A.C. 705
Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, oggi affrontiamo in Aula la discussione su uno dei primi provvedimenti approvati dal Consiglio dei ministri dopo le elezioni. Un decreto di cui nessuno realmente sentiva il bisogno, se non un Governo appena insediato, cui serviva una bandierina ideologica da rivendicare fin da subito. Un governo il cui interesse era apparire all'esterno come attento alla sicurezza, irreprensibile, severo e intransigente, ma che si è scoperto, sin da subito, pasticcione, frettoloso e decisamente poco equilibrato nel definire i suoi stessi provvedimenti. Siamo di fronte a un legislatore che si è mosso in modo scomposto sin dai primi passi. È bastato, infatti, l'estemporaneo scandalo mediatico suscitato dal rave party di Modena, gestito e poi risolto semplicemente attuando la normativa vigente, per creare un pretesto di necessità solo apparente di intervenire con un decreto-legge, uno strumento che - vorrei ricordarlo - dovrebbe essere utilizzato secondo la Costituzione e caratterizzato come necessario e urgente.
L'unica urgenza che vedo qui, però, signor Presidente, è l'urgenza muscolare di un Governo che ha sentito la necessità di ostentare intransigenza repressiva per dare segnali a pezzi del suo elettorato. Si è voluto inseguire la cronaca, fomentando artificialmente un singolo episodio, per potersi raccontare come tutori di un ordine e di una legge che, articolo dopo articolo, si sono configurati come discrezionali, a targhe alterne, nella completa assenza di una situazione strutturale che integrasse i requisiti di necessità e di urgenza. È bastato, infatti, che passassero pochi giorni dalla prima emanazione del decreto, affinché emergesse una quantità sorprendente di storture, di contraddizioni, di forzature.
Non è un caso se, anche giornalisticamente, anche sulla stampa, sono presto diventate di uso comune delle definizioni semplicistiche che, però, credo cogliessero bene il cuore di questa misura: quindi, decreto Rave, decreto Salvacorrotti. Sono punti programmatici di un manifesto che ha unito la stretta punitiva sui rave, funzionale a spendersi una battaglia identitaria sull'ordine pubblico, alla mano tesa a chi commette reati contro la pubblica amministrazione.
E poi c'è il reintegro del personale no-vax, c'è il rinvio della riforma Cartabia: un caos totale, una disomogeneità di materie che, già da sola, valeva la pregiudiziale di costituzionalità. Non dimentichiamo, oggi che discutiamo un provvedimento in parte meno sbilanciato, perché alcune modifiche si è stati costretti a farle, che c'erano forzature dal carattere repressivo e reazionario inserite dal Governo nella prima stesura; idee così sproporzionate e così maldestramente scritte da far dubitare diffusamente - me lo lasci dire - della buona fede di chi le ha concepite.
Per fortuna, c'è stata un'opposizione durissima ed è arrivata sin da subito, non soltanto nella discussione parlamentare, ma anche nel libero dibattito del Paese. E il Governo è stato costretto a fare almeno un parziale dietrofront. In sostanza, vi abbiamo impedito di presentare al paese una norma che, pur di individuare un nemico, pur di sventolare fantocci, pur di ostentare ordine e disciplina, andava a ledere l'articolo 17 della nostra Costituzione e questo è necessario ricordarcelo.
Purtroppo, anche dopo le modifiche approvate dal Governo stesso, anche dopo il passaggio in Senato, questo decreto rimane approssimativo nel metodo e pericoloso nel merito.
Non si può usare in modo così disinvolto lo strumento della decretazione d'urgenza per legiferare in materia penale su temi che richiederebbero un opportuno dibattito parlamentare; facendo così, purtroppo, priviamo quest'aula delle sue prerogative.
Ma entrando nel merito, in particolare, dell'articolo 5, che norma i raduni illegali, credo sia inquietante che si decida di intervenire con misure così punitive. Ma veramente riteniamo, Presidente, di essere di fronte a un'emergenza rave party? Non capisco, ce ne sono stati pochi che mi risulti, e, questo, quindi, è un problema di cui legiferare con massima urgenza? Non è chiaro. Ancora una volta, l'impressione è che l'urgenza reale sia quella di criminalizzare qualcosa o qualcuno. Ieri, le persone costrette a emigrare, domani anche, probabilmente, oggi, magari quel mondo giovanile della musica e dell'aggregazione, che rischia di essere aggredito con queste norme poco chiare. Anche qui, come in tutto il decreto, con una doppia misura dal sapore quasi classista, le grandi feste, dove sicuramente non manca, ad esempio, il consumo di stupefacenti, sono tollerate, ma solo se sono esclusive e a pagamento, altrimenti no. Non c'è, infatti, alcuna chiarezza sulla fattispecie di questo reato. Cosa vuol dire un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento? Chi lo decide? Non sono domande secondarie, credo, visto che entriamo in materia penale, ma l'aspetto davvero inquietante è la durata delle pene che è del tutto esagerata. La detenzione illegale di armi in questo Paese è punita dai 3 ai 12 mesi e l'organizzazione di un rave può essere punita dai 3 ai 6 anni? Sorvegliare e punire, il carcere come soluzione a tutto. Una pena così elevata malcela un'ideologia pericolosa che vede l'istituto carcerario come un necessario strumento di controllo sociale. Non si capisce poi perché, con regole così confuse, siano previste pene detentive così lunghe in carcere.
Possiamo permetterci di dire, signor Presidente, che in un Paese con un gravissimo problema di sovraffollamento delle carceri un decreto legge, che confeziona un nuovo reato da punire proprio col carcere, risponde veramente ai caratteri di necessità ed urgenza?
Signor Presidente, a tal proposito, mi sia concesso anche soffermarmi un momento sul problema del sovraffollamento carcerario che incrocia la discussione generale di questo provvedimento. L'Italia si conferma uno tra i Paesi con le carceri più affollate dell'Unione europea; le nostre carceri sono piene, ma piene di persone la cui marginalità, purtroppo, comincia ben prima della detenzione. Partiamo a monte, anziché a valle. Il problema è che si entra in carcere già con un altro grado di disperazione sulle spalle e se ne esce ancora più isolati. C'è certamente un nucleo di alta criminalità e gravi reati che nessuno vuole negare, ma la massa che, in questo momento, porta alle nostre carceri a un tasso di sovraffollamento del 112 per cento, è costituita da persone in grave difficoltà che vivevano già ai margini della società con storie di tossicodipendenze, di migrazioni o di vita di strada e con i piccoli reati connessi a questo.
Invece di elaborare uno sforzo normativo che vada nella direzione di calibrare, nel modo più opportuno, quali reati debbano necessariamente essere puniti con il carcere e quali, invece, possono avere pene alternative, il Governo non sa fare altro che richiedere l'applicazione di pene detentive per ogni cosa.
Il malessere del carcere italiano, in questo momento, sembra quasi intrinseco, sembra quasi connaturato al sistema. Quest'anno, in carcere, abbiamo avuto il record dei suicidi in cella avvenuti in modo equamente distribuito nelle carceri del Paese, quindi, siamo di fronte a un problema nazionale e a un problema di sistema, un problema di marginalità, di esclusione sociale, di povertà e della piccola criminalità che spesso, quasi inevitabilmente, si accompagna a queste condizioni; un problema che, in carcere, purtroppo, peggiora, anziché migliorare, dato che, purtroppo, spesso, l'esperienza penitenziaria, per paradosso, indirizza le persone che hanno sbagliato verso la delinquenza abituale.
Perché non riusciamo ad affrontare il problema delle pessime condizioni di vita in un sistema carcerario che, almeno da Costituzione, dovrebbe prevedere trattamenti non contrari al senso di umanità? Perché, nel 2022, non riusciamo a dare un senso al principio di rieducazione del condannato? La pena detentiva funziona oppure porta a queste situazioni con una sistematicità preoccupante all'esito più doloroso del suicido in carcere? Come si affrontano e soprattutto come si prevengono le situazioni di emarginazione? Ecco, queste sarebbero domande interessanti da porre a un Parlamento che volesse occuparsi, con leggi e con riforme strutturali - e non con decreti -, di giustizia; sarebbero missioni importanti per un Governo che volesse progredire in questo senso e non nascondere la polvere sotto il tappeto. Ma, oggi, anche se discutiamo il DL giustizia, purtroppo, parliamo di tutt'altro.
Mi chiedo se parli di giustizia un decreto che si accanisce contro i rave party, nello specifico, certo, ma anche, culturalmente, contro il mondo giovanile della musica e dell'aggregazione, con pene sproporzionate ed eccessive, mentre allenta la presa su chi commette reati contro la pubblica amministrazione, strizzando l'occhio ai colletti bianchi. Mi chiedo se sia giustizia anche quella per cui 700 persone formalmente detenute per reati non gravi, che hanno passato gli ultimi due anni in semilibertà e buona condotta, dal 1° gennaio torneranno in carcere, anche dopo la bocciatura al Senato di un emendamento del PD su questo decreto.
Ho quasi concluso. Mi chiedo se sia giustizia un decreto che rimanda in carcere queste persone, alla faccia dell'articolo 27 della Costituzione, del fine rieducativo della pena e della drammatica condizione di sovraffollamento nelle carceri italiane prima citata. Mi chiedo se sia giustizia un decreto che pretende di rispondere all'emergenza della carenza del personale medico con il reintegro del personale no-vax, che non solo è esiguo e insufficiente in termini di numeri, ma che è anche un messaggio desolante di svalutazione degli sforzi di tutti coloro che, nei mesi duri della pandemia, lottando nelle corsie, hanno fatto la scelta per il bene comune di vaccinarsi e di sostenere la campagna vaccinale. Mi chiedo se sia giustizia quella di un Governo che, sul delicato tema della gestione pandemica, fa scelte come questa e non parla mai di campagne vaccinali, massicce, pubbliche, gratuite e accessibili a tutti, di gratuità dei brevetti e di sostegno alla sanità pubblica.