluvionali ricorrenti e aree vulnerabili a frane e a smottamenti.
La previsione dell'esclusione dai benefici pubblici per chi non si assicura, contenuta all'interno dell'articolo 1, al comma 2, rappresenta in questo senso una misura non solo sproporzionata, ma profondamente iniqua. Come si può subordinare l'accesso a un ristoro per un danno subito ad un obbligo che per molte imprese, soprattutto nei territori più fragili, rischia di essere economicamente insostenibile? Consideriamo un'azienda, ad esempio, che opera in un'area ad alto rischio sismico, magari quella dell'Appennino centrale, che veniva ricordato qui, in questa discussione. Il premio assicurativo richiesto risulterà inevitabilmente superiore rispetto a quello di un'attività simile collocata in un'area a basso rischio. È equo che questa impresa, già svantaggiata dalla posizione geografica, debba affrontare oneri maggiori per ottemperare a un obbligo di legge? È corretto che, qualora non possa sostenere tali costi, venga ulteriormente penalizzata con l'esclusione dai benefici pubblici in caso di calamità? Questa è una logica punitiva, che rischia di aumentare le disuguaglianze territoriali e di colpire proprio chi avrebbe più bisogno di sostegno. È una visione che contraddice il principio costituzionale di solidarietà e che ignora il ruolo che le imprese svolgono nel presidiare i territori fragili e nel mantenere vivo il tessuto economico e sociale, anche nelle aree interne, nelle aree montane e nelle aree appenniniche; una concezione che tradisce quei principi di solidarietà nazionale, di cui tanto ci si riempie la bocca nei convegni, ma che poi vengono sistematicamente accantonati quando occorre prendere delle decisioni concrete.
Non è solo il Partito Democratico a sollevare questi dubbi. Le audizioni svolte in Commissione hanno confermato, con una chiarezza disarmante, i timori che avevamo espresso; lo hanno fatto le associazioni come l'ANCI, Confesercenti, Confartigianato, la stessa CNA. Hanno tutte esposto criticità precise e convergenti: l'assenza di una vera mutualizzazione del rischio, la disparità di trattamento tra territori, la mancanza di chiarezza sulle sanzioni e sugli effetti dell'inadempimento. Sono voci che, pur provenendo da mondi diversi e da sensibilità differenti, convergono su un punto essenziale, e cioè la necessità di costruire un sistema che sia equo, trasparente e sostenibile; un sistema che non penalizzi chi opera con mezzi limitati in contesti territoriali difficili. Queste voci sono rimaste inascoltate. La maggioranza ha preferito procedere sulla strada tracciata, ignorando non solo le proposte dell'opposizione, ma anche le preoccupazioni legittime di chi, ogni giorno, rappresenta il motore economico del nostro Paese.
Evidentemente la Presidente Meloni e il suo Esecutivo hanno sviluppato una peculiare forma di disattenzione selettiva: percepiscono benissimo le richieste che provengono da certi ambiti, ma diventano improvvisamente insensibili quando si tratta di presidiare settori e soggetti particolarmente fragili.
Un altro aspetto critico, che il decreto non affronta adeguatamente, riguarda la situazione delle imprese in locazione. La normativa, così come formulata, non chiarisce con sufficiente precisione gli obblighi che ricadono su chi non è proprietario degli immobili nei quali svolge la propria attività. Si rischia così di creare un cortocircuito applicativo, in cui l'obbligo assicurativo viene scaricato su soggetti che non hanno titolarità sul bene, né margini contrattuali per poter intervenire sulle caratteristiche strutturali. È una questione di giustizia elementare: non si può chiedere ad un imprenditore di assicurare un bene su cui non ha la piena disponibilità giuridica. Avevamo proposto emendamenti per chiarire che l'obbligo assicurativo deve riguardare esclusivamente i beni di proprietà dell'impresa o, comunque, i beni sui quali l'impresa abbia un diritto reale: una proposta di buonsenso, che avrebbe evitato contenziosi e situazioni paradossali. Ma anche questa, purtroppo, è stata respinta.
È vero, è stato approvato un emendamento della maggioranza che stabilisce che in caso di assicurazioni di beni terzi l'indennizzo va al proprietario, con la previsione che l'imprenditore abbia comunque diritto a un risarcimento per il mancato guadagno, ma è una soluzione parziale che non risolve la questione del principio: perché dobbiamo andare a imporre un obbligo su dei beni che non sono nella piena disponibilità del soggetto obbligato?
Vi è poi un'ulteriore questione non meno rilevante: il rischio di una lievitazione incontrollata dei premi assicurativi. L'assenza di meccanismi di calmierazione e la dipendenza del premio della sola localizzazione territoriale possono tradursi in un aggravio sproporzionato per le imprese situate in aree a rischio sismico e/o idrogeologico. Anche su questo punto avevamo proposto un principio di mutualità tra territori che consentisse di distribuire più equamente il peso del rischio; avevamo suggerito meccanismi di aggiornamento periodico dei premi, che tenessero conto anche dell'adozione di misure di mitigazione da parte delle imprese. Queste proposte sono state tutte respinte. Si è preferito lasciare che sia il mercato a definire i costi senza correttivi, senza tutele, senza una visione solidaristica. È una scelta che rischia di trasformare l'obbligo assicurativo in un fardello insostenibile per molte realtà economiche, soprattutto per quelle che operano nelle realtà più fragili del Paese.
Permettetemi, in conclusione, di parlare del mio territorio, che è stato qui citato anche da chi mi ha preceduto, in particolare dell'area del cratere sismico del 2016. È una zona che conosco molto bene, che ho vissuto nella sua tragedia e che ora vive una faticosa ricostruzione. È un territorio dove le imprese già combattono contro la lentezza burocratica, contro una ricostruzione che procede a rilento, contro le difficoltà di accesso al credito. In questo contesto, aggiungere un ulteriore obbligo senza garantire un quadro di chiarezza, di sostenibilità e tutela pubblica significa allontanare ulteriormente queste realtà dalla possibilità di ripresa e di sviluppo. Significa imporre un peso che rischia di essere la goccia che fa traboccare il vaso, spingendo molti imprenditori ad abbandonare un territorio che già fatica a trattenere attività economiche e popolazione. Non è questo il modo per costruire resilienza, non è questo il modo per sostenere la rinascita delle aree interne, non è questo il modo per dimostrare vicinanza a chi, nonostante tutto, continua ad investire e a credere nel futuro di questi territori.
La Presidente Meloni che rivendica di essere dalla parte degli italiani sembra aver dimenticato che tra questi connazionali ci siano anche gli imprenditori dell'Appennino centrale, gli artigiani delle aree interne, i commercianti delle zone montane o forse, più semplicemente, nella sua personale geografia politica l'Italia finisce dove terminano i riflettori delle telecamere e i consensi elettorali più facili da raccogliere. Non siamo contrari in linea di principio all'idea di un sistema assicurativo nazionale che possa coordinarsi con la rete pubblica di protezione, anzi, riteniamo che rappresenti una direzione da seguire in una Nazione vulnerabile come la nostra e che ha molteplici rischi naturali.
Crediamo anche in un sistema assicurativo che sia davvero mutuale, che distribuisca il rischio non solo tra le imprese, ma anche tra i territori, evitando di penalizzare chi per ragioni storiche o geografiche opera in contesti più esposti. Crediamo nella necessità di politiche fiscali che incentivino l'adozione di misure di mitigazione del rischio, premiando chi investe nella sicurezza, chi adotta comportamenti virtuosi, chi contribuisce alla resilienza collettiva. Crediamo soprattutto in una visione dello Stato che non abbandoni i più deboli, che non scarichi sui singoli responsabilità che sono collettive, che non punisca chi già subisce le conseguenze di decenni di sottoinvestimenti sulla cura del territorio. Continueremo, dentro e fuori a quest'Aula, a batterci per una vera strategia nazionale di prevenzione, fondata sulla responsabilità pubblica, sull'equità sociale e sulla giustizia territoriale. Continueremo ad essere la voce di chi chiede non assistenzialismo, ma condizioni eque per poter intraprendere, investire, creare sviluppo anche nei territori più fragili, perché una Nazione resiliente non si edifica con imposizioni e penalità, ma con programmazione, con dialogo, investimenti e con investimenti strutturali.
Non si realizza trasferendo responsabilità, ma condividendole collettivamente; non si sviluppa imponendo oneri insostenibili, ma creando opportunità affinché ciascun territorio, ogni azienda, ogni cittadino possa partecipare, secondo le proprie capacità, alla sicurezza collettiva. Mentre il Governo Meloni sembra impegnato a costruire un'Italia di ombrelli individuali sotto un diluvio collettivo, noi continueremo a porre un sistema di dighe e argini che protegga tutti, nessuno escluso. È questa la visione di cui l'Italia ha bisogno, è questa l'alternativa che il Partito Democratico continuerà a proporre con determinazione e convinzione, e continueremo a farlo su questo provvedimento anche nella discussione.