Grazie, Presidente, ben ritrovata sottosegretaria Vezzali. Est modus in rebus, recita Orazio in una celebre satira: c'è una giusta misura nelle cose. Cito questo poeta, che aveva imparato proprio dalla filosofia del suo tempo a stare al mondo, non per sfoggio umanistico ma per dire che in questa controversa vicenda, di cui stiamo discutendo da settimane, di misura, fin dall'inizio, se n'è vista ben poca e, se le azioni di un Governo si giudicano dai risultati, in questo caso aver riformato il sistema sportivo a colpi di comma all'interno di una legge di bilancio ha provocato, a cascata, una situazione a dir poco disastrosa di cui è lo sport oggi a pagarne le conseguenze. Oggi noi votiamo un decreto-legge che è stato approvato circa due mesi fa dal governo Conte bis sul filo di lana, per usare un termine sportivo, perché altrimenti sarebbero scattate per l'Italia le sanzioni del CIO, che minacciava di far gareggiare i nostri atleti alle Olimpiadi senza i colori della nazionale, senza tricolore e senza l'inno di Mameli che tanto scalda il cuore di atleti e tifosi dopo una memorabile vittoria. Lo sanno i tanti colleghi che hanno partecipato alle Olimpiadi e che siedono qui dentro e lo sa bene la sottosegretaria Vezzali, che di cuori e di tifosi ne ha fatti emozionare a milioni e milioni. Il CONI costituisce un'articolazione del Comitato olimpico internazionale e, pertanto, tra le funzioni attribuite al Governo non potevano esserci quelle di indirizzo e di vigilanza sul CONI, come era stato invece previsto dalla legge delega. Ecco la violazione della Carta olimpica: i comitati olimpici nazionali possono collaborare con enti governativi e con organizzazioni non governative senza però subirne pressioni, a dimostrazione che lo sport ha un valore intrinseco di una portata da tale da non poter essere sacrificato su alcun altare della politica. È nato quindi questo testo con il quale si è provveduto a rimediare a quanto minacciato a gran voce dal presidente del CIO Bach ma che non chiude tutte le questioni ancora aperte tra il Dipartimento dello sport (sottosegretaria, a proposito: rientra questo Dipartimento nei piani del nuovo Governo?), il CONI, Sport e salute e le federazioni stesse. Per esempio: a chi spetta la vigilanza sulle federazioni? A chi quella sugli enti di promozione sportiva? E ancora: oggi, in questa confusione legislativa, le federazioni sono finanziate da Sport e salute ma il controllo sui bilanci rimarrebbe secondo la legge Melandri - audite, audite - al CONI. Mi chiedo e vi chiedo: perché chi vigila sul corretto uso dei finanziamenti non è lo stesso ente che, ogni anno, quei finanziamenti li eroga? Ne ho citati alcuni, ma molti sarebbero gli interrogativi ancora senza una risposta che agitano le acque dello sport. Ma in un momento così difficile, con la pandemia che ha messo in ginocchio il Paese, quando si parla di sport è doveroso che la politica, oltre che agli assetti di vertice, guardi con attenzione e cura allo sport di base - l'hanno detto alcuni colleghi prima di me - perché niente come lo sport riveste un carattere educativo, sociale, preventivo e psicologico fondamentale per la buona crescita e lo sviluppo armonico delle persone, si tratti di bambini, adolescenti o individui in età matura.
Questa pandemia ha messo in ginocchio il settore sportivo, in particolare l'associazionismo di base, che ne costituisce la linfa vitale, e le ripercussioni di tipo economico e psicologico sono già da tempo sotto gli occhi di tutti. Lo stop forzato, a parte i massimi campionati sportivi o gli atleti agonisti, ha dimostrato quanto lo sport rivesta un ruolo fondamentale nella vita degli italiani che, pur di continuare a fare attività fisica, nel lockdown di ieri come nelle zone rosse di oggi, hanno utilizzato balconi e giardini come campi di calcio e di basket, giocano a tennis sulle terrazze condominiali o contro il muro e trasformano le proprie stanze in palestre dalle quali seguire le lezioni di danza o di pilates on line. Eccolo questo mondo così sacrificato dall'inizio della pandemia, con i centri sportivi che, dopo avere affrontato ingenti spese per adeguarsi alle regole del CTS per far svolgere l'attività sportiva in piena sicurezza, si sono ritrovati, subito dopo, penalizzati dall'obbligo di chiusura; e, mentre ristorazione ed imprese hanno, per esempio, continuato ad operare, certamente con le dovute limitazioni, le associazioni sportive, anch'esse equiparabili a piccole imprese, hanno invece subito un brusco arresto, che ancora continua. Ma lo sport non è un semplice accessorio, intanto perché influisce fortemente sulla qualità della vita delle persone, se persino Papa Francesco, in occasione dei mondiali del Brasile nel 2014, ci ha ricordato che esso non è solo una forma di intrattenimento ma anche uno strumento per comunicare i valori che promuovono il bene della persona e contribuiscono alla costruzione di una società più pacifica e paterna. Senza dimenticare che con lo sport e di sport si vive, se pensiamo che vale circa il 2 per cento del PIL e, per questo, non può non essere considerato un'azienda fondamentale per il sistema Italia. In un tale contesto, colleghi, il riconoscimento del valore dello sport da parte di tutti potrebbe essere visto davvero, oggi, come una ripartenza. Il solo fatto che si sia dovuti ricorrere a un decreto-legge, data l'incontestabile urgenza, ha dimostrato come lo sport non sia stato mai davvero centrale per la politica, nonostante esso abbia da sempre questa capacità taumaturgica di unire un Paese. Come non pensare alla miracolosa unificazione tra bianchi e neri che riuscì a Nelson Mandela nel nome della nazionale sudafricana di rugby? Se questa è una delle mission dello sport, una delle più importanti in assoluto, mi auguro che la politica, oggi più che ieri, sappia coltivare una nuova visione. Si sente spesso parlare, quando si parla di sport, di nomine, mandati e contributi politici e un po' meno di tutele per i lavoratori e per gli atleti, dei quali comunque la legge delega, la riforma si era occupata. Penso, da donna, al riconoscimento della maternità delle atlete. È proprio recente la vicenda della pallavolista Lara Lugli, che è stata citata per danni dalla sua società perché colpevole di aspettare un bambino, segno di un percorso culturale, anche nello sport, che non si è mai invertito. O il caso di Pamela, neocampionessa di boxe nativa del Camerun, che risiede a Bologna da vent'anni e da dieci anni lavora in un ospedale di Bologna come infermiera, che non può coltivare il sogno di gareggiare con i colori dell'Italia perché non ha ancora la cittadinanza italiana. Se con questo decreto abbiamo affrontato il tema della governance, previsto già nel “decreto 1” della riforma che poi è stato stralciato, ora è giunto il momento di ripensare al mondo sportivo nella sua organicità e completezza, soprattutto tenendo conto delle differenze tra le singole federazioni, il professionismo, il semiprofessionismo e il dilettantismo. Con lo scadere della delega, infatti, non si sono potute effettuare quelle modifiche migliorative che, pure, le federazioni e tantissimi rappresentanti del mondo dello sport ci hanno chiesto, anche nel corso di lunghissime audizioni in Commissione.
Quello che mi auguro davvero è che ci sia la volontà comune di intervenire per non lasciare inascoltate tutte quelle realtà che, oggi più che mai, necessitano di un supporto. Perché lo sport, colleghi, non dovrebbe unire solo quando si festeggia un successo, ma anche quando c'è da lottare per dare la giusta dignità a un mondo troppo spesso lasciato, e amo ripeterlo, sullo sfondo dell'azione politica. È con questo appello ad unirci intorno al mondo dello sport che annuncio il voto favorevole del Partito Democratico